La guerra in Ucraina con le sue centinaia e migliaia di morti continua a causare lutti e rovine e a destabilizzare l’ordine politico internazionale. Per quanti sforzi si facciano non si vede la fine in questo massacro e la possibilità di interrompere la sofferenza delle popolazioni coinvolte. I popoli di ambedue i paesi vedono morire migliaia di giovani mandati al massacro dagli interessi più grandi di loro perché sui campi dell’Ucraina si consuma lo scontro tra gli Stati Uniti e la Russia avendo come obiettivo quello di indebolire le capacità politiche ed economiche dell’Europa vera concorrente degli Stati Uniti.
Gli sforzi diplomatici per fermare il massacro sono inefficaci e comunque pressoché inesistenti. Anche la mediazione annunciata dalla Cina è rimasto più un enunciato di buona volontà che un’ipotesi reale sulla quale aprire una trattativa tra le parti. La determinazione degli Stati Uniti nel sostenere lo sforzo bellico ucraino fino alla vittoria sembra resistere al passaggio del tempo e apparentemente avvantaggia gli Stati Uniti poiché porta nuove adesioni alla NATO e compatta intorno all’Alleanza Atlantica i paesi europei sempre più succubi economicamente e militarmente, nonché politicamente, dell’alleato nordamericano.
La sola soluzione possibile sembra quella dell’apertura di una trattativa che parta da un cessate il fuoco, quanto mai improbabile a causa della non esaurita capacità bellica delle parti; tuttavia, una tregua e la sola occasione sulla quale costruire un’ipotesi di cessazione almeno momentanea delle ostilità. La soluzione che si prospetta, al di là dei proclami di Zelensky, che vorrebbe riconquistare la Crimea e dichiara ad ogni piè sospinto di non volersi fermare prima di avere perseguito ed ottenuto la liberazione di tutti i territori ucraini occupati, è quella di stabilire sulla linea del cessate il fuoco, una soluzione cosiddetta coreana con l’indicazione di una linea di tregua che costituisca almeno temporaneamente una frontiera fra le parti in attesa di trattative muovendo da posizioni più ragionevoli. Intanto il massacro continua in una guerra che ormai divenuta di posizione, una guerra che si combatte come guerra di trincea e somiglia più alla Prima che alla Seconda guerra mondiale. Siamo di fronte ad uno scontro di logoramento che rischia di lasciare sul campo ambedue i contendenti. Ne è prova l’utilizzazione di armi ad uranio impoverito che oltre ad alzare il livello dello scontro hanno come solo effetto quello di provocare la morte sia di chi le usa che di chi ne subisce l’impatto nei combattimenti. Ma da parte di chi ha deciso l’utilizzo di queste armi non ci sono tentennamenti. perché ai committenti della guerra non interessa assolutamente nulla dei morti sul campo,né del popolo ucraino, né del popolo russo, anzi l’idea è che più ne muoiono e meglio è. Questo cinismo da parte dei committenti del conflitto sconcerta e dovrebbe far pensare tutti coloro che cadono nella trappola della propaganda bellica dell’una e dell’altra parte, facendosi avvolgere sia nelle spire del nazionalismo ucraino costruito a tavolino che dal nazionalismo russo e affascinare dal sogno di ricreare la grande Russia, rifondando l’impero costruito su base etnica e linguistica, sostenuto da una Chiesa ortodossa prona agli interessi dello Stato al quale la lega un rapporto di tipo sinfonico che è di fatto di subordinazione agli interessi profani dello Stato.
Tra guerra e pace
Intanto nelle opinioni pubbliche dei paesi dell’Unione europea cresce sempre di più l’avversione alla guerra e, malgrado ciò, nulla si muove a livello dei governi, i quali procedono senza alcuna verifica del sostegno dello sforzo bellico da parte dell’opinione pubblica e dello stesso elettorato. Questa propensione indotta alla guerra forzatamente,
imposta con sistemi che violano nei fatti la partecipazione democratica alle decisioni delle istituzioni i governi stanno distruggendo lo stato di diritto e qualsiasi parvenza di regime liberaldemocratico, sostituendo ai governi democraticamente eletti e alle maggioranze di governo delle democrature burocratiche prigioniere totalmente dei centri economici di potere, dei gruppi occulti che dominano la vita politica ed economica. Ne viene che i principi il nome dei quali la partecipazione alla guerra viene giustificata in realtà scompaiono perché lo scontro avviene tra poteri contrapposti, ma sostanzialmente di identica natura, con il medesimo rapporto di dominanza con i popoli.
Questa guerra è significativa perché dimostra in modo inequivocabile la natura dei conflitti bellici, la loro funzione strumentale come mezzo di massacro dei popoli che vengono schierati l’un contro l’altro armati, costretti a massacrarsi in nome di false idealità, di nazionalismi, di interessi oligarchici, di desideri e ambizioni di potere.
Tutti sembrano aver dimenticato che ancora più forte del principio internazionale di intangibilità delle frontiere e dei confini degli Stati è il principio di autodeterminazione dei popoli, ai quali spetta la prima e l’ultima parola nel decidere il proprio destino e che pertanto la giurisdizione e la forma di governo sui territori contesi non può che essere decisa, una volta che siano state ricreate condizioni di agibilità e di rispetto delle opinioni, dai cittadini di quei territori chiamati a pronunciarsi sulla forma di governo dei loro territori e a decidere e scegliere il proprio destino, sotto la vigile protezione di una forza internazionale di pace che funga da deterrenza al conflitto e da garanzia di equidistanza tra le parti in conflitto. Pertanto al cessate il fuoco e alla tregua nei combattimenti non può che seguire il ritorno degli sfollati e un referendum al quale sia garantita la libera partecipazione di tutti gli aventi diritto.
I tanti partiti di sinistra dei paesi nell’unione europea non sono stati capaci di fermare la guerra e anzi vi hanno aderito, cadendo nella trappola della retorica della solidarietà verso il paese aggredito. Così facendo hanno decretato la loro crisi e la loro autodistruzione e aperto la strada al trionfo delle destre, incapaci di comprendere che nel DNA di una forza di sinistra è contenuto il rifiuto della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti sempre e comunque perché nella guerra ad essere coinvolti sono i popoli e sono i popoli a pagare il prezzo della guerra con morte e distruzione e con i sacrifici dei soldati e delle popolazioni delle diverse parti in lotta che sono tutti figli del medesimo rapporto di sfruttamento da parte dei detentori del potere dall’una e dall’altra parte. In una parola è sempre il proletariato a pagare il prezzo della guerra, mentre i padroni incassano con l’economia di guerra e con il profitto derivante dalla vendita delle armi, alimentando perciò il massacro e confidando nei guadagni che accumuleranno dalla ricostruzione di quanto verrà distrutto in infrastrutture e servizi.
Da questa situazione non si esce che con la pace, la quale può venire sono da una mobilitazione capillare e diffusa contro la guerra e dalla acquisita consapevolezza che lo scontro in atto è fatto sulla testa e sulla pelle dei popoli, a loro danno, e che le idee di nazionalismo, di patriottismo, di difesa dell’etnia e dell’identità, sono dei comodi paraventi dietro i quali si nasconde il padrone e subdolamente impone il sacrificio dei popoli.
Ai partiti di sinistra se sono tali non resta che farsi portatori di questo piano di pace.
G. L.