Le migliaia di articoli sull’invasione russa dell’Ucraina sono in gran parte dedicati alla cronaca della guerra, ma a più di 110 giorni dall’inizio del conflitto, pochi si sono occupati delle ragioni economiche che ne sono alla base. Nell’intento di dare un contributo di analisi intendiamo prendere in esame, anche se sommariamente, due
settori produttivi: quello agricolo, con riferimento alla coltivazione di cereali, e quello dei minerali, con riferimento soprattutto ai giacimenti di litio, rispetto ai quali il controllo del Donbass e dei territori costieri dell’Ucraina è essenziale.
L’Ucraina “granaio d’Europa”
La guerra ha fatto dimenticare a molti che il 1° luglio 2021 è entrata in vigore in Ucraina la legge di riforma agraria (“Про внесення змін до Земельного кодексу України та інших законодавчих актів щодо удосконалення системи управління та дерегуляції у сфері земельних відносин”, Kiev, 31 marzo 2020, N 552-IX): di conseguenza la terra, prima proprietà collettiva, è diventata una merce che potrà essere valutata, acquistata e venduta. La riforma, oltre ad avviare di rapidi cambiamenti per il settore agricolo, che è tra i più importanti del paese, è di portata economica tale da influenzare l’intera economia del continente Europeo e introdurre importanti e significative novità nell’assetto del mercato e del commercio del grano, del mais, dell’orzo dell’olio di girasole e di altri prodotti agricoli.
La legge è articolata in due fasi di applicazione: a partire da luglio 2021, i terreni agricoli sono stati resi disponibili per la vendita a persone fisiche e giuridiche ucraine. Un referendum avrebbe stabilito quali avrebbero dovuto essere i criteri con i quali gli investitori stranieri potranno acquisire la proprietà di terreni agricoli in territorio ucraino; a partire dal 1 ° gennaio 2024, le persone giuridiche, ritenute tali ai sensi dalla legislazione dell’Ucraina, si sarebbero viste riconoscere il diritto di acquisire la proprietà di tutti i tipi di terreni agricoli, entro un’estensione massima di 10.000 ettari.
Le restrizioni al consolidamento della proprietà terranno anche conto della quantità totale di terreni agricoli di proprietà dei beneficiari finali di tali entità giuridiche, per contenere le grandi concentrazioni di proprietà.
Secondo la Vicepresidente del Consiglio di amministrazione di Credit Agricole Ukraine, Larisa Bonavera,il paese era pronto a una riforma lungamente attesa. “L’idea dell’emergere di un mercato fondiario in Ucraina ha messo radici nelle menti degli agrari. Il mercato fondiario si svilupperà in modo evolutivo. In un primo momento, sarà aperto solo per le persone fisiche.”, dichiarava, rivolta agli investitori stranieri.
Non della stessa opinione molti piccoli e medi agricoltori e delle loro organizzazioni che inscenavano violente manifestazioni per impedire l’approvazione della legge, scontrandosi con la polizia. Tali movimenti erano sostenuti dal coordinamento europeo Via campesina, insieme alle associazioni Urdu, Bankwatch e Eco action, che chiedevano al Governo ucraino di respingere la legge, sostenendo che avrebbe avuto conseguenze “potenzialmente catastrofiche” e “dichiarando che si era di fronte ad un attacco al diritto alla terra per i piccoli agricoltori in uno dei paesi più problematici
dell’Europa”; rimuovere il divieto alla vendita di suolo agricolo, avrebbe facilitato la concentrazione dei terreni e il land grabbing (acquisizione di terre sul piano globale) dando luogo ad una procedura simile a quella che aveva portato, a suo tempo, gli oligarchi a impossessarsi a poco prezzo – in Russia come in Ucraina – della struttura industriale e economica del paese. Ma Zelensky, oligarca egli stesso, si è approfittato della vulnerabilità del movimento di opposizione e della impossibilità a reagire della popolazione durante l’emergenza covid-19 per cedere alle pressioni di FMI e Banca
Mondiale e, forte della maggioranza assoluta in Parlamento, ha fatto approvare il provvedimento, accettando come mediazione di consentire l’entrata in vigore della riforma in due tempi, consentendo così agli operatori nazionali dotati di capitali un periodo di vantaggio per gli acquisti, ottenendo l’effetto di spaccare il fronte degli oppositori alla legge.
Per sostenerli ha ottenuto che la Banca Mondiale fornisse 200 milioni di dollari in prestiti per aiutare l’Ucraina a creare un mercato dei terreni agricoli “equo e trasparente”. La riforma fondiaria avrebbe dovuto creare nell’intenzione dei suoi proponenti anche opportunità di appalti pubblici per realizzare sistemi di bonifica ingegneristica, tra cui la
modernizzazione dei sistemi operativi, la riabilitazione di sistemi caduti in rovina, l’espansione dell’irrigazione su nuove aree che in precedenza non erano irrigate. L’apertura del mercato fondiario, insieme all’attuazione del piano per l’irrigazione e il drenaggio, predisposto dal Governo ucraino fino al 2030, avrebbe dovuto incoraggiare gli agricoltori, almeno quelli medi, che disponevano di capitali, a investire nelle tecnologie di irrigazione e drenaggio. La riforma agraria puntava ad eliminare una moratoria di lunga data sulla vendita di terreni coltivabili eliminando le condizioni che facevano dipendere le grandi aziende agricole dai contratti di locazione dei terreni, il che ostacolava l’accesso ai finanziamenti e scoraggiava, per la maggior parte, gli investimenti nell’irrigazione, nel drenaggio, nell’innovazione.
Nell’intento del Governo l’apertura del mercato dei terreni agricoli avrebbe dato un importante impulso al già potente settore agricolo del paese, contribuendo a guidarne la crescita e aiutato, – non si sa come – a eliminare, sosteneva il Governo, la corruzione. L’impatto atteso sull’intera economia ucraina avrebbe aggiunto diversi punti percentuali al PIL del paese.
Gli investitori internazionali e il mercato agricolo e delle terre in Ucraina
Va da sé che la riforma agraria costituiva per gli imprenditori stranieri un ghiotto affare. Perfino la Camera di Commercio Italiana per l’Ucraina aveva creato ed avviato il progetto Agritaly Ucraina 2021/2022 per permettere alle aziende italiane di approfittare di questa svolta ed entrare nel mercato agricolo del paese. L’iniziativa prevedeva un’azione di supporto, parzialmente finanziata dalla Camera di Commercio, per la costituzione di una piattaforma operativa con base sia in Italia, sia in Ucraina, al fine di commercializzare, esportare e distribuire i prodotti delle aziende appartenenti al comparto, tenuto conto anche degli acquisti di grano, granoturco e foraggio per l’allevamento già in essere. Il progetto Agritaly Ucraina 2021/2022 era così concreto che il manager camerale Yuriy Vano, era già stato nominato coordinatore ucraino del progetto della Camera di Commercio Italiana per l’Ucraina.
Per valutare la portata dell’affare occorre tener conto del fatto che l’Ucraina, rispetto ai 178 i milioni di ettari di terra coltivabile presente in tutti i paesi dell’Unione Europea, dispone da sola di ben 32,5 milioni di ettari di terra coltivabile – quasi il doppio della Francia – e alcuni di questi terreni sono tra i più fertili al mondo. Perciò il mercato
ucraino era nelle mire di molte economie, in particolare di quella cinese, che ha fatto del paese uno dei terminali della “Via della Seta”, e per quanto riguarda il commercio agricolo, acquistava dal 2013 mais; i suoi acquisti erano cresciuti al punto da divenire nel 2019 l’80% delle sue importazioni di questo prodotto. Nel complesso nel 2021, il commercio agricolo tra Cina e Ucraina è aumentato del 33 % rispetto al 2020. Nel 2013, il “Corpo cinese di costruzione e produzione dello Xinjiang” – un’organizzazione paramilitare statale nota come “bingtuan” – ha firmato un accordo con l’Ucraina KSG Agro per affittare 100.000 ettari di terreno agricolo per la coltivazione e l’allevamento di suini per un periodo di 50 anni. La Cina stava programmando un massiccio acquisto di terreni da coltivare, importando lavoratori dalla Cina, a causa della scarsità e del costo della manodopera ucraina, creando grande malumore tra i lavoratori agricoli ucraini. Infine, la Cina, nel 2018, ha investito nei porti ucraini. Il COFCO, il gigante agroalimentare statale cinese, aveva investito 50 milioni di dollari a Mariupol, come porto di esportazione dal Donbass.
Ma più interessata di ogni altri al mercato cerealicolo ucraino era ed è la Russia, sua diretta concorrente, la quale acquisendo le aree del Donbass ora occupate e i territori costieri, anche non occupando Odessa e i porti limitrofi dell’estuario del Dnepr, ridimensionerebbe e condizionerebbe la produzione dell’Ucraina e abbatterebbe l’esportazione del settore agricolo del paese concorrente, aumentando le proprie capacità produttive già notevoli.
Il blocco dei porti ucraini fa perdere all’Ucraina acquirenti e guadagnare ai russi clienti, sia sul piano economico che politico. La Russia, facendo la guerra, partecipa a suo modo alla privatizzazione del terreno agricolo ucraino, acquisendolo con le armi.
Ha ben appreso la lezione di Brenno che depose la spada sulla bilancia per aumentare il peso del riscatto che i romani sconfitti dovettero pagare: a restare a bocca asciutta sono gli imprenditori e gli investitori occidentali, comunque vadano le cose, visti i danneggiamenti delle superfici agricole e la distruzione delle infrastrutture a causa della guerra e la diminuita disponibilità di suolo. A ben vedere uno scontro di interessi tra oligarchi russi ed ucraini che si contendono la terre ammazzando i contadini ucraini con la guerra e usandoli come vittime e come soldati mandati a morire sui campi di
battaglia in nome della difesa della patria!
La corsa alle materie prime
L’obiettivo della Russia è anche quello di impossessarsi dei territori compresi tra i fiumi Nistro e Bug che si estende fino alle rive del Mar d’Azov, nel sud del Donbas. L’area totale della sua superficie è di circa 250 mila chilometri quadrati. L’area contiene grandi riserve di minerale di ferro, di uranio e di zirconio, oltre che pietre preziose e semipreziose, materiali da costruzione (tipo granito estratto di alta qualità). Nel Donbass si estraggono anche uranio (tra i primi tre esportatori al mondo), titanio (decimo esportatore), minerali di ferro e manganese (secondo esportatore): tutte materie prime fondamentali per le leghe leggere (titanio) e anche per acciaio e acciaio inossidabile (minerali di ferro e manganese). “Forse non è la ragione dell’invasione. Ma senza dubbio la ricchezza mineraria dell’Ucraina è una delle ragioni per cui questo Paese è tanto importante per la Russia,” (Rod Schoonover, ex direttore della sezione Ambiente e Risorse naturali presso lo statunitense National Intelligence Council).
Al secondo posto in Europa per le riserve di gas, l’Ucraina ha il 10% delle riserve mondiali di ferro, il 6% di titanio e il 20% della grafite, possiede l’ottava riserva al mondo di manganese, la nona di uranio, il paese ha anche ingenti giacimenti di ossido di litio, stimati in 500.000 tonnellate. Da aggiungere miniere di nichel, cobalto, cromo, tantalio,
niobio, berillio, zirconio, scandio, molibdeno, oro e grafite.
Molti di questi giacimenti non sono sfruttati. Per valutare l’entità di tali riserve l’Ucraina aveva iniziato a mettere all’asta i permessi di esplorazione. “L’idea era quella di attirare gli investitori verso partnership e collaborare con nazioni dell’Unione Europea per stabilire forniture di minerali strategici”. Al riguardo era stato messo a punto un programma di investimenti in grado di attirare risorse per 10 miliardi di dollari e portare allo sviluppo di più di venti siti minerari.
L’iniziativa costituiva – nelle intenzioni di alcuni consiglieri economici di Zelensky l’equivalente della riforma agraria rispetto al settore agricolo.
Molti dei minerali indicati sono tra quelli fondamentali per la transizione verde – i cosiddetti materiali critici – il cui consumo è previsto in forte crescita, visto che sono impiegati quasi ovunque. Nelle pale eoliche, nei catalizzatori, nelle batterie dei veicoli elettrici, negli schermi led dei televisori, nei telefonini, nei tablet, negli hard-disk dei computer, nella costruzione di vetri speciali e nei visori notturni.
Il loro utilizzo è destinato a crescere, viste le decisioni assunte dall’Ue che ha fatto proprio l’obiettivo di zero emissioni nette di carbonio entro il 2050: l’incremento della domanda di minerali critici rari è stimato di almeno sei volte maggiore rispetto a quello attuale. Solo per il litio – fondamentale per le batterie ricaricabili – si passerà dalle attuali 165 mila tonnellate annue, a 1,6 milioni di tonnellate al 2030.
Occorre ricordare che tre quarti della produzione mondiale di litio, cobalto e terre rare avviene in Cina, Repubblica Democratica del Congo e Australia. “La concentrazione in pochi Paesi è preoccupante da un punto di vista geopolitico e le controversie commerciali o le catastrofi naturali in Paesi produttori possono avere un effetto importante sull’offerta e sui prezzi globali, e tra questi la guerra ucraina, anche se l’approvvigionamento di questi minerali comporta forti impatti ambientali”.
L’estrazione e la lavorazione dei minerali richiede molta energia e crea una grande quantità di rifiuti: circa cento miliardi di tonnellate all’anno nel mondo. Per estrarre una tonnellata di litio servono 2.273.000 litri di acqua e si stima che l’industria mineraria sia responsabile del 10% del totale delle emissioni di gas serra.
Se una prima strada è quella di rendere il processo di estrazione più sostenibile, il recupero e il riciclo del litio in particolare, rappresenta una possibilità strategica. Affinché sia percorsa la via circolare che è quella del recupero del materiale utilizzato, occorre rendere più efficace ed efficiente la filiera del recupero e il processo di riciclo grazie a investimenti tecnologici. Oggi solo il 5% delle batterie al litio viene riciclato in maniera efficace e riutilizzato, tutto il resto buttato via. Perciò l’individuazione e la messa a sfruttamento di nuovi siti è essenziale e strategica anche se, tra il 2030 e il 2040 la quantità di materiali riciclati – soprattutto rame, cobalto, nichel e litio – dovrà passare da circa 100 mila tonnellate all’anno a 1,2 milioni di tonnellate.
Acquisendo le risorse minerarie del Donbass la Russia non solo fa dell’Ucraina un guscio vuoto, ma accresce enormemente le disponibilità della Russia che ha al centro della sua economia la vendita di energia e di materie prime e poca capacità di trasformazione e commercializzazione dei prodotti. Oggi vende petrolio e gas domani accrescerà le proprie vendite di materie prime essenziali per l’Europa che progetta di passare all’economia green.
Terra, risorse e popolazione
Ma nella guerra ucraina la preda più ambita è un’altra: la popolazione. Abbiamo già affrontato l’analisi demografica della situazione ucraina dopo l’inizio della guerra, arrivando alla conclusione ragionata che il numero di popolazione presente sul territorio ucraino oscillava, all’inizio dell’invasione russa, (La Redazione, L’Ucraina di Zelesky prima di Putin, Newsletter Crescita Politica, 158, aprile, 2022, p.11) a circa 34 milioni. È estremamente difficile calcolare il numero dei morti nei combattimenti e impossibile quello che sarà alla fine della guerra, né prevedere quanti Ucraini non torneranno nel Paese. Oggi sappiamo che accanto ai profughi in Occidente ci sono circa un milione e mezzo di persone, che la propaganda occidentale definisce come deportati. in Russia. Se poi la guerra terminerà con la cessione di territori, e quindi di popolazione alla Russia, il numero degli abitanti residui dell’Ucraina non supererà quello di 30 milioni, per un territorio forse ridotto, rispetto a quello del febbraio del 2022 del 20%, a essere ottimisti. Ciò vuol dire che il paese sarà stato desertificato e la popolazione superstite dovrà ricostruire un paese devastato nelle sue strutture, nel tessuto sociale e privato della gran parte delle sue risorse, senza il supporto della forza lavoro necessaria.
In quanto poi all’effetto salvifico dell’ingresso, improbabile prima di qualche decennio, dell’Ucraina nell’Ue, dubitiamo fortemente che vi sarà l’afflusso di risorse e mezzi per la ricostruzione. La propaganda occidentale dice che Putin perderà comunque la guerra: a nostro avviso, ambedue i contenenti ne usciranno comunque stremati e con le “ossa rotte” e, a banchettare sui cadaveri di ucraini e russi, all’insegna dell’odio seminato, saranno gli Stati Uniti e i britannici, che non avranno molto tempo per sorridere, essendo il loro paese esposto alla dissoluzione, dilaniato dall’indipendentismo Nord irlandese e scozzese. Non solo ma il banchetto che gli oligarchi dei due paesi belligeranti e i loro Presidenti hanno predisposto si svolgerà in un cimitero alimentato dai cadaveri dal popolo ucraino e quello russo.
Inoltre, la crisi economica crescente, la crescita dell’inflazione, una chiusura relativamente ampia del commercio internazionale, lo spostamento dell’asse dello sviluppo verso l’oriente e l’area del Pacifico, impoveriranno non solo l’Europa, ma anche le isole britanniche che saranno sempre più al servizio dei coloniali americani.
Un futuro ancora più triste attende, a nostro avviso, i profughi. Di quelli ad occidente abbiamo già visto non solo la fase dell’accoglienza, ma anche la scomparsa di bambini non accompagnati e di orfani, nonché di molte donne, come succede a tutti i profughi di guerra, e presto vedremo crescere l’insofferenza a fronte del perdurare della loro presenza nei paesi ospitanti travolti dalla crisi economica incipiente, della quale si vedono già gli effetti economici devastanti. Lo sa bene l’Ue. che ha reso obbligatoria l’accoglienza da parte degli Stati, sanzionandoli in caso di inosservanza, e obbligandoli al rispetto delle quote di migranti che entrano nel loro territorio.
Gianni Cimbalo