Il CROLLO DEL FRONTE INTERNO IN UCRAINA

Mentre il generale inverno congela il fronte e costringe i soldati a rintanarsi nelle trincee e nei bunker che costellano le linee di combattimento, entra in crisi il fronte interno ucraino, sotto il peso dell’ennesima chiamata alle armi e alla mobilitazione, alla quale risponde un numero sempre minore di uomini e donne. Stando a quello che scrive il New York Times del 18 agosto il numero totale di soldati ucraini e russi, uccisi o feriti dall’inizio della guerra, si avvicinerebbe a 500’000. Le perdite russe si avvicinerebbero 300’000 (si parla di casualties, persone ferite o uccise n.d.r.) e il numero sarebbe comprensivo di 120’000 morti e 170’000/180’000 feriti. Sul fronte ucraino le perdite militari si avvicinerebbero invece a 190’000 (di cui 70’000 morti e 100’000/120’000 feriti). Anche dando per reali i dati del giornale statunitense il bacino al quale le due parti possono attingere per reclutare truppe è incommensurabilmente diseguale e non è quindi azzardato dire che l’Ucraina sta raschiando il barile: non basta chiedere continuamente armi sempre più sofisticate per supplire alla carenza di truppe, tanto più che imparare ad usarle non si esaurisce nel saper utilizzare i proiettili disponibili – che peraltro scarseggiano – ma occorre saper fare un uso coordinato dei diversi armamenti disponibili. Una volta che entreranno in campo gli F 16 e si consumerà la battaglia aerea a quale arma si ricorrerà per fronteggiare la macchina bellica russa che continua a riversare uomini e donne sul fronte e che dispone di un apparato militar-industriale ora giunto a pieno regime, sotto la pressione dello sforzo bellico e che sforna continuamente armamenti sempre più sofisticati.
Lo scarso numero di reclute ha molte cause: gli 8 milioni di ucraini fuggiti all’estero hanno privato il paese di una parte consistente di popolazione giovane, tanto è vero che sembra siano ben 80 mila quelli che lo Stato ucraino chiede alla Polonia di rimpatriare, considerandoli renitenti alla leva. Ne il reclutamento va meglio tra la popolazione rimasta nel paese, visto che si moltiplicano i tentativi di eludere la chiamata alle armi: è a tutti noto che occorrono da 2 a 4 mila dollari per farsi riformare, ora che, per allargare il bacino dei mobilitabili, sono considerati tali i sieropositivi, le persone
affette da tubercolosi, epatite, altre malattie croniche e persino coloro che soffrono di alcune tipologie di disturbi mentali o neurologici. Dopo 22 mesi di guerra – anche se nessuno delle due parti dichiara quale sia il numero dei morti e dei feriti – questo è molto alto. Non solo ma chi ritorna ferito dal fronte trova una scarsa assistenza, magre pensioni e intorno a sé un morale sempre più fiacco, dovuto non solo agli incessanti bombardamenti, ma alla situazione sociale del paese.
Non sono pochi coloro che con la guerra si sono arricchiti, speculando sulla vendita all’estero delle derrate alimentari in condizioni di favore, approfittando dell’impoverimento di molte famiglie per acquisirne la proprietà, per commerciare in beni e servizi divenuti scarsi a causa della guerra, approfittando della corruzione dilagante per accumulare patrimoni ed appropriarsi di terre e di beni immobili, lucrando sulle forniture militari, appropriandosi di parte degli aiuti finanziari e alimentari provenienti dall’estero per alimentare il mercato nero, in molti casi vendendo le armi ricevute sul mercato clandestino.
Sul piano più generale dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che le sanzioni non hanno messo in ginocchio la Russia né abbattuto la sua economia; e questo mentre si moltiplicano gli scricchiolii sul fronte occidentale che fanno temere il venir meno del sostegno finanziario e militare a uno Stato ormai fallito. È giunto pertanto il momento di
chiedersi quanto ancora sussistano le ragioni per un impegno incondizionato a sostegno dell’Ucraina per i paesi occidentali nei quali si avverte una crescente ostilità alla guerra, ben nascosta dai politici e dalla stampa, sempre più asservita alla propaganda anti russa.

La crisi dei mandanti

Se è certamente vero che la guerra l’Ucraina è stata scatenata dall’invasione russa. bisogna avere l’onestà di riconoscere che essa è stata tenacemente voluta e perseguita sia dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, i quali, per ragioni diverse, ma convergenti, hanno sostenuto la decisione delle forze interne all’Ucraina, espressione del nazionalismo sciovinista e degli oligarchi ucraini legati all’agricoltura, arricchitisi dividendosi le spoglie dello Stato socialista ucraino, di preparare il distacco del paese dalla sfera di influenza russa, gestendo la privatizzazione del suo patrimonio.
Costoro, a partire dal 2014, hanno operato per promuovere la messa in vendita delle proprietà terriere ucraine, aprendo agli investimenti delle multinazionali, al fine di reperire i capitali necessari a una profonda trasformazione dell’agricoltura ucraina, individuando come obiettivo per i suoi sbocchi economici e commerciali, l’ingresso del paese nell’Unione Europea. Questa aspirazione dei kulaki ucraini trovava delle convergenze con il progetto strategico geopolitico della Gran Bretagna di mettere in crisi il processo di allargamento dell’Unione europea, inflazionandolo con l’ingresso rapido di altri paesi non omogenei all’Unione e al tempo stesso consentiva di rompere l’asse economico strategico che legava l’Unione europea alla Russia, dalla quale l’economia del continente riceveva l’energia necessaria ad alimentare a costi contenuti la propria produzione agricola e industriale.
Questo progetto era condiviso dagli Stati Uniti, per motivi strategici legati  all’allargamento della NATO è alimentato dai rapporti economici e commerciali frutto dell’interesse di molte multinazionali alimentari occidentali per l’acquisto delle terre, messe in vendita dal governo ucraino, grazie alla riforma agraria del 2019.
A fronte di questo progetto, gli oligarchi russi, i cui interessi sono ben rappresentati dal Cremlino, reagivano chiedo di partecipare alla messa in vendita dei territori ucraini, ma ne venivano esclusi. Decidevano quindi di alimentare il separatismo del Donbass, regione industriale nella quale erano concentrate gran parte delle produzioni ucraine
metalmeccaniche e soprattutto la produzione di acciaio, messe in crisi dalla  concorrenza della produzione occidentale, alla quale il paese si apriva. In altre parole le attività produttive di quest’area trovavano ancora collocazione sul mercato russo,
mentre erano fuori mercato in occidente dal punto di vista tecnologico e dei costi di produzione una vota che avessero dovuto approvvigionarsi di materie prime sul mercato occidentale invece di riceverle a “prezzo politico” dalla Russia: si spiega così la richiesta di secessione e adesione alla Russia o almeno la richiesta della realizzazione di un’area economica speciale attraverso la trasformazione istituzionale del paese verso una struttura federale. Il fallimento del piano è stato perseguito con determinazione dal governo di Kiev facendo sì che gli accordi di Minsk che avevano come perno proprio la concessione dell’autonomia a quei territori, fallissero.
Confidando su informazioni di intelligence errate e ignorando l’attività di preparazione alla guerra degli apparati militari del paese, grazie ad accordi segreti con la Gran Bretagna e la NATO, in essere dal 2014, la Russia intraprendeva la cosiddetta “operazione speciale” che aveva l’obiettivo di mettere in atto un colpo di Stato. Come è noto il fallimento dell’operazione, l’inattesa resistenza Ucraina, dimostrano il fallimento del progetto criminale putiniano di infeudamento di un intero paese con la forza, giustificato con la copertura ideologica costituita dal Russkiy mir, sostenuto dal Patriarcato Ortodosso russo. Le vittime designate di tutto questo sono i popoli ucraino e russo, spinti in una guerra fratricida che sta seminando odio, morte, disperazione, in nome e per conto di interessi geostrategici e di aspirazioni imperiali estranee agli
interessi dei popoli. Una guerra che tende a cronicizzarsi a divenire da un lato di posizione e dall’altro di guerriglia.
Tuttavia, non c’è dubbio sul fatto che alcuni obiettivi dei registi della guerra dell’una e dell’altra parte siano stati raggiunti: l’Unione europea è in crisi, economica e commerciale, La sua politica energetica è crollata, mettendo in discussione il progetto di economia verde: la sua agricoltura è in crisi, a causa del paventato ingresso nell’Unione
dell’Ucraina, al punto da produrre la rinascita dei partiti agrari nei diversi paesi europei; lo sforzo economico di sostegno all’Ucraina sta mettendo in crisi le economie dei singoli Stati e il loro welfare; la crescita dell’inflazione, dovuta anche a fattori di carattere internazionale più complessi, stritola il tenore di vita dei cittadini dell’Unione europea e i divari di reddito all’interno della popolazione dell’Unione si fanno sempre più ampi; in linea con quanto avviene nel resto del mondo, cresce il numero dei ricchi e aumenta quello dei poveri.

Il fronte interno

A questo punto della situazione è inevitabile chiedersi quale convenienza vi sia, soprattutto per il popolo ucraino, a continuare nella guerra, dando ascolto ai costanti appelli di Zelensky a continuare la lotta. La guerra ha prodotto un esodo calcolato in più di 8 milioni di abitanti che hanno trovato ospitalità in tutti i paesi del mondo. Molta di questa emigrazione, dopo due anni, tende a divenire stanziale, a radicarsi nei territori nei quali si è insediata, anche grazie ad un trattamento di favore ricevuto il nome della solidarietà dovuta nei confronti di profughi di guerra. Più passa il tempo più è difficile che, una volta terminato il conflitto, questi cittadini ucraini ritornino in patria. Una quota di essi certamente lo farà e, grazie a quanto accumulato nell’esilio, mentre altri combattevano e perdevano la vita o restavano offesi nel corpo e nella mente, potrà ritornare nel paese ed acquistare a poco prezzo i beni e le proprietà distrutte, presenti ovunque, alimentando nei loro confronti un risentimento sociale da parte di chi è rimasto in patria a combattere o sotto la minaccia delle armi ed ha perso tutto, prigioniero della povertà e della miseria. Contrariamente a quando ritengono i guerrafondai e i patriottardi, i popoli che escono dalle guerre non sono più coesi, accomunati dal dolore e dalle sofferenze, ma più divisi, perché sconvolti dal dolore e della disperazione, dal vedere intorno a sé e dall’aver vissuto e conosciuto il dolore e la
sofferenza.
In una società, futura così divisa, malata a causa della guerra per le migliaia di morti e di invalidi, quali prospettive vi sono per una vita degna di essere rivissuta, offerta ai futuri cittadini ucraini che dovranno vivere in un paese distrutto e devastato, inquinato dall’uso di armi chimiche, da armi ad uranio impoverito, disseminato di campi minati,
devastato nelle strutture e nell’animo?
Quale sarà la reazione di coloro che hanno combattuto nel vedere il paese e i suoi beni materiali che passano di mano a coloro che con la guerra si sono arricchiti, di chi giunge fresco fresco di capitali dall’estero ad acquisire beni e territori, a impossessarsi di ogni cosa che è sfuggita alla distruzione bellica?
Ma quale folle può pensare che sia ripristinabile nel paese la situazione precedente al 2014; che la Crimea possa ritornare nella piena giurisdizione ucraina, quando già non lo era e di fatto non lo è mai stata; come si può pensare che siano venute meno le ragioni economiche strutturali che facevano preferire alle popolazioni del Donbass di guardare con maggiore interesse ad un rapporto economico commerciale con l’ambiente russo, piuttosto che con quello occidentale; come si può pensare che l’introduzione dell’economia di mercato occidentale piena in un paese così devastato possa produrre benessere per una popolazione prostrata da anni di guerra, impoverita di giovani e di donne, priva di un sistema sanitario, educativo, di servizi e non comprendere che la guerra impoverisce tutti ed arricchisce soltanto speculatori ed
affaristi?
Il tessuto sociale del paese è devastato, ed insieme al rancore per le tante morti causate dalla guerra, insieme al dolore sollecitato dal ricordo e dalla memoria di massacri e uccisioni, all’odio profondo diffusosi a piene mani, un nazionalismo miope farà del paese una cloaca infetta, guardata con sospetto dagli altri popoli europei con i quali gli ucraini superstiti saranno chiamati a competere. La guerra ha prodotto i suoi effetti anche nei campi nei quali il paese prima eccelleva, come quello della produzione cerealicola, poiché su quel mercato la produzione Ucraina ha perso molte posizioni a livello internazionale.
Valgano per tutte le considerazioni relative alla produzione di grano, rispetto alla quale, è pur vero che oggi l’Ucraina continua a vendere la propria produzione, dimezzata rispetto ai volumi precedenti alla guerra, attraverso il corridoio commerciale istituito dall’Unione europea e che l’operazione ha fruttato agli speculatori ucraini molti profitti, a
danno dei produttori comunitari, ma, sul piano globale il paese ha perduto i suoi mercati tradizionali e la reazione dei produttori comunitari è furiosa al punto da impegnarsi ad essere rappresentata a livello politico con la rinascita di partiti agrari in occidente.
Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda) – nel 2023-24 la Russia dovrebbe produrre 90 milioni di tonnellate di grano, la seconda resa più alta mai registrata dopo la stima di 92 milioni di tonnellate per il 2022-23 e esporterà 50 milioni di tonnellate di grano, scalzando l’Ucraina da molti mercati: si tratterebbe della cifra di
esportazioni più alta di tutti i tempi per la Russia, mantenendo la sua posizione di principale esportatore di grano nel mondo.
Ciò significa comunque che il rendimento dell’economia dell’Ucraina è sempre più legato ai suoi rapporti con la Comunità europea, per la quale l’inserimento dell’Ucraina nella politica agricola comunitaria rappresenta tuttavia un grande motivo di crisi poiché, a causa delle regole comunitarie, il paese finirebbe inevitabilmente per assorbire la gran parte dei fonti di compensazione messi in campo dall’Unione a sostegno della produzione agricola. C’è da credere quindi che con il crescere della consapevolezza di questi meccanismi le forze politiche che all’interno dell’Unione sono perplesse sull’ingresso dell’Ucraina non potranno che crescere, aggravando quindi i problemi del paese e di coloro che sostengono politicamente la strategia di aggancio all’occidente.
Da ultimo, l’esplosione del conflitto di arabo israeliano e quanto sta avvenendo a Gaza e in Cisgiordania hanno allontanato l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica dal conflitto ucraino che appare oggi sempre più marginalizzato e dimenticato. Gli orrori che quanto sta avvenendo in Medio Oriente porta con sé fanno dimenticare la tragedia della guerra ucraina, assorbita da una società dello spettacolo, quella occidentale, che consuma e metabolizza ogni cosa, che si nutre delle frattaglie che una stampa asservita e interessata le offre per consumare il rito della partecipazione dell’opinione pubblica alle tragedie altrui, in realtà tranquillamente vissute ed accettate, spettacolarizzate e solo temute e subite per gli effetti materiali ed economici che provocano su un mondo distratto e lontano. A riprova di ciò basti richiamare l’attenzione sulle crescenti resistenze degli Stati Uniti a impegnarsi ulteriormente nel finanziamento della guerra e nel sostegno finanziario all’Ucraina che dal punto di vista finanziario è uno stato in default economico.

G.L.