Tra i più di 40 conflitti che insanguinano il pianeta quello tra l’Ucraina e la Russia e tra Israele e i suoi vicini si segnalano per l’alto numero di vittime, la durata persistente, la ferocia nel coinvolgimento delle popolazioni civili, l’importanza rispetto agli equilibri geostrategici, ma anche la dominanza e il peso del nazionalismo e l’imporsi di contenuti identitari. Ne le affinità finiscono, qui anche se l’approccio sviluppato dai governi occidentali utilizza una doppia morale, permettendo ad Israele tutto ciò che si contesta alla Russia nel suo comportamento verso l’Ucraina.
Come è noto il primo conflitto sarebbe iniziato con il 24 Febbraio 2022 con “l’operazione speciale” valuta dalla Russia con la quale si intendeva attuare un cambiamento di regime politico a Kiev, mentre va fatto risalire ai fatti di piazza Maidan del 2014.[1] ai quali segui l’occupazione della Crimea, l’insurrezione delle province orientali del paese e l’inizio della guerra civile. Il secondo si sostiene abbia avuto inizio con l’azione terroristica organizzata da Hamas il 7 ottobre 2023, dimenticando i massacri israeliani precedentemente compiuti a Gaza e in Cisgiordania, e la scelta bypassare la questione palestinese, contando sugli effetti dei cosiddetti “accordi di Abramo”, con i quali gli Stati Uniti e Israele intendevano e intendono ridisegnare gli assetti economico, politici e strategici del Medio Oriente [2]. A questo atto terroristico oggi Israele risponde con il terrorismo di Stato. non solo nei confronti della popolazione palestinese della Striscia di Gaza, reprimendo ed espropriando i diritti e i beni della popolazione della Cisgiordania occupata, aggredendo il Libano, la Siria e ogni altro paese che ritiene di annoverare tra i propri nemici, avendo come obiettivo principale l’Iran con il consenso più o meno manifesto di una parte dei paesi arabi.
Due pesi e due misure
Per quanto riguarda l’Ucraina, Stati Uniti e Occidente hanno gridato all’aggressione, alla violazione dell’integrità dello Stato ucraino, tacendo del ruolo quiescente rispetto alla crisi ucraina da tempo manifestatasi da parte dei paesi che hanno preso parte e sottoscritto gli accordi di Minsk uno e due (Francia Germania, Gran Bretagna e Russia), a posteriori sconfessati; dichiarando di averli sottoscritti per prendere tempo. Dopo quasi tre anni di guerra tutti hanno ben compreso che le ragioni del conflitto ucraino risiedono non solo negli interessi geostrategici di Stati Uniti e Occidente da un lato e Russia dall’altro, ma anche dall’obiettivo, raggiunto, da Inghilterra e Stati Uniti di mettere in crisi l’economia tedesca e il modello di produzione e l’economia dell’area dell’Unione europea, privandola dell’energia a basso costo, (petrolio e gas), forniti in partnership dalla Russia, che permettevano all’industria e al modello di produzione dell’Unione europea,
guidato dala Germania, di essere un valido competitor economico dei paesi dell’area del nord Atlantico e al tempo stesso partner economico e commerciale privilegiato della Cina.
D’altra parte la distruzione, per il tramite degli ucraini, del nord Stream due, obiettivo principale dichiarato del conflitto e la conseguente ristrutturazione degli approvvigionamenti petroliferi e di gas dei paesi europei (con conseguente aumento dei costi energetici), stanno lì a testimoniare la veridicità di queste ragioni che fanno da copertura all’operazione del nazionalismo ucraino di svincolarsi dai rapporti economici e strategici con la Russia. Altro elemento da non sottovalutare ricostruire le cause del conflitto lo scontro egemonico in atto tra il Patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli che si contendono l’egemonia sulla diaspora ortodossa, con l’obiettivo da parte del Patriarcato Ecumenico di fare della componente ortodossa il quinto pilastro costitutivo dell’area cultural-religiosa dell’Unione europea.
Per Israele, che ha coltivato a lungo l’alterità con Hamas, alimentandone strumentalmente il potere sulla popolazione della Striscia di Gaza, la ferocia dell’azione terroristica ha costituito la giustificazione per un genocidio della popolazione palestinese che è oggi intorno ai 50.000 morti e che non accenna a finire per quanto riguarda la Striscia di
Gaza, mentre continua e si intensifica l’azione repressiva israeliana in Cisgiordania e nei territori libanesi limitrofi allo Stato ebraico, ai fini di costruire il grande Israele, ricalcando le dimensioni bibliche, dal Giordano al mare, dello Stato confessionale ebraico, massacrando la popolazione autoctona palestinese fino all’estinzione, come preconizzano le componenti più radicali del sionismo ebraico (leggi nazionalismo ebraico) accusando chi si oppone a questa politica di antisemitismo.
Invece di analizzare cause ed effetti di quanto stava avvenendo i paesi occidentali. e per quanto ci riguarda l’Italia, hanno scelto di schierarsi a sostegno dell’Ucraina, considerato paese “democratico” da contrapporre a una dittatura, quella russa, quando invece si tratta di due regimi politici molto simili, ambedue oligarchici e illiberali. Si è inoltre considerata l’Ucraina paese aggredito. facendosi carico dei costi della guerra per procura condotta dal paese verso la Russia. vista come il nemico da abbattere prima di esserne colpiti dalla sua aggressività.
Il governo ucraino, in cambio del massacro del suo popolo, della sua dispersione nei paesi dell’Unione,- almeno di chi intelligentemente rifiuta la guerra, (più di 10 milioni), – in cambio della distruzione del paese e del massacro della sua popolazione superstite, in nome di un nazionalismo becero ed ottuso, nazisteggiante, frutto di antiche suggestioni che hanno le loro radici nelle ideologie nazionalsocialiste e reazionarie della Mitteleuropa, ha consentito che sui campi di battaglia insanguinati dell’est del paese si confrontano oggi due eserciti per contenersi il possesso di un territorio le cui popolazioni sono state storicamente unite da profondi legami e siano da ora in poi divise dalla morte e dall’odio.
Parimenti, l’appoggio acritico verso Israele e la sua politica imperialista e di annessione di territori, ha trascurato il dato di fatto costituito dal prevalere nel paese del sionismo, ovvero del nazionalismo ebraico, altrettanto becero e nazisteggiante come quello ucraino, sostenitore delle medesime teorie di superiorità razziale che caratterizzarono il nazismo, oggi applicate nei confronti della popolazione palestinese, considerata dagli ebrei emigrati in Israele usurpatrice del territorio e da sterminare, al fine di insediarvi il popolo eletto, ovvero quello ebraico.
Questi “equivoci” nel valutare quanto sta avvenendo hanno fatto sì che i governi europei potessero schierarsi a sostegno dell’Ucraina, deprimendo le economie degli Stati dell’Europa occidentale, danneggiando il suo welfare, introducendo motivi di risentimento e disagio per le politiche di favore nei confronti dei rifugiati ucraini, sostenendo economicamente una guerra per procura che non può essere vinta, se non altro a causa della sproporzione di forze evidente tra i due contendenti, come dimostra ciò che sta avvenendo sul campo di battaglia. Pur di raggiungere questo scopo hanno posto sulle spalle dei popoli dei paesi appartenenti all’unione tutti i costi di uno stato fallito come quello
ucraino, dalle pensioni agli stipendi, dall’assistenza sanitaria all’energia, dal costo delle armi in cambio di improbabili futuri guadagni per chi dovrà ricostruire il paese. Il senso di colpa ancora vivo nei popoli d’Europa, a causa della Shoah, ha consentito finora di occultare in larga parte dell’opinione pubblica le attività criminali del governo d’Israele che
conduce mediante il terrorismo di Stato una guerra senza esclusione di colpi che rischia di coinvolgere in un conflitto senza confini l’intero Medio Oriente, creando i prodromi di una possibile terza guerra mondiale. Nel fare ciò uccide migliaia di donne e bambini, mutila le membra dei superstiti, semina distruzione ed odio destinato a divenire atavico nei
sopravvissuti, utilizza le epidemie e la fame come arma di sterminio, mettendo a punto una soluzione del problema palestinese che ricalca nel metodo degli strumenti la soluzione finale della questione ebraica, ideata dai nazisti.
Gli Stati Uniti, impegnati su due fronti di guerra, si trovano ora di fronte al dilemma di quale alleato privilegiare e non vi è dubbio, che alla luce del peso che la lobby israeliana ha nell’elettorato statunitense e considerando gli interessi strategici degli Stati Uniti, intenzionati a ridisegnare gli assetti del Medio Oriente, scelgono di privilegiare Israele nella
fornitura di sistemi d’arma e di munizioni, creando così un vuoto che non può essere altrimenti soddisfatto nelle forniture di armamenti all’Ucraina. Si calcola infatti, ha detta degli esperti militari, che per ogni colpo sparato dagli ucraini sui campo di battaglia i russi possano rispondere con 10 colpi, creando una sproporzione incolmabile nel volume di fuoco.
Gli errori strategici degli ucraini e la demagogia di Zelensky
Le indubbie qualità di Zelensky come procacciatore di finanziamenti e di sostegni politici ed economici per procedere alla carneficina del popolo ucraino sono controbilanciate ampiamente dall’affiorare di comportamenti di tipo hitleriano nell’agire del Presidente ucraino, il quale con il passare dei mesi in guerra e a furia di indossare indumenti militari, ha finito per credersi un grande stratega come Hitler, imponendo al suo esercito le proprie scelte strategiche, attraverso il generale Syrs’kyj, prono nell’obbedire ai suoi ordini. Con l’esercito ucraino impegnato sui fronti a contrastare l’attacco russo l’addestramento delle reclute è stato affidato ad istruttori della NATO, i quali adottano strategie e metodi di battaglia diversi da quelli russi. Teorizzano l’estrema mobilità delle truppe, tecnologicamente ben equipaggiate, che agiscono per piccoli gruppi e sono in grado di condurre azioni caratterizzate da estrema mobilità sul territorio, ma incapaci o comunque inadatte a combattere una guerra di posizioni e di trincea. Da queste precondizioni è scaturita l’iniziativa “politica” dell’incursione nella regione di Kursk. L’obiettivo dichiarato dell’iniziativa era quello di costringere la Russia a spostare parte delle sue truppe nel suo territorio aggredito e ad allentare quindi la pressione sui fronti del Donbass, ma è noto che ciò non è avvenuto e la Russia è riuscita a mobilitare circa 50.000 uomini che stanno
gradualmente eliminando la sacca di Kursk. E questo mentre il fronte del Donbass rischia è al collasso e le piazze forti ucraine attive fin dal 2014 cadono una a una, liberando la strada all’esercito russo per raggiungere quello che sembra essere il suo vero obiettivo e cioè le rive del fiume di Dnper e, risalendo dall’ansa di Dnipro fino alla dorsale verso Sumy
che porta al confine, taglierebbero in due l’Ucraina. Se così fosse non resterebbe al paese che trattare la pace e la smilitarizzazione del residuo territorio ucraino, con buona pace dei paesi europei.
Il piano di pace di Zelensky e il suo sogno nucleare
Consapevole di questo pericolo Zelensky e il suo entourage hanno messo a punto il cosiddetto “piano della vittoria” che più che una piattaforma di trattativa con la Russia verso la quale non vi è alcuna concessione – il che rende il piano impraticabile – costituisce una piattaforma di trattativa degli ucraini con i paesi dell’Unione europea e dell’occidente e contiene le condizioni alle quali la pelle degli ucraini e la loro vita futura viene offerta in ostaggio perché li si utilizzi come pretoriani, in cambio di ricostruzione, di investimenti e offrendo in cambio lo sfruttamento delle ricchezze naturali del paese.
Il cosiddetto piano della vittoria, messo a punto da Zelensky e dal suo entourage, consta di 5 punti e tre allegati rimasti segreti. Il Presidente ucraino chiede che al suo paese sia consentito entrare subito nella NATO (1) eppure sa bene che fino a quando il paese è in guerra ciò non è possibile, ai sensi degli statuti istitutivi dell’Alleanza. Esiste il fondato
sospetto che Zelensky disponga di uno strumento di pressione verso l’Alleanza, costituito dalla minaccia di realizzare autonomamente ordigni al plutonio che gli ucraini avrebbero sottratto, recuperandoli, dalla centrale di Chernobyl che lo produceva all’inizio delle ostilità, con l’obiettivo di contrastare più efficacemente l’avanzare dell’esercito russo. In questa
prospettiva l’ingresso nella NATO consentirebbe di mantenere sotto un maggior controllo l’Ucraina impedendo che queste sue iniziative possano coinvolgere l’Occidente in una guerra nucleare e al tempo stesso offrirebbe al paese la protezione richiesta.
Divenuti membri dell’alleanza gli ucraini verrebbero addestrati ad usare ogni tipo di arma per colpire all’interno la Russia, ricevendo l’aiuto ad abbattere missili e droni in territorio ucraino, senza che vi siano le cosiddette linee rosse (2). Inoltre il territorio ucraino dovrebbe ospitare armi di deterrenza strategica non nucleare a protezione del paese ivi
comprese eventualmente basi militari dei paesi alleati, stazioni radar e di ascolto delle attività russe, ovvero rendendo reali i timori che hanno indotto la Russia a invadere l’Ucraina e a chiederne la smilitarizzazione e il suo non ingresso nella NATO; inoltre il presidente ucraino si è assunto l’onere ed il piacere di redigere un elenco delle armi di cui gradirebbe disporre e di ciò ha reso edotti i governanti occidentali (3).
In cambio di tutto ciò l’Ucraina offre all’unione europea e agli Stati Uniti la firma di un accordo per lo sfruttamento “delle risorse critiche possedute dall’Ucraina, come litio, gas e titanio, e di produrre energia insieme in futuro.” Risorse delle quali non dispone più poiché sono in gran parte localizzate nei territori occupati dalla Russia. (4)
Come ultimo punto Zelensky sostiene che con la fine della guerra sarà in grado di poter partecipare al miglioramento della sicurezza europea, grazie al contributo delle sue forze armate particolarmente abili e abituate al combattimento. Tanto che dichiara testualmente: “Se i partner sono d’accordo, prevediamo di sostituire alcuni contingenti militari delle forze armate statunitensi di stanza in Europa con unità ucraine dopo la guerra Gli ucraini hanno dimostrato di poter essere una forza che il male russo non può superare”. In altre parole il presidente ucraino immagina per il suo popolo un futuro di soldati di ventura che non sembra riscuotere il consenso della gran parte del paese, posto l’aumento esponenziale dei renitenti alla leva e dei disertori che rifiutano di andare in guerra.
Da parte nostra riteniamo più modestamente che Zelensky pensi a come collocare sul mercato del lavoro, a guerra finita, una massa di reduci e di sbandati, disabituati ad una vita civile e pacifica , inadatti al lavoro, abituati a guadagnarsi da vivere con la violenza e il sopruso che caratterizza le tante formazioni di “volontari” che hanno costituito il nerbo
dell’esercito ucraino e la massa d’urto che durante la guerra civile ha operato nel Donbass a danno delle popolazioni. Ciò detto, sembra giunto il tempo che l’Occidente si renda conto con quale pazzo megalomane ha a che fare e con quanta protervia vi sia nel piccolo saltimbanco di Kiev, troppo innamorato del suo ruolo di Presidente ormai scaduto, per rendersi conto di precipitare sempre di più in una voragine insieme, purtroppo, al suo paese che evidentemente non ama. Le speranze tuttavia sono scarse vista l’incapacità, l’incompetenza, la malafede, l’inettitudine che prevale ai vertici dell’Unione europea.
E Israele? e la Palestina?
È possibile, anzi probabile e forse auspicabile che la guerra Ucraina si concluda sul campo e porti con se la fine dell’equivoco dell’Ucraina quale Stato democratico e liberale, facente parte dell’Unione europea, mentre la guerra destinata a non finire è quella di Israele con i palestinesi e i suoi vicini. Le velleità statunitensi di ridisegnare il Medio
Oriente non fanno i conti con il fattore umano, costituito dal fatto che l’odio e il dolore seminato a piene mani con la tragedia di Gaza e con quella dell’intero popolo palestinese, sono destinati a lasciare una scia di violenza e di rancore che sopravviverà per generazioni, incancellabile nel ricordo dei sopravvissuti. Per loro vale l’adagio: “chi colpisce per primo colpisce ridendo, chi lo fa per secondo colpisce piangendo e non ha nulla da perdere”. L’errore politico e culturale degli Stati Uniti e dell’Occidente risiede nel non aver compreso l’importanza e il ruolo della memoria nella cultura dei popoli che abitano quella parte del pianeta e il ruolo che essi collettivamente assegnano alla storia e alla memoria.
Se vi è una possibilità di riscrivere la storia, cancellando l’immenso dolore diffuso a piene mani tra i popoli del Medio Oriente, questa risiede in un nuovo inizio che parta da una convivenza faticosa, ma forse possibile, tra popoli diversi, chiamati a condividere lo stesso spazio vitale, la stessa terra. Ciò potrebbe avvenire solamente se costituisse patrimonio condiviso la solidarietà e la convivenza sulla base di un’effettiva e reale uguaglianza di diritti e di opportunità per tutti coloro che abitano e vivono in quei territori, come le origini stesse solidaristiche dello Stato ebraico tentarono di dimostrare e come oggi testimonia l’esperimento politico in atto nel vicino Rojava, [3] dove faticosamente si tenta di dar vita ad una società egualitaria e laica, fatta di strutture partecipate e condivise, al di là delle appartenenze religiose, delle differenze culturali, delle differenti opinioni politiche, riscrivendo con una nuova narrazione di convivenza, la storia comune degli abitanti del territorio.
Presupposto necessario a che ciò avvenga sarebbe il disimpegno delle grandi potenze e delle diverse entità statuali i cui interessi interagiscono su questi territori a non cercare di egemonizzare e sfruttare ai propri scopi queste popolazioni.
Poiché questa condizione appare quantomeno improbabile, mentre riteniamo che il conflitto ucraino possa trovare una sia pur momentanea soluzione, rileviamo che quello mediorientale è endemico e destinato a durare fino alla fine della storia.
Gianni Cimbalo
[1] G. Cimbalo, L’evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiese nella Nuova Ucraina. Alla ricerca dell’Autocefalia, in “Diritto e religioni” 2-2020, pp. 252-304; ID., La guerra Ucraina e la destabilizzazione dei rapporti ecumenici, Coscienza e libertà, 2021, n° 61/62, pp. 135-144; ID., Il ruolo sottaciuto delle Chiese nel conflitto russo ucraino, in “Diritto e religioni” n. 2 del 2021, pp. 487-512;
[2] UCADI, I comunisti anarchici, la questione ebraica e quella palestinese, Newsletter Crescita Politica, n. 178, novembre 2023 – numero speciale. [3] Il popolo curdo per la rivoluzione sociale, Newsletter Crescita Politica, N. 156 – Febbraio 2022.