Keir Starmer, leader laburista stravince le elezioni in Gran Bretagna alla Camera bassa del Parlamento, conquistando 412 seggi su 650 con il 33,8% dei voti, mentre i conservatori si fermano a 121 seggi con il 23,7% dei voti; i liberal democratici ottengono 72 seggi con il 12,2% dei voti e solo 5 seggi vanno a Reform Uk, il partito di Farage, che ha raccolto circa il 14% dei suffragi, 40 i candidati indipendenti.
Per comprendere come tutto ciò sia potuto avvenire occorre guardare alla legge elettorale: per le elezioni alla Camera dei comuni, che è l’unica delle due camere del Parlamento eletta direttamente, si applica il sistema uninominale secco. In pratica si vota nei 650 collegi uninominali e viene dichiarato eletto il candidato che ottiene il maggior numero
dei voti espressi. Meglio si comprende l’orientamento degli elettori se si guarda ai voti espressi in valore assoluto: si rileva allo*ra che i laburisti hanno ottenuto questo strepitoso successo pur avendo avuto meno voti in valore assoluto di quanto ne ebbero nelle passate lezioni e solo tre milioni e mezzo di voti li divide dal partito conservatore. mentre il
liberal democratici hanno eletto moltissimi deputati pur avendo avuto meno voti in valore assoluto del partito di Farage.
Inoltre molti sono i candidati indipendenti risultati eletti, a indicare l’insoddisfazione degli elettori che, dove hanno potuto, hanno abbandonato i principali partiti. In ogni caso queste elezioni pongono fine a 14 anni di governo dei conservatori che in questo arco di tempo hanno bruciato ben 5 leader, rivelatisi inadeguati a gestire il paese inanellando ripetuti insuccessi e si caratterizzano per la partecipazione al voto più bassa degli ultimi cento anni.
Un paese allo sbando
Quando nel 2010 i conservatori andarono al governo misero a punto una strategia che nelle loro intenzioni avrebbe dovuto restituire al paese la potenza perduta, ritagliando per la Gran Bretagna un nuovo ruolo nell’economia globalizzata e trasformando l’isola in una piattaforma che avrebbe dovuto gestire mercati e transazioni finanziarie in tutto il mondo, grazie ad una moneta autonoma, ad una propria banca centrale, al suo ruolo strategico all’interno del mondo anglosassone, considerato la guida dell’occidente. Per questo motivo il gruppo dirigente conservatore ipotizzava l’uscita della Gran Bretagna dalla Brexit, la creazione all’interno della NATO di un settore speciale di alleanza per il Nord Atlantico, che allargava l’Alleanza a Norvegia e Finlandia (poi costituito), privilegiando i rapporti all’interno della Five Eyes , organizzazione di “sorveglianza” di ciò che avviene nel mondo, che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti che avrebbe potuto costituire la base di una rete di rapporti anche economici e finanziari, alternativa alla presenza del paese nell’Unione europea e capace di restituire al paese la dimensione imperiale perduta.
I fatti e le dure leggi dell’economia hanno dimostrato che l’ipotesi era fallace, prova ne sia che, dopo l’improvviso referendum indetto da Cameron, quando è iniziata la procedura della Brexit, l’economia britannica è crollata e i tassi di crescita del paese si sono ridotti. L’ipotesi di fare dell’isola un centro attrattivo per i capitali si è dimostrata fallace, con lo spostamento invece di ingenti capitali finanziari verso i mercati continentali. La globalizzazione ha subito, anche a causa del Covid, una brusca battuta di arresto; è iniziato un processo di nearshoring che ha contratto i commerci internazionali sulle lunghe distanze, tutto ciò con il risultato che l’ipotesi di sviluppo del paese si è proiettata in uno
scenario non più realistico e di fatto inesistente.
Il risultato di tutto questo è divenuto palese non solo con il ridursi delle performance economiche della Gran Bretagna, ma anche per i con i ripetuti fallimenti dei diversi governi avvicendatesi alla guida del paese. Da qui la crescita del conflitto sociale, degli scioperi, del disagio della popolazione. Il sistema sanitario nazionale, vanto del paese, anche a
causa del Covid e per il ridursi delle risorse, entrato in crisi irreversibile.
Di particolare rilevanza è la crisi apertasi all’interno del mercato del lavoro: l’abbandono del paese dei lavoratori comunitari, imposta dalla Brexit, ha alimentato la crescita dell’immigrazione illegale perché il mercato chiede più forza lavoro, anche a causa della crisi demografica che non supplisce a questi fabbisogni. D’altra parte l’emigrazione
clandestina incide sulla struttura e la tenuta dei salari, determinando un abbassamento delle retribuzioni e quindi fa emergere il problema migratorio come centrale per il paese che è stretto tra il fabbisogno di forza lavoro e la presenza di un mercato clandestino e parallelo del lavoro che deprime i prezzi dei salari reali e legali. Eppure è un dato di fatto che l’Inghilterra, come molti altri paesi europei, oggi non riesce a soddisfare i bisogni del suo sistema produttivo senza il sostegno dei migranti.
Con tutti i suoi limiti, la vittoria laburista sembra aver posto per il momento la sordina al separatismo scozzese: infatti i separatisti scozzesi sono stati pesantemente ridimensionati, riconsegnando il paese a una gestione politica nazionale. Non altrettanto può dirsi per i nord irlandesi la cui forza e determinazione rimane invariata: dall’esito delle
prossime elezioni nella Repubblica irlandese dipenderà l’accelerazione del processo di secessione.
Anomalie e consonanze del voto inglese
Una attenta analisi del voto ci dice che il comportamento dell’elettorato britannico non è dissimile da quello degli altri paesi europei. Il mal governo di questi decenni che ha prodotto una redistribuzione mai così diseguale della ricchezza e del benessere, l’abbandono da parte dei partiti della sinistra delle istanze di classe e l’assenza di un progetto di società alternativa ed egualitaria, hanno prodotto lo spostamento a destra dell’elettorato, alla ricerca di soluzioni possibili al sempre maggiore disagio delle classi subalterne. La sensazione di palese insicurezza, di perdita dei punti di riferimento culturali e politici, hanno consentito alla destra di guadagnare credibilità. prova ne sia che anche in Gran Bretagna sommando i voti dei conservatori e quelli di Farage i voti della destra sopravanzano quelli della sinistra in una situazione in cui il centro è del tutto inconsistente (leggi liberaldemocratici) e l’astensione, come tratto caratteristico del comportamento elettorale, è altissima. In Gran Bretagna è solo il sistema elettorale il vero baluardo ad un’affermazione della destra, il che non significa che esso è garanzia di democrazia ma solo che consente all’élite di lavorare sui partiti per determinarne gli orientamenti, in modo che siano portatori di gruppi dirigenti intercambiabili, in grado di assicurare ai finanziatori del sistema il governo di fatto, ammantato dei valori cangianti di questa o quella maggioranza all’uomo necessaria. Prova sia che il partito laburista aveva già dalla passata legislatura i numeri per vincere, I conservatori erano già un partito ampiamente decotto, ma allora i laburisti erano schierati su posizioni radicali da Corbin e cioè era inaccettabile per l’establishment. Si è atteso perciò che la sua dirigenza fosse liquidata, utilizzando l’accusa di antisemitismo e si è provveduto a normalizzare il partito, per predisporlo al governo del paese. (Si è detto per inciso Corbin è stato rieletto a furor di popolo nel suo collegio elettorale con una con un vero plebiscito.)
La ricetta laburista
Mentre il programma del partito laburista guidato da Corbin era chiaro e si caratterizzava per un rafforzamento del settore pubblico, la ricostruzione del sistema sanitario nazionale, maggiori tasse per i ricchi, nazionalizzazione dei servizi pubblici, consistenti aumenti salariali e quant’altro necessario a rafforzare il sostegno economico alle classi meno agiate quello del partito guidato da Starmer, e vago e generico e si risolve sostanzialmente in una delega in bianco al premier sulle decisioni da prendere e rimedi da adottare. È pur vero che come prima decisione del suo esecutivo Starmer ha comunicato l’abbandono del piano Ruanda per il problema migratorio, ma resta da vedere come deciderà di affrontare
il problema dell’unificazione del mercato del lavoro che il vero rimedio ai guasti sociali causati da una migrazione incontrollata e illegale che crea il mercato nero del lavoro e di rifare il riflesso produce l’abbassamento dei salari o la loro stagnazione.
Proprio perché il partito di Starmer è omologato al potere esso mantiene le stesse posizioni dei precedenti governi sia sulla guerra in Ucraina che su quella a Gaza e perciò continuerà a drenare risorse nel paese da dedicare all’industria bellica e al finanziamento diretto all’Ucraina e occulto ad Israele, facendo venir meno quelle preziose risorse economiche che sarebbero necessarie per tentare di dare attuazione e soluzione ai problemi sociali che gravano sul paese in modo impellente e non procrastinabile.
Il governo presenterà 35 leggi per garantire la crescita economica e aumentare il tenore di vita, delegando maggiori poteri decisionali su trasporti, pianificazione, risorse, energia; ai leader locali; riformare la Camera dei Lord; da 228 a 182 seggi, abolizione del diritto di ereditare la carica di Lord e introduzione di un limite di età a 80 anni; tassare le
scuole private, recuperando così circa 1,5 miliardi di sterline per assumere altri 6.500 insegnanti aumentare l’assistenza ai genitori che hanno bambini in età di asilo; nazionalizzare le ferrovie. nel giro di cinque anni: 1,5 milioni di nuove abitazioni di edilizia popolare nei prossimi cinque anni. Abolizione dei Zero Hours contracts che permettono tra le altre cose di licenziare e riassumere con grande facilità; attenzione ai diritti delle minoranze; svolta green. Niente deportazioni in Ruanda, ma una nuova legge sull’immigrazione illegale con rafforzati i controlli alle frontiere.
A meno che non mutino gli scenari internazionali con il cessate il fuoco su ambedue i fronti di guerra non occorrerà molto tempo per vedere la politica economica del governo laburista naufragare miseramente come quella dei suoi predecessori, a meno che, sospinto dal disagio sociale e da una conflittualità sindacale che presto riprenderà il
governo non decida di fare propria una diversa politica fiscale e aumentare le tasse ai ricchi. In altre epoche della storia inglese questo sarebbe stato possibile perché il partito laburista era sostenuto principalmente dalle Unions ma oggi i suoi finanziatori sono i cosiddetti padroni illuminati, i sindacati hanno scarsa capacità di orientare la scelta dei candidati, e inoltre le organizzazioni sindacali ufficiali non sono più quelle orche controllano la mobilitazione delle categorie che si muovono indipendentemente dalle organizzazioni che storicamente dovrebbero rappresentare. È cresciuto e si rafforza sempre più, anche in Inghilterra, l’autorganizzazione di classe attraverso con collettivi e organizzazioni di categoria di ogni specifico luogo di lavoro che sono quelle che decidono e gestiscono le mobilitazioni, con astensioni dal lavoro dure e determinate, malgrado una legge estremamente restrittiva sulla libertà di sciopero, voluta dalla Thatcher e rimasta in
vigore. Sarà anche questo, quello della legislazione sul lavoro, uno dei terreni sui quali la gestione laburista del potere sarà chiamata a confrontarsi, a fronte della crescente domanda di partecipazione e di mobilitazione che fa il paio, come ovunque, con l’astensionismo elettorale.
G. L.
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