L’Ucraina di Zelesky prima di Putin

L’ascesa di Zelensky inizia nel 2015 quando diventa protagonista della serie televisiva Servant of the People, interpretando il ruolo del presidente dell’Ucraina, un insegnante di storia di un liceo sulla trentina che ha vinto le elezioni presidenziali dopo che un video divenuto virale lo mostra mentre inveisce contro la corruzione del governo in Ucraina.
Via via che il reality viene proiettato Ihor Kolomoyskyi, oligarca, proprietario della rete televisiva che produce il programma, si rende conto che il “fenomeno” può avere anche una utilizzazione pratica.
Nel marzo 2018, i membri della società di produzione di Zelenskyy, Kvartal 95, registrano un nuovo partito politico chiamato Servant of the People, un partito – manco a dirlo populista – che assume lo stesso nome del programma televisivo in cui Zelenskyy aveva recitato nei tre anni precedenti le diverse puntate. Gli sceneggiatori del programma si
trasformano nel nucleo fondativo dello staff che accompagnerà Zelensky in politica e ne gestiscono l’immagine pubblica.
Non è dato sapere se il progetto di costituire un partito fosse già nelle intenzioni degli ideatori del programma; resta tuttavia il fatto che sei mesi prima delle elezioni presidenziali il partito di Zelensky era già in testa ai sondaggi d’opinione. Il 31 dicembre 2019, Zelensky annuncia la sua candidatura alla presidenza dell’Ucraina. La sua campagna presidenziale è quasi del tutto virtuale, si svolge tramite i canali dei social media e le clip di You Tube invece delle tradizionali manifestazioni elettorali, con spettacoli di cabaret tenuti dallo stesso Zelensky in tutta l’Ucraina con la sua società di produzione Kvartal 95, senza che venga redatta una piattaforma politica dettagliata.
Descritto come un populista il neopresidente è come un sacco vuoto: afferma di voler ripristinare la fiducia nei politici, per “portare al potere persone professionali e dignitose” e “cambiare l’umore e il timbro dell’establishment politico”. Durante la campagna vengono manifestate preoccupazioni sui suoi legami con l’oligarca Ihor Kolomoyskyi, oligarca ultracinquantenne che ha quote nei mass media, nell’industria dei metalli e nelle compagnie aeree in Ucraina ed è stato accusato, durante la presidenza di Poroshenko, di aver rubato oltre 5 miliardi dalla PrivatBank, fondata da lui stesso, già governatore dell’oblast Dnipropetrovs’k. Costui ha investito circa 10 milioni di dollari per creare il cosiddetto battaglione Dniepr che è riuscito ad impedire che il territorio fosse controllato dai separatisti del Donbas.
Prima delle elezioni Zelensky presenta la sua squadra di governo e dichiara che come presidente avrebbe sviluppato l’ economia e attratto investimenti in Ucraina attraverso “un riavvio del sistema giudiziario ” e ripristinando la fiducia nello Stato. Propone un condono fiscale e una flat tax del 5 per cento per le grandi imprese nella convinzione che se il suo nuovo governo “funziona onestamente dal primo giorno”, gli ucraini avrebbero iniziato a pagare le tasse.

Il governo Zelesky all’opera

Nel giugno del 2019 Zelensky vince il secondo turno delle elezioni presidenziali con il 73,23 % con un programma anti-establishment e anti-corruzione (ma solo 6 milioni di voti). Per rinforzare la propria posizione il neopresidente indice nuove elezioni del Parlamento e il suo partito ottiene una vittoria schiacciante. Durante il primo anno della sua amministrazione, Zelensky ottiene la revoca dell’immunità legale per i membri della Verkhovna Rada, gestisce la risposta del paese all’epidemia di Covid 19 e la successiva recessione economica, mentre pochi sono i progressi nella lotta alla corruzione. Il neopresidente si ripropone l’informatizzazione dell’amministrazione e vorrebbe reintrodurre la responsabilità penale per arricchimento illegale, ma il suo tentativo di combattere la corruzione fallisce. Va meglio con la rimozione dell’immunità per legislatori, diplomatici e giudici perché il 3 settembre 2019 il nuovo parlamento approva un disegno di legge che priva i legislatori dell’immunità legale. La riforma della legislazione ucraina sui media, attuata nel 2020 con l’intento di aumentare la concorrenza e allentare il predominio degli oligarchi ucraini sulle emittenti televisive e radiofoniche, viene aspramente criticata perché illiberale e perché introduce di fatto la censura, sanzionando penalmente
le notizie giudicate infondate.
Nel gennaio 2021, il parlamento ha approva un disegno di legge che aggiorna e riforma le leggi sul referendum in Ucraina, dando attuazione a una delle promesse elettorali di Zelensky. Viene poi presentato un disegno di legge che crea un registro pubblico degli oligarchi ucraini, vietando loro di partecipare alle privatizzazioni di società statali e di
contribuire al finanziamento ai politici. I leader del partito di opposizione hanno sostenuto che l’obiettivo veniva perseguito in modo discutibile perché concentrava il potere in materia nelle mani del presidente e inefficace, poiché gli oligarchi erano semplicemente il “simbolo” di una corruzione più radicata e diffusa. Ciò malgrado il disegno di legge è
stato convertito in legge nel settembre 2021 suscitando forti malumori in quanto il potere del Presidente cresceva sempre più con la nomina nei posti chiave dell’amministrazione di appartenenti al suo staff. Prova ne sia che il governo ha sostituito 20 governatori degli oblast (circoscrizioni territoriali) su 24. È un fatto che il partito del presidente è in pratica il
partito unico in quanto con il 43% dei voti di lista ha 254 dei 424 seggi. Ciò malgrado nel settembre 2020, gli indici di popolarità di Zelensky erano scesi a meno del 32%.

La situazione sociale

Prima della guerra in Ucraina gli stipendi erano bassi, anzi bassissimi, 300 dollari in media ma, in realtà la gran parte della popolazione non riusciva a raggiungere le 3,720 hryvne mensili (139$, valore 2018), mentre quelli dei paesi confinanti erano molto più attraenti; da qui la richiesta condivisa da molti di ingresso nell’U. E., nella convinzione che dopo l’entrata nell’Unione il paese si sarebbe sviluppato in un batter d’occhio.
La parte consapevole del paese aveva capito che anche senza alcuna opposizione il processo, come abbiamo spiegato sarebbe stato lungo e difficile [1] e nell’attesa aveva deciso di emigrare, ma poiché il cittadino ucraino non può lavorare legalmente nell’area Schengen, e dato che il suo soggiorno non può comunque superare i 90 giorni, i circa 1000 euro al mese guadagnati nei tre mesi non erano sufficienti per vivere poi normalmente in Ucraina. Dati non ufficiali stimavano l’emigrazione, comunque, superiore a un milione di persone, anche se si trattava di emigrazione in parte temporanea.
Malgrado l’occupazione della Crimea tanti ucraini continuavano cercar fortuna nella vicina Russia, dove tuttavia il 30% degli emigrati ucraini decideva di andare, probabilmente per una vicinanza di carattere storico, linguistico e culturale, nonché per la facilità burocratica relativa ai permessi di soggiorno. La situazione si modifica gradualmente dopo i fatti di Maidan e i flussi si sono diretti verso Polonia, Repubblica Ceka e Germania, nell’ordine. Negli ultimi 5 anni si parla di un’emigrazione di 2 milioni di persone.

Demografia e emigrazione

Per farsi un’idea della situazione demografica dell’Ucraina bisogna tener presente che il tasso di crescita annuo è negativo dal 1991. La popolazione ucraina ha perso almeno 11 milioni di persone in meno di trent’anni, passando dai 52.244.100 abitanti del 1993, ai 41 milioni del 2021. Ma si tratta di dati non confortati dal censimento (l’ultimo è del 2001), al punto che secondo i calcoli degli esperti e dell’Istituto di demografia dell’Accademia Nazionale delle Scienze gli abitanti sarebbero stati non più di 32 milioni. Nel 2019 il governo ucraino effettuò un censimento elettronico utilizzando diversi strumenti, come i telefoni cellulari, incrociati con i dati sulle pensioni, e stimò la popolazione dell’Ucraina, esclusa la Crimea e parti del Donbas secessionista, a 37,3 milioni di persone. Se si tiene conto del dato riportato di 5 milioni di migranti i dati riferiti non si discostano e risultano coerenti per cui potremmo definitivamente valutare il numero di abitanti ad una media tra i due dati e quindi in non più di 34 milioni.
Il declino demografico ucraino è dovuto alla forte emigrazione della quale abbiamo dato conto, al basso tasso di natalità e all’alto tasso di mortalità, a causa dell’inquinamento atmosferico, del diffuso tabagismo e alcolismo, della cattiva alimentazione della popolazione e del mediocre sistema sanitario nazionale, per cui la speranza di vita alla nascita era di 72,4 anni (2018), mentre il tasso di mortalità infantile era del 7,7‰ (2018). Il picco del declino demografico è stato raggiunto nel 2007 (il quarto peggiore del mondo).
Se si guarda alla distribuzione della popolazione sul territorio prima della guerra il 67% (2005) della popolazione viveva in aree urbane; le regioni più densamente popolate erano quelle orientali e occidentali, mentre nella sezione centrale dell’Ucraina, fatta eccezione per l’area urbana di Kiev, il popolamento era molto più rado.

Zelensky la Crimea e il Donbas

Una delle promesse centrali della campagna elettorale di Zelensky era stata quella di porre fine alla guerra nel Donbas e trovare una soluzione ai rapporti con il movimento separatista sponsorizzato dalla Russia. Lo scambio di prigionieri ottenuto dopo un incontro con Putin è stato presentato come una dimostrazione delle buone intenzioni del
Presidente.
Nell’ottobre 2019, Zelensky ha annunciato un accordo preliminare con i separatisti, il governo ucraino avrebbe rispettato le elezioni tenute nella regione in cambio del ritiro delle truppe russe. L’accordo è stato avversato sia dai nazionalisti che da coloro che erano disponibili a una trattativa. Così i separatisti hanno continuato i loro attacchi (con la
Russia che forniva armi e munizioni) e altrettanto hanno fatto diverse milizie nazionaliste ucraine che hanno rifiutato di accettare l’accordo, soprattutto i combattenti dei battaglioni Azov, unitamente ai battaglioni di nazionalisti “Aidar”, “Dnipro-1”, “Dnipro-2” e “Donbas”, tuttavia inquadrati dall’ 11 novembre 2014 nella Guardia nazionale ucraina. Pertanto
era di fatto quest’ultima a condurre la guerra. Zelensky è stato accusato di essere irrispettoso nei confronti dei veterani dell’esercito e gli accordi di per un raffreddamento del conflitto all’interno del cosiddetto gruppo Normandia sono stati violati.
Nel settembre 2019 il Presidente ucraino viene coinvolto da Trump nel cosiddetto “affaire” Hunter Biden, figlio del futuro presidente USA, su traffici nel paese e nega ogni addebito; è probabile – come risulterà a guerra scoppiata – che Biden figlio si interessasse insieme ai servizi segreti USA a ricerche illecite su territorio statunitense relative ad armi
biologiche. Comunque, nel settembre 2021 Zelesky si reca in visita negli USA e incontra Biden, reduce dalla ritirata dall’Afganistan in forte calo di popolarità. Al Presidente USA Zelensky chiede di accelerare l’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Il 26 novembre 2021, Zelensky accusa la Russia e l’oligarca ucraino Rubat Akhmetov di sostenere un piano per
rovesciare il suo governo e nel dicembre 2021, chiede un’azione preventiva contro la Russia, ma al tempo stesso dichiara che i timori diffusi da Washington di un intervento russo in ucraina sono infondati (videomessaggio del 19 gennaio). Il 24 febbraio la situazione precipita: la Russia, ritenendo il governo Zelensky in crisi, l’Unione Europea divisa e la NATO e gli Stati Uniti ancora sotto lo scioh della precipitosa ritirata dall’Afganistan, invade l’Ucraina.

La guerra

Mentre vengono diffuse notizia di stragi e di eccidi di popolazione inerme che confermano la natura orribile, inaccettabile e disumana della guerra è decisamente troppo presto per valutare l’entità delle perdite umane dovute alla guerra. Quello che per ora sappiamo è che i profughi sono circa 5 milioni e che quindi il paese avrà bisogno di un problematico quanto improbabile ritorno di massa della popolazione fuoruscita dal paese per ricostruirsi.
Ciò vuol dire che malgrado l’eroismo del suo popolo e le promesse di un impossibile immediato ingresso nell’U.
E. le prospettive del paese sono disastrose. Per far fronte all’assenza di capitale umano non basterà lo spirito patriottico, ma occorrerà creare le condizioni per salari medi più che decenti per poter competere con gli stipendi offerti a ovest e condizioni lavorative adeguate. Dopo tanti sacrifici un mancato miglioramento del tenore di vita generale, a partire dal potenziamento delle infrastrutture pubbliche e l’accesso ai servizi, una revisione dell’istruzione e del sistema delle pensioni significherebbe perdere la pace.

L’infezione patriottica

Lo scoppio della guerra trasforma Zelensky in un leader che incarna l’Unità nazionale e la scelta del paese di resistere all’aggressione. Il suo staff viene opportunamente rinforzato da consiglieri come Alexander Rodnyansky professore a Cambrige, vicino ai servizi britannici, mentre assumono importanza nel governo personaggi come Oleh Jaroslavovyč Tjahnybok, capo del partito Unione Pan-Ucraina “Libertà”, meglio conosciuto come “Svoboda”, Andrei Paruby, il già coordinatore dei gruppi paramilitari a Maidan, Andrij Tarasenko, Denys Prokopenko, capo del battaglione Azov e soprattutto Dmitry Yarosh, advisor del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.
Come lascito della guerra insieme ai tanti lutti, ai rancori, alle distruzioni, agli eccidi rimarrà il “capolavoro di Putin”: quello di aver costruito l’amor di patria, il senso di appartenenza all’Ucraina, ma si tratta di un frutto avvelenato perché costruito sul dolore e sull’odio.

[1] L’Ucraina nell’U. E., newsletter Crescita Politica, n. 157, Marzo 2022.

La Redazione