Per Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, bisogna preparare i cittadini dell’Unione europea alla guerra e perciò questo burocrate, criminale e irresponsabile, ha rispolverato il broccardo romano “Se vuoi la pace prepara la guerra”. Il primo passo in questa direzione è di convincere le popolazioni europee che bisogna mobilitarsi per difendersi dall’aggressore, un dittatore sanguinario che ha aggredito un paese sinceramente democratico: l’Ucraina. Il paese aggressore, la Russia, è animato da aspirazioni imperiali, è retto da un governo dittatoriale, che muove guerra a un paese democratico e liberale, che garantisce ai propri cittadini le libertà civili tipiche delle democrazie occidentali.
Questa narrazione è falsa, perché se è vero che la Russia è retta da un autocrate che è stato appena rieletto plebiscitariamente da un voto senza oppositori, è rigidamente controllata ed orientata dalla propaganda di regime e dal timore di rappresaglie verso i cittadini dissenzienti; se è vero che le truppe di questo paese, nel corso di un conflitto già in atto dal 2014, il 24 Febbraio 2021 hanno invaso il territorio dell’Ucraina, è anche vero che l’Ucraina è un paese tutt’altro che democratico, molto simile alla Russia, nel quale le minoranze linguistiche, etniche e religiose sono represse, dove le libertà democratiche di stampo liberale sono negate, dove ben 11 partiti politici sono stati posti fuori legge prima dell’inizio della guerra, dove imperversano milizie e formazioni di destra che alimentano l’odio religioso, quello etnico, quello politico; dove vige la legge marziale, dove il Presidente della Repubblica opera in regime di prorogatio, avendo
rinviato le elezioni, malgrado che il suo mandato sia scaduto. In ambedue questi paesi una profonda disuguaglianza sociale divide i cittadini, mentre l’economia dei due paesi è completamente controllata da oligarchi che banchettano sui resti di quello che fu lo stato socialista, spartendosi le sue spoglie; alla disuguaglianza economica e sociale si accompagna la negazione dei diritti individuali e delle libertà civili.
A fronte di questi dati di fatto vi è chi afferma che la degenerazione dello Stato liberale in atto in Ucraina è frutto della guerra; che il paese è stato costretto ad adottare la legge marziale per fronteggiare il conflitto, a rinviare le elezioni sine die per le difficoltà nel tenerle; che in tempo di guerra le libertà civili, compresa quella religiosa, sono sospese come pure i diritti delle minoranze;che vi è insomma una situazione di emergenza che richiede regole speciali. Ma non è così perché l’Ucraina, già prima del 24 Febbraio 2021, era retta da un regime illiberale, caratterizzato dalle stesse violazioni dei diritti che abbiamo segnalato, poiché reprimeva le minoranze linguistiche ed etniche,;era in corso nel paese una guerra fra confessioni religiose senza esclusione di colpi; proliferavano le formazioni paramilitari di destra che si distinguevano per azioni di rappresaglia nei confronti delle minoranze interne al paese, prova ne sia che la guerra civile nel Donbass era già in corso.
In nome della difesa di questo regime, tutt’altro che democratico e liberale, la leadership politica dell’Unione europea sta dissanguando le risorse dei popoli dell’Unione, impegnandoli in una guerra per procura contro la Russia che ha il solo risultato di far massacrare la popolazione ucraina e quella russa sui campi di battaglia e di mandare a morte migliaia di giovani, uomini e donne, con l’aggravante che sul campo di battaglia si scontrano i popoli di due paesi un tempo fratelli, che hanno tradizioni e origine comuni e che le popolazioni sono bersagliate da bombardamenti senza esclusione di colpi.
Bisognerebbe inoltre avere l’onestà di dire che mentre l’Ucraina dispone di una popolazione quattro volte inferiore a quella russa, con il risultato che un’intera generazione di ucraini che va dai 19 ai 27 anni (l’età della leva) è cancellata dalla storia o dispersa in quello che resta del paese, mutilata da ferite orribili per effetto della guerra sui campi di battaglia e dei bombardamenti; la Russia, invece, che ha 144 milioni di abitanti, può alimentare il massacro con un numero infinitamente maggiore di vittime reclutate in gran parte fra le fasce più povere e diseredate del paese.
Prendendo atto da questo radicale disequilibrio di forze noi non siamo così cinici da desiderare la morte per procura del popolo dell’Ucraina né di quello russo e di fronte alla richiesta di schierarsi in difesa degli interessi degli oligarchi dell’una o dell’altra parte, dell’uno o dell’altro Stato, diciamo no alla guerra e rifiutiamo il gioco di scegliere tra “aggrediti e aggressori”. Siamo convinti che la sola verità relativa all’Ucraina è che ci sono due vittime della guerra: i popoli di ambedue i paesi.
I popoli si difendono come possono
Trascinati in guerra, sia il popolo ucraino che quello russo, si difendono come possono. Gli ucraini, vessati dall’invasore e dai bombardamenti, hanno abbandonato il paese ben 8 milioni. Certo, questa prima reazione è stata il frutto del bisogno di mettersi in salvo, ma per molti di loro questa scelta si è consolidata e si calcola che ben 300.000 ucraini, potenziali soldati arruolabili, si rifiutino oggi di rientrare nel paese, prova ne sia che il governo ucraino, a corto di uomini e donne da inviare al fronte, ha chiesto ai paesi ospitanti di rispedirli coattivamente in patria, inutilmente. Né va meglio in patria, perché il governo ucraino non riesce a far approvare una legge che estende il reclutamento al di sopra dei 27 anni. Nel tentativo di reclutare comunque truppe da mandare al fronte la Rada i ha ristretto il reclutamento ai venticinquenni; mentre in Parlamento si discute le ronde dell’esercito reclutano forzosamente uomini e donne, per spedirli a fronte e moltissimi sono coloro che per sfuggire alla mobilitazione forzosa vivono di fatto in clandestinità nel paese, approfittando delle difficoltà di controllo del territorio da parte delle autorità statali, ostacolato dallo stato di guerra.
Molti sono coloro che per lo stesso motivo ricorrono alla corruzione e pagano medici e reclutatori per essere esentati dalla chiamata alla armi. Anche se è cosa poco nota, altrettanto avviene in Russia dove chi ha potuto è espatriato prima che le frontiere venissero bloccate: i renitenti alla leva russi sono presenti in Serbia come nelle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia, in Georgia come in Armenia o si sono rifugiati nelle Repubbliche turcofone ex sovietiche dell‘Asia.
L’incidenza del fenomeno è certamente inferiore numericamente in Russia di quanto non lo sia in Ucraina a causa del fatto che esiste una sproporzione enorme tra la popolazione mobilitabile nei due paesi, ma questo non significa che le popolazioni siano così propense alla guerra.
Aggrediti ed aggressori
Ad Occidente si suole giustificare il sostegno all’Ucraina affermando che essa è vittima di un’aggressione, frutto di una palese violazione del diritto internazionale. Questa narrazione è fuorviante e funziona solo a patto di iniziare a narrare i fatti partendo dalla data d’inizio della cosiddetta “operazione speciale”, messa in atto dalla Russia, trascurando il fatto che il conflitto tra i due paesi era iniziato già dal 2014, con la secessione delle province orientali ucraine, colpite dallo spostamento ad Occidente dell’economia del paese e dalla crisi del settore industriale e minerario situato in quelle
aree dell’Ucraina che vivevano e prosperavano grazie a materie prime fornite a prezzo politico dalla Russia e avevano come sbocco il mercato di quel paese. Il sacrificio dell’economia di quei territori ha dunque alimentato le tendenze secessioniste delle popolazioni, accresciute dagli attacchi di milizie e formazioni politiche di destra, formatesi prevalentemente nelle aree occidentali del paese. (vedi formazione paramilitare neonazista Azof e simili). Infatti un ruolo importante nell’esplosione del conflitto è stato svolto dal nazionalismo ucraino, fortemente sostenuto da quella parte del clero ortodosso legato al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e all’uso che il Dipartimento di Stato ha fatto di questa struttura ecclesiastica ai fini di assumere il controllo dei paesi a maggioranza ortodossa dell’Est Europa, sottraendoli
all’egemonia esercitata dal Patriarcato di Mosca.[1]
Ma la crisi Ucraina è esplosa soprattutto quando il nazionalismo ucraino e le sue strategie finalizzate a portare il paese nell’Unione europea e nella NATO si sono congiunte con gli sforzi di destabilizzazione della politica dell’Unione Europea intraprese dalla Gran Bretagna al momento della progettazione della Brexit e accentuatesi dopo la sua realizzazione. Non è da sottovalutare il ruolo della diplomazia inglese da un lato nel far fallire gli accordi di Minsk e dall’altro nello sforzo segreto e mascherato di armare l’Ucraina, addestrandone i sevizi secreti e le truppe speciali,
soprattutto dopo il 2014 e in conseguenza degli eventi seguiti agli scontri di Piazza Maidan, nell’interesse statunitense a mettere in crisi l’economia europea, recidendo i rapporti economici e commerciali di questa con la Russia.
Gli obiettivi della Gran Bretagna di destabilizzazione dell’asse euro russo
La realizzazione della Brexit separava definitivamente i destini della Gran Bretagna da quelli dell’Europa continentale. La politica estera inglese, da quel momento, riassumeva come prioritario il suo obiettivo storico: dividere l’Europa continentale, indebolirla, in modo che non potesse mai e comunque costituire un pericolo per l’Inghilterra, un
tempo dal punto di vista militare oggi sul piano economico e finanziario. Diveniva perciò prioritario minare l’economia continentale, basata all’epoca su un costo contenuto dell’energia – gas e petrolio – frutto di una partnership con la Russia che otteneva in cambio investimenti e diveniva di fatto il partner commerciale e politico favorito dell’area continentale europea. Da qui l’avversione inglese (e americana) per l’ingresso in esercizio del Nord Stream 2 che avrebbe consentito approvvigionamenti di petrolio e gas dalla Russia a prezzi contenuti conferendo un’alta competitività alle merci prodotte
in Europa. Sarebbe stato possibile ridurre al minimo i costi di produzione e ridurre quello di importazione di energia, evitando di pagare i diritti di passaggio degli oleodotti e gasdotti i paesi transfrontalieri, conferendo al gasdotto del nord Atlantico un’autonomia operativa a costi minori. L’occasione per incidere su questo assetto viene offerta dalla fine del mandato politico di Angela Merkel, grande protettrice e garante di questi rapporti, prova ne sia che il terminale del Nord Stream 2 in terra tedesca era situato non a caso nel lander di provenienza della ex prima ministro.
Il mancato rispetto degli accordi di Minsk, dopo il secondo tentativo compiuto per darvi corso, induce Putin a giocare la carta dell’invasione punitiva, confidando su una insufficiente conoscenza della situazione politica nel frattempo evolutasi in Ucraina, sottovalutando i legami profondi intessuti sia dagli Stati Uniti che dalla Gran Bretagna, di concerto con il Patriarcato ecumenico per rafforzare la tenuta sociale e politica del nazionalismo ucraino. [2]
L’invasione, concretizzatasi nel tentativo di prendere Kiev, attuando una sorta di colpo di Stato sul modello di quelli dell’URSS verso i paesi satelliti, le rappresaglie, i massacri conseguenti al fallimento dell’operazione, come quello di Buča, perpetrato nel marzo 2022. non hanno fatto altro che rafforzare il nazionalismo ucraino nella prima fase della
guerra e alimentare la chiamata alle armi in difesa della nazione aggredita.
L’imprevista resistenza del governo Zelensky induceva sia la NATO che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna a tentare la carta della guerra per procura. Da qui il crescente sostegno in armi e in finanziamenti alla guerra ucraina e l’impegno dei paesi NATO nell’alimentare il conflitto, fornendo sempre nuove armi all’esercito ucraino, mentre una
attente propaganda di guerra alimentava l’idea che la Russia poteva essere sconfitta dalla eroica resistenza di un popolo e veniva alimentata la narrazione che la difesa dell’Ucraina era essenziale per difendere l’occidente aggredito.
La ritirata del corpo di invasione che era penetrato nel paese, diretto verso Kiev, è stata sostituita dalla Russia da una rimodulazione dell’intervento, calibrato sulla difesa della Crimea e sull’annessione degli oblast secessionisti, muovendosi su un fronte lungo più di 1000 km che parte da Kharkiv per spingerci fino ad Odessa, mentre i bombardamenti continui colpiscono le infrastrutture del paese, riducendolo ad un cumulo di macerie, inquinandone il suolo e le acque, minandone il territorio e trasformando la guerra in uno scontro di posizioni che in due anni ne ha letteralmente distrutto il tessuto connettivo e ha fatto emergere la sproporzione esistente tra le potenzialità dei due contendenti.
Dal punto di vista strategico la Russia è riuscita ad occupare le coste del mar d’Azov fino a quasi raggiungere il porto di Odessa e l’estuario del Dnepr e ad acquisire il controllo pressoché completo di 4 oblast orientali.(Donnes’k, Lugans’k, Zaporižžja, Kerson) anche se la linea del fronte è incerta e mobile. Le truppe ucraine attraversano grandi difficoltà a causa della scarsezza di munizioni, dell’inferiorità delle truppe da schierare, della mancanza di copertura aerea.
Da parte occidentale gli unici ad avere raggiunto i loro obiettivi sono i britannici e i loro alleati che utilizzando i servizi segreti ucraini, proprie squadre di sabotatori addestrati, sono riusciti a far esplodere il Nord Stream 2 e a decretarne l’abbandono. Le sanzioni varate nei confronti della Russia come atti di ritorsione per l’invasione dell’Ucraina hanno pressoché azzerato le importazioni di petrolio e gas dalla Russia, reindirizzando l’approvvigionamento europeo verso altre aree del mondo e rendendo competitivo il gas liquefatto di produzione statunitense verso il quale molti paesi europei sono stati costretti ad orientarsi, dovendo accettare il maggior costo del prodotto.
L’economia europea ha dovuto sopportare gli effetti di questa ristrutturazione dei costi di produzione e quello del sostegno alla guerra d’Ucraina, causato dal flusso dei migranti a causa della guerra, dal costo delle armi occorrenti al conflitto, dal mantenimento dello Stato ucraino, di fatto fallito, con il risultato di dover rinunciare a larga parte dei progetti green per la sua economia, l’ingresso in recessione tecnica del paese economicamente più avanzato, la Germania, l’assunzione di una politica generale di riarmo e l’aumento delle spese militari, una crisi violentissima della politica
agricola comune che costituisce il settore destinato a pagare il prezzo dell’adesione dell’Ucraina all’Unione europea.
Il fronte interno
Dopo 26 mesi di guerra la situazione sul terreno sembra ormai giunta ad una svolta. La guerra è costata più di un milione tra morti e feriti; difficilmente calcolabili le vittime civili dall’una e dall’altra parte; si è trasformata da guerra di movimento in guerra di trincea. Tuttavia mentre la Russia continua a mobilitare nuove truppe e a riversarle sul campo di
battaglia l’Ucraina è ormai a corto di risorse umane e la chiamata alle armi della popolazione dai 19 ai 25 anni vede una forte renitenza alla leva e il crescente rifiuto di accettare la coscrizione obbligatoria, la crescita dei disertori, il rifiuto di coloro che sono espatriati di rientrare nel paese a combattere.
Lo stato di guerra, l’imposizione della legge marziale, la crescita degli odi e dei risentimenti, l’intersecarsi con la mobilitazione contro la Russia della guerra tra le diverse confessioni religiose del paese, i fenomeni di corruzione, di accaparramento dei profitti di guerra, l’odio crescente tra le diverse etnie e gruppi linguistici che coinvolge ormai sia le popolazioni di lingua e cultura ungherese che quelle di lingua e cultura rumena, per non parlare della persistente presenza di popolazioni russofone, minano dall’interno la resistenza Ucraina. [3]
Gli unici risultati che il governo Zelensky può vantare di aver raggiunto riguardano la promessa di un’adesione accelerata, senza condizioni e senza alcun rispetto dei parametri previsti dai Trattati di ingresso nella comunità europea e nella NATO, la prospettiva di poter far gravare le spese di ricostruzione del paese su investitori internazionali e sull’Europa, in considerazione del fatto che è impensabile che sia la Russia ad accollarsi i danni di guerra; il vantaggio di disporre di continui finanziamenti a sostegno di un’economia che ha crescente difficoltà di ripresa e sviluppo, anche in
considerazione della distruzione del tessuto agricolo ed industriale del paese, del suo dell’inquinamento, della presenza ingente di ordigni bellici su tutto il suo territorio, a fronte inoltre di una crescente diminuzione della popolazione del paese. Uno degli effetti sicuri di questa guerra è infatti una crisi demografica disastrosa e incolmabile della popolazione ucraina che ha visto perire sui campi di battaglia le classi fertili della sua popolazione.
Tutto questo avviene mentre l’aggressore russo si rafforza, mobilitando ulteriori 150.000 uomini, anche se in parte destinati a far fronte all’espansione dei confini con i paesi della NATO, mentre l’industria bellica russa è ormai entrata pienamente in funzione, lavorando su tre turni di 8 ore per 24 ore e producendo nuovi armamenti, al punto che
l’arsenale che il paese possedeva prima dell’inizio delle operazioni in Ucraina è stato completamente o quasi sostituito da nuove armi prodotte in questi due anni, il cui uso, sperimentato sul campo di battaglia, ne ha visto crescere l’efficacia distruttiva, come ad esempio è avvenuto con le bombe volanti.
Malgrado le decisioni dell’Occidente di procedere al riarmo e alla conversione delle proprie industrie in produzioni di armamenti i tempi occorrenti per dare attuazione a questa riconversione richiedono il prolungamento del conflitto per altri due anni. In ambienti occidentali – dove si ha tutta l’intenzione di far continuare la mattanza – si pensa di raggiungere questo obiettivo attraverso la fornitura di un consistente numero di aerei F 16 da combattimento all’Ucraina che dovrebbero entrare in linea in coincidenza con l’offensiva russa di primavera.
Gli esiti di un’eventuale battaglia aerea non potranno tuttavia cambiare il risultato finale della guerra e questo non perché in ultima istanza la Russia mantiene l’opzione di poter utilizzare il ricorso alle atomiche tattiche, ma perché i tempi di mobilitazione e le forze che le due parti sono in grado di mettere sul campo di battaglia sono così proporzionate da non poter reggere alla lunga il confronto. È, se non altro, questa la ragione principale che impone la ricerca della pace e la necessità di un confronto sulla base di una trattativa credibile che tenga conto degli interessi reciproci in campo e
soprattutto che non sacrifichi i due popoli indotti a farsi guerra.
La nostra posizione sulla guerra d’Ucraina
La nostra avversione alla guerra non muove solo dalla profonda convinzione che essa serve alle classi dominanti per spingere quelle subalterne a massacrarsi a vicenda in nome degli interessi di tutti coloro che dalla guerra traggono profitti. Perciò nell’analizzare le ragioni e le cause dei conflitti siamo propensi ad indagarne le cause economiche e sociali, a prescindere da un astratto rispetto per le norme del diritto internazionale che dovrebbe regolamentare i rapporti fra i popoli. È per questo motivo che consideriamo quello ucraino uno dei 60 conflitti attualmente in corso nel mondo, come parte di quella guerra in corso tra le grandi potenze per pervenire a un nuovo assetto dei rapporti economici fra le diverse aree del pianeta, e perciò evitiamo di cadere nella trappola delle valutazioni etiche e morali, precedendo a guardare ai fatti
e agli interessi che questo scontro sottende. Siamo lontani dall’appartenere alle tifoserie dell’Occidente e del sistema sedicente democratico-liberale come da quelle facenti capo ai sistemi autocratici, e abbiamo come stella polare l’interesse dei popoli, il loro benessere, l’aspirazione alla libertà e alla pace e alla convivenza reciproca, senza procedere alla distruzione dell’ambiente e del pianeta.
Per questo motivo affermiamo che la guerra in atto tra l’Ucraina e la Russia ha ragioni economiche profonde e complesse che riguardano sia gli autocrati e gli oligarchi dei due paesi impegnati a contendersi il controllo dell’economia e delle materie prime di Ucraina e Russia che ragioni ed interessi di carattere strategico internazionale concernenti l’equilibrio tra le diverse aree economiche del pianeta. È perciò, che muovendo dal punto di vista di cittadini che abitano nell’area europea, riteniamo che sia interesse dei popoli dell’intera Europa decidere se organizzare la propria economia
avendo come asse di sviluppo di riferimento un rapporto tra l’area europea e la Russia, come avveniva prima della crisi Ucraina, oppure guardare ad un rapporto secondo l’asse nord-sud e intrattenere una parte partnership economica e sociale con l’Africa.
Consideriamo perciò la difesa della democrazia liberale ancora meno di una foglia di fico dietro la quale l’Occidente si nasconde per difendere interessi economici e di potenza e al tempo stesso diamo un giudizio severo e ci opponiamo con forza alle ragioni etiche e morali delle quali si fanno portatori sia Putin che il suo cappellano di Stato Kjrill che – sia detto per inciso – non sono dissimili il nulla da quelli sostenuti dal sedicente Patriarca Epifanio della Chiesa scismatica Ucraina e dallo stesso Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, alleati dell’Occidente.. Non abbiamo nessuna preferenza e nessuna simpatia per questo o quel prete del quale non vogliamo difendere la rapacità e gli interessi finalizzati al possesso del potere spirituale e materiale, come le espropriazioni, ad opera dello Stato, di beni ecclesiastici attualmente in corso in Ucraina, dimostrano. Un profondo disprezzo ci spinge a rifiutare con forza le trame di questi sciacalli che banchettano sui morti dell’una e dell’altra parte, ammantandosi di valori che in realtà mascherano interessi materiali e di esercizio del potere.
Non abbiamo nessun interesse a giustificare ruolo e funzione dello stolto Stoltenberg, segretario eterno di una organizzazione militare criminale che ha costellato la propria ingloriosa storia di interventi ripetuti nei più svariati paesi (Afganistan, Iraq, ecc.), avendo la sola capacità di perdere le guerre e di massacrare i propri soldati e quelli nemici, commettendo atroci crimini di guerra, seguendo logiche e utilizzando metodi il nulla diversi da quelli delle compagnie mercenarie russe come la Wagner.
Nessun giudizio morale quindi sulle ragioni di questa guerra, nessuna nessun cedimento camuffato dietro la difesa di valori ideali, siano essi dell’Ocidente o della democrazia liberale, ma un confronto sulla base di considerazioni di mero interesse strategico ed economico che devono essere valutate tenendo conto di quando esse sono compatibili con il mantenimento della pace e il rispetto degli altri popoli, chiamati ad una comune lotta per la liberazione dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e per la costruzione di una società di liberi ed eguali che abolisca lo sfruttamento e consenta a tutti un’eguale accesso alle cose belle della vita.
Siamo fermamente convinti che la sola guerra che è giusto combattere è quella di classe contro i capitalisti e i padroni sfruttatori, siano essi travestiti da ricchi e liberali imprenditori che da oligarchi al servizio di questo o quel dittatore, che dichiarino di agire in nome del popolo o della libertà di impresa, che siano agenti di uno Stato o di un
regime di autocrati. Sappiamo che la chiara comprensione di quanto avviene nel quadro politico internazionale è uno dei punti di partenza per una coerente e razionale visione dei rapporti fra le classi e il presupposto necessario dal quale muovere per orientare la nostra azione politica.
[1] G. Cimbalo, L’evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiese nella Nuova Ucraina. Alla ricerca dell’Autocefalia in “Diritto e religioni” 2-2020, pp. 252-304, https://www.giovannicimbalo.it
[2] G. Cimbalo, ID., Il ruolo sottaciuto delle Chiese nel conflitto russo-ucraino, in “Diritto e religioni” n. 2 del 2021, pp. 487-512. [3] Il crollo del fronte interno in Ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 180, 2023; Due considerazioni sull’Ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 176, 2023; I guasti della guerra ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 170, 2023; Le cause economiche della guerra ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 160, 2023; Guerra in Ucraina: la pista britannica, Newsletter Crescita Politica, n. 158, 2022; L’Ucraina di Zelesky prima di Putin, Newsletter Crescita Politica, n. 158, 2022; Il questuante e il dittatore, Newsletter Crescita Politica, n. 183, 2024.
G. L.