A tre anni di guerra in Ucraina

È auspicabile che il 2025 veda la cessazione dei combattimenti in Ucraina e questo perché gli obiettivi principali delle parti interessate alla guerra sono stati raggiunti e quindi gli attori che agiscono sul palcoscenico possono interrompere la rappresentazione. Il nostro sembrerà un modo cinico di approccio ad una guerra che dilania il territorio dell’Europa, ma tutto diviene più chiaro e comprensibile esaminando con freddezza e razionalità cause ed effetti del conflitto precisando che noi non siamo partigiani dell’uno o dell’altra parte, schierati sul campo di battaglia, ma amiamo la pace sia del popolo russo che di quello ucraino e viceversa.
Quella in atto è una guerra per procura per il tramite dell’Ucraina tra la NATO e la Russia. Le ragioni principali di questa guerra – ormai è evidente a tutti – sono soprattutto di carattere geostrategico e riguardano la sicurezza della Russia e il suo assetto unitario, la messa in crisi del modello economico che ha retto l’Europa per decenni, i rapporti dell’Europa con il mercato mondiale e le altre aree economico-politiche di un mondo ormai multilaterale; il tentativo in atto di ripristino dell’egemonia mondiale del capitalismo economico e finanziario localizzato principalmente nell’area di dominio anglosassone. Solo in modo residuale, concernono gli interessi del nazionalismo ucraino. legato ai circoli affaristici del paese, che si è prestato a prendere parte a questo conflitto, pensando di trarne beneficio, agendo come longa manus della politica anglosassone e britannica, in particolare, finalizzata alla messa in crisi dell’Europa continentale e alla dissoluzione della dimensione imperiale russa destabilizzando l’area dei “paesi cuscinetto” tra Europa e Russia individuati per gestire il crollo dell’URSS; gli interessi della oligarchia russa, in concorrenza con quella Ucraina, per gestirsi le spoglie delle proprietà collettive dell’Ucraina, alla ricerca del massimo profitto, forti del fatto che in ambedue i paesi Russia ed Ucraina sono al potere regimi illiberali e predatori. [1]

Obiettivi

Per comprendere gli eventi occorre partire dal fatto che obiettivo costante della politica della Gran Bretagna è quello di ambire ad essere un impero e perciò non può accettare di non avere ai propri confini una realtà statuale tanto forte da farle ombra e minarne. anche solo potenzialmente, la sicurezza. Mentre in passato la grandezza politica e la
dimensione imperiale britannica erano perseguiti in un mondo nel quale la dimensione degli Stati era paragonabile a quella dell’Inghilterra, contornata dai suoi dominion, oggi, venuti meno i dominion imperiali, questa visione si è “evoluta” nella ricercata supremazia dell’imperialismo anglosassone, che ha preso il posto dell’impero britannico, ed è stato assunto come obiettivo dall’alleanza tra Inghilterra, Stati Uniti, Canada e Australia, della quale i britannici si considerano la testa politica e i depositari, con adepti nei paesi suddetti.

Nella visione imperiale di questi circoli di potere la Russia è un’entità composita, della quale bisogna distruggere l’unità, troppo grande per reggere il confronto potenziale con essa, a causa delle immense risorse delle quali dispone; ciò è possibile facendo leva sui tanti nazionalismi che popolano il suo immenso territorio, con l’obiettivo di frantumarla in tanti Stati, e questo perché mantenere unite sotto un’unica direzione strategica la gestione delle immense risorse di questo territorio significa dare concretezza ad una potenza imperiale regionale in un mondo multipolare assegnandole di fatto un ruolo inevitabilmente concorrenziale rispetto all’imperialismo economico finanziario anglosassone [2].

L’Europa continentale, attraverso un processo contraddittorio e venato di ambiguità, ha costruito l’Unione europea soprattutto quale entità economica. In parte priva di una direzione strategica unitaria, ruotante intorno all’asse del capitalismo renano prima ,e a quello franco tedesco poi, sposando l’ordo-liberismo. Tale modello economico-politico si
basava sulla partnership con la Russia, attraverso uno scambio, vantaggioso per entrambe le parti, di fornitura di energia e materie prime a basso costo in cambio di manufatti e investimenti per lo sviluppo di un’industria autoctona dall’altro.
Questo rapporto costituiva le premesse per una potenziale integrazione di reciproco vantaggio, che avrebbe contribuito a mantenere unito il tessuto politico ed economico del territorio russo, di fatto sostenendo la dimensione imperiale del paese, e al tempo stesso avrebbe consentito all’economia europea di disporre di un mercato privilegiato di
consumatori-produttori, nel quale collocare i prodotti della propria economia di “trasformazione”, crescendo in competitività, benessere, risorse per sostenere un welfare tra i più costosi, onerosi, nonché generosi, esistenti al mondo, ma con l’effetto di cementare l’unità della Russia e la sua integrità come Stato.

D’altra parte il bisogno di crescita e di espansione dell’impero russo rifondato, avveniva mentre a livello mondiale si delineava una tendenza generale alla ricostruzione degli imperi, o almeno di aree di influenza imperiali, come quelle costituite dalla Turchia e con la sua area di espansione verso il Caucaso, l’Africa e il Medio Oriente – sulle tracce
dell’antico impero ottomano; dell’Arabia Saudita, testimoniata dalla tendenza all’unificazione degli interessi del mondo arabo islamico sunnita, con egemonia territoriale sulla penisola sull’arabica, l’area fel Golfo e propaggini verso l’Africa – perseguita utilizzando l’ideologia wahabita – alla quale si ispira la casa reale Saudita; della Cina che da sempre vede se stessa in dimensione imperiale e proiettava la sua egemonia a livello mondiale, soprattutto puntando sulle performance commerciali della sua economia, ma al tempo stesso si dota di ogni strumento militare per una politica egemonica; dell’India che disegnava un progetto parallelo e concorrente a quello cinese, ma di identiche ambizioni e prospettive.
Il panorama internazionale è certamente più articolato e complesso e ricco di aggregati di potere che ambiscono a ricavarsi un proprio spazio vitale, ma quelle a cui abbiamo fatto riferimento costituiscono certamente le aree geostrategiche maggiori, non sottacendo l’importanza delle economie dell’area del Pacifico, ruotanti intorno al Giappone, alla Corea del Sud a Singapore; al sud-est asiatico, ivi compresi i paesi della penisola indocinese e dell’Indonesia.

Agnello sacrificale di questa visione complessiva era ed è l’Africa, oggetto di tentativi di appropriazione endogeni ed esogeni. Quelli endogeni vengono dal Sudafrica che mira ad una sia pur costante espansione continentale della sua influenza, ma sull’immenso territorio del continente banchettano già la Cina e la Russia. La prima insidiando dal
punto di vista economico e commerciale la presenza egemone delle antiche potenze coloniali, sempre più residuale e accelerandone l’espulsione, giocando sull’odio e risentimenti post coloniali; la seconda imponendosi con la propria presenza industriale-militare, e di potenza alimentare e di fatto smantellando anch’essa i residui cascami dell’impero coloniale francese. Ambedue questi competitors relegano gli Stati Uniti ad una presenza occasionale, per il tramite di sodali alla sua politica di potenza, mentre gli europei sono relegati ad un ruolo decisamente marginale, screditati dal loro passato coloniale. In altre parole sul territorio dell’Africa si combatte una contesa di tutti contro tutti, (aggiungendo, per completezza del quadro, una crescente presenza turca che peraltro abbiamo già segnalato).

Altro territorio conteso è costituito dall’America Latina, individuata, soprattutto negli ambienti economici tedeschi, come l’area alternativa nella quale sviluppare l’influenza economica e commerciale dell’Europa comunitaria, dopo il venir meno della partnership energetica e di mercato con la Russia. Il cavallo di Troia per stabilire queste relazioni è costituito dall’accordo per il Mercosur (acronimo di Mercado unico del sur, il mercato unico dell’America meridionale cui aderiscono quattro Paesi: Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay). Ne fa parte anche il Venezuela, che però risulta al momento sospeso. L’area tocca gli interessi di oltre 290 milioni di persone, di cui una netta maggioranza collocata solo in Brasile, coi suoi oltre 200 milioni di abitanti.
Il Trattato, che riguarda il commercio e l’importazione di prodotti agricoli, abbassa i dazi doganali, al fine di intensificare gli scambi commerciali, ma apre nel contempo ai capitali europei un gigantesco mercato ricco di materie prime, costi energetici tra i più bassi al mondo e con grande disponibilità a una ulteriore crescita. Una volta ricomposto il contenzioso politico con il regime venezuelano sarebbe disponibile una quantità incalcolabile di petrolio. È pur vero che l’accordo ha bisogno di garanzie per l’agricoltura dei paesi europei che rischia di essere l’agnello sacrificale dell’accordo ma l’ampiezza della popolazione dell’area interessata e la grande disponibilità di manodopera a costi contenutissimi potrebbe costituire uno sbocco per le aziende europee e la nuova frontiera per un decentramento produttivo che avrebbe tuttavia l’effetto di svuotare i territori dell’Unione europea di attività manifatturiere, desertificando il territorio come è
avvenuto negli Stati Uniti.

Questa strategia ha il difetto di non fare i conti con il ruolo giocato dai BRICS che svolgevano e svolgono una crescente funzione di contrasto organizzato all’economia circolare mondiale, creata e dominata dal blocco anglosassone, aggregando e coinvolgendo parte dell’America Latina e soprattutto il Brasile, aggregando al processo il Sudafrica, associando via via altri paesi e proiettando in tal modo la propria influenza sull’Africa e l’America Latina, al punto che oggi nel loro insieme i BRICS, rappresentano, dopo le ultime adesioni il 44% circa del PIL mondiale (a parità di potere
d’acquisto) e controllano quote significative del commercio globale, della produzione di energia e delle riserve di minerali critici.

Le ragioni profonde della guerra Ucraina

Per l’imperialismo anglosassone era ed è vitale sconvolgere questo ordine di cose, avendo come primo obiettivo il ridimensionamento se non l’emarginazione dell’area di produzione costituita dall’Unione europea. La leva è stata individuata dai britannici nelle aspirazioni di una parte del nazionalismo slavo, operante nei territori dell’Ucraina, caratterizzato da profitti derivanti da un’economia residuale di rendita fallimentare nella sua capacità di gestione della trasformazione economica dei territori sui quali operava e facilitata dalla circolazione di capitali limitata e dagli appetiti sollevati dalla messa in vendita del territorio ucraino di proprietà statale a soggetti privati.[3]                            Sul piano ideologico queste lobbie potevano contare sul sostegno ed alleanza con i sogni di rifondazione del Patriarcato Ecumenico, che si collocano all’interno del progetto più generale di rinascita degli imperi. Questo soggetto geopolitico-religioso ambiva a riconquistare un proprio territorio canonico di pertinenza esclusiva e a costituire il nerbo e la struttura portante dell’ortodossia continentale europea, in un quadro di trasformazione dell’assetto della popolazione del continente europeo, basato su cinque entità ideologico-religiose, ovvero quella cattolica, la protestante, quella laica, quella ortodossa e quella musulmana, tutte grosso modo di pari entità e consistenza potenziale, a seguito degli effetti dell’emigrazione, nonché dell’incremento dello spazio europeo, sottraendo popolazioni ortodosse al controllo russo (e del Patriarcato di Mosca). [4]
Questo progetto andava perseguito con ogni mezzo ed un passo necessario era costituito dal passaggio dell’Ucraina nel campo dell’Unione europea, in ambito economico politico, religioso, strategico; dalla sua trasformazione da Stato cuscinetto tra Unione europea e Russia, in territorio effettivo dell’Unione, con schieramento sul
proprio territorio della NATO, quale strumento di deterrenza e di preparazione alla politica di dissoluzione dell’area imperiale russa, attraverso la creazione di un polo di attrazione di pezzi di quell’immenso territorio, che progressivamente si sarebbe frantumato, per lasciare il posto ad una miriade di Stati nazionali.
Da qui l’azione preventiva della Russia che per bloccare il processo, cercando di imporre la neutralità del territorio ucraino, accedeva agli accordi di Minsk; non raggiungendo il risultato perseguito la Russia decideva di passare all’azione, considerando vitale per la propria esistenza impedire la realizzazione del processo innescato dalla politica britannica e anglosassone, sulla quale convergevano la Gran Bretagna come gli Stati Uniti, inducendo l’Unione europea ad aderirvi, grazie ai vincoli NATO, contraddicendo i propri interessi: le motivazioni della guerra e della cosiddetta
“operazione speciale” c’erano tutte.

Come si vede le nostre valutazioni sui fatti prescindono da partigianerie, ma si sforzano di analizzare oggettivamente i fatti, traendone le necessarie conseguenze. Il nostro giudizio e la nostra valutazione sulla guerra d’Ucraina, pertanto prescindono dal rispetto formale del diritto internazionale, comodo paravento alle politiche di potenza degli Stati, ma guardano i fatti e agli interessi profondi dei potentati economico – politici che operano da attori sulla scena mondiale. Il nazionalismo ucraino è ignobile, come tutti i nazionalismi, come quello russo o di qualsiasi altro paese; diventa ignobile ancora di più nel momento in cui, cinicamente e scientemente, sacrifica un popolo sull’altare di
interessi di gruppi di oligarchi, in nome di ideali artatamente costituiti, pur sapendo di mandarlo al massacro e di portarlo all’estinzione, nel tentativo di realizzare un progetto impossibile, dettato dall’interesse e dall’odio nazionalista e nazisteggiante, che da sempre anima una parte degli abitanti, soprattutto di quella che oggi è l’Ucraina occidentale. La difficoltà di questa nostra posizione, di equidistanza tra le parti, deriva anche dal fatto che il regime che vige a Kiev e quello russo, sono speculari, perché altrettanto di oligarchico, illiberale, repressivo, dittatoriale, imperiale, è quello
ucraino, rispetto a quello russo.

Perché si combatte nel Donbass

Ora che il fronte della guerra è giunto ad investire Guljajpole e all’oblast di Dnipro (anticamente Ekaterinoslav), territorio che vide le lotte della Maknovicina, a noi comunisti anarchici viene da riflettere sul fatto che il progetto di smembramento della Russia viene da lontano e caratterizza gli ultimi 100 anni. Si tratta di tendenze della storia di lungo periodo iniziate con le spedizioni militari dei generali della Russia bianca filo zaristi, finanziate, non è un caso già allora, dalla Gran Bretagna, che sostenne e promosse le spedizioni bianche contro la rivoluzione russa, condotte da Denikin,
Vrangel, Judeničm, volle la Repubblica Democratica Ucraina di Petljura. Si trattò di iniziative che ebbero tutti come palcoscenico operativo i territori del Donbass; e non è un caso che, ancora oggi, i combattimenti investano, come durante la seconda guerra mondiale, il saliente di Kursk nel quale avvenne la più grande battaglia di carri armati del conflitto, quando fu la Germania a porre in essere gli stessi obiettivi e si consumò l’ultimo tentativo dei nazisti di piegare la Russia.
Si tratta di terre contese, di aree che hanno un ruolo strategico nella difesa dell’intero territorio russo e che quindi vengono considerati di vitale importanza per il paese e perciò rivendicati e difesi con ogni mezzo, a prescindere dai governi, perché costituiscono una sorta di Vallo Atlantico che apre o chiude l’accesso al paese e possiede la chiave della sua stabilità e sicurezza. È perciò che lo scontro si consuma su questi territori nei quali l’insediamento di popolazioni russe è storico e strategico, a prescindere dalla presenza di Putin o di chiunque altro al governo di Mosca o di Kiev.
I fautori e iniziatori della guerra lo sanno bene e perciò finanziano con ogni mezzo la continuazione del conflitto, pur consapevoli di mandare al massacro gli ucraini; ma di loro ad essi non frega assolutamente nulla, anzi li disprezzano, in quanto popolazioni slave, considerate, come del resto da Hitler, carne da macello e utili idioti potenziali, da utilizzare alla bisogna per fare da servi o da schiavi. Una lettura in tal senso del Mein Kampf, come in parallelo delle memorie di Winston Churchill, è illuminante al riguardo.

Da parte nostra il profondo amore che nutriamo nei confronti di tutti i popoli, che consideriamo tutti liberi ed uguali e dei quali pensiamo che debbano e possano vivere in pace, per la loro prosperità e il loro benessere, ci fa essere contrari alla guerra e a favore della pace, senza porci il problema delle ragioni degli uni e degli altri, risolvibili nel caso specifico, a nostro avviso, attraverso una trattativa che tenga conto del fatto che i territori contesi sono abitati da un coacervo di popolazioni tra le più diverse, che per vivere in pace hanno bisogno di superare il nazionalismo reciproco e di adottare forme federali e autogestionarie di organizzazione politica e sociale, che permettono una serena convivenza tra diversi e la partecipazione ugualitaria di tutti alla vita collettiva, indipendentemente dalle appartenenze etniche e religiose. Solo smilitarizzando il paese e collocandolo su una posizione di rigorosa neutralità, si potranno cancellare odi ed incomprensioni passati e recenti.

Risultati conseguiti dopo tre anni di guerra

Facendo un sommario bilancio della situazione dopo tre anni di guerra rileviamo che: benché ambedue le parti non rivelino l’entità dei morti, mentre si possono stimare intorno a 25.000 le “vittime civili” o cosiddette tali ucraine e in un migliaio quelle russe, in 800.000 circa i morti sul campo di battaglia, di ambedue le parti, mentre bisogna moltiplicare per tre, statisticamente, tale cifra per ricomprendervi quella dei feriti, i danni materiali sono immensi e l’Ucraina è praticamente un paese distrutto, anche demograficamente.
La popolazione ucraina è dispersa tra la Russia, l’Europa occidentale e il resto del mondo, pur di sfuggire alla morte e alla guerra, è ridotta ai 20 milioni di residenti nel paese, o almeno in quello che ne resta, perché almeno un quarto del suo territorio è stato occupato dai russi. La struttura statale ucraina, la sua economia, non esistono più e i costi materiali per la ricostruzione del paese sono immensi ed incalcolabili, anche se si vorrebbe che costituissero un affare per coloro che da sempre speculano sulla guerra e sulla ricostruzione dalle sue rovine, ma si ignora chi metterà a disposizione i capitali occorrenti per ricostruire un territorio depauperato della sua parte più ricca e produttiva, devastato dagli ordigni e dalla guerra, seminato di mine e inquinato in ogni modo possibile.
Che dire poi dei danni sociali apportati al paese dal conflitto, con tutto ciò che una guerra significa in ordine ai rapporti interpersonali, umani, ai fenomeni di corruzione, peraltro già elevatissima nel paese, all’odio politico e religioso, alle divisioni, alle sofferenze. Né i danni si fermano al territorio ucraino, perché sostenere la guerra è costato a tutti i popoli dell’Unione europea rimettere in discussione e determinare la crisi del proprio welfare, far crollare la propria economia, con il venir meno della disponibilità dell’energia a prezzi contenuti, per creare le condizioni di un progressivo impoverimento complessivo, che era poi l’obiettivo degli ideatori del piano di destabilizzazione dell’Europa.
Che dire poi del malessere sociale e dei danni al clima politico, prodotti da questa, guerra ovvero dello stimolo operato per la rinascita dei nazionalismi, dei partiti politici di destra, dei rigurgiti nazisti e populisti che si sono impossessati del disagio sociale, a fronte della miopia di una sinistra, soprattutto riformista, divenuta guerrafondaia e
ottusa, incapace nelle sue capacità di valutare i fatti, di analizzarne cause ed effetti, al punto da sposare di obiettivi del conflitto.

Per queste ragioni e non solo per motivi umanitari, siamo radicalmente contrari alla guerra e ci rifiutiamo di accettare la versione edulcorata della propaganda di uno Stato russo aggressore e di uno Stato democratico e liberale, quale dovrebbe essere quello ucraino, povero e aggredito e questo perché, come abbiamo cercato di dimostrare, le
ragioni sono più complessa, e la manipolazione delle masse operata dagli oligarchi russi e ucraini è ugualmente schifosa e da rifiutare. Descrivere il regime ucraino come democratico e liberale è una mistificazione, è falso, è inaccettabile. Non si scambino quindi le nostre prese di posizione sulla guerra ucraina di equidistanza dai contendenti, come un sostegno alle posizioni russe o ai nazionalismi dell’una o dell’altra parte.

Gli interessi dei popoli europei

Tra gli interessi dei popoli europei c’è innanzitutto la pace, anche perché questo significherebbe riuscire a non far gravare il costo della guerra sui livelli di benessere di tutte le popolazioni d’Europa. Per raggiungere questo risultato è necessario che i popoli del continente divengano i protagonisti e i promotori di un processo di convivenza pacifica e di collaborazione che passa per il ripristino delle relazioni economiche e commerciali con la Russia, obiettivo di vitale importanza per il benessere sia dei popoli del continente europeo che dello Stato russo.
Con un bagno di realismo occorre che i popoli europei riconoscano l’estraneità della Gran Bretagna, così configurata, ad una possibile integrazione nella vita del continente e proseguano per la loro strada verso un rapporto di coesione e solidarietà pacifica, che significa garanzia e ricerca della libertà nello sviluppo, eguaglianza sociale, presupposti necessari per affrontare i problemi seri e reali di una riconversione industriale e produttiva, che tenga conto dei problemi demografici gravissimi che il continente attraversa. Occorre che i popoli d’Europa siano messi in grado di tutelare l’ambiente che si fa sempre più degradato, a fronte dell’accentuarsi delle crisi climatiche. Sono questi i veri problemi dell’Europa e non quelli di offrire spazi ai tanti nazionalismi che non fanno altro che agevolare gli interessi degli oligarchi di orientamento politico e nazionalità tra le più diverse.

[1] G. L., Putin e Zelensky per noi pari sono, Newsletter Crescita Politica, n. 184, 2024. Il crollo del fronte interno in Ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 180, 2023; Due considerazioni sull’Ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 176, 2023; I guasti della guerra ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 170, 2023; Le cause economiche della guerra ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 160, 2023; Guerra in Ucraina: la pista
britannica, Newsletter Crescita Politica, n. 158, 2022; L’Ucraina di Zelesky prima di Putin, Newsletter Crescita Politica, n. 158, 2022; Il questuante e il dittatore, Newsletter Crescita Politica, n.183, 2024; Guerre parallele, Newsletter Crescita Politica, n. 190, 2024.
[2] Si veda il pensiero e il programma politico di Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter dal 1977 al 1961. Da ultimo:G. PERONCINI, La dottrina Brzezinski e le (vere) origini della guerra russo-ucraina, ByoBlu Edizioni, Milano, 2022.                                                                                                                   [3] La legge di riforma agraria del 2019 rendeva disponibili alla vendita, a partire da luglio 2021, i terreni agricoli a persone fisiche e giuridiche a
partire dal 2024.                                                                                                               [4] G. Cimbalo, L’evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiese nella Nuova Ucraina. Alla ricerca dell’Autocefalia , in “Diritto e religioni” 2-2020, pp. 252-304; ID., La guerra Ucraina e la destabilizzazione dei rapporti ecumenici, Coscienza e libertà, 2021, n° 61/62, pp. 135-144; ID., Il ruolo sottaciuto delle Chiese nel conflitto russo-ucraino, in “Diritto e religioni” n. 2 del 2021, pp. 487-512;

Gianni Cimbalo