La premier britannica Liz Truss, sotto stes, getta la spugna, travolta dal disastro casato dalla politica di taglio delle tasse ai ricchi, incompatibile con le risorse a disposizione del bilancio dello Stato, dopo aver sacrificato i suoi uomini, ha celebrato autodafé immolando sé stessa, conquistando il più breve mandato a primo ministro della storia del Regno, ma assicurandosi a vita l’appannaggio di 135 mila sterline che spetta a tutti gli ex. Il suo piano per la politica fiscale intendeva portare l’imposta sulle società al 19%, lasciando immutata la decisione del governo precedente
di portarla al 25%, scatenando turbolenze di mercato e facendo precipitare la sterlina ai minimi storici rispetto al dollaro USA. La risposta dei mercati è stata così feroce che la Banca d’Inghilterra è dovuta intervenire per evitare che i fondi pensione venissero coinvolti nel caos, mentre i costi dei prestiti e dei mutui aumentavano a dismisura. L’inversione del piano economico, tentata per evitare il disastro avrebbe dovuto ridurre il costo del suo programma economico di circa 18 miliardi di sterline (20 miliardi di dollari) all’anno. Le dure critiche subite dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e
dalla Banca d’Inghilterra, la punizione dei mercati, ad appena sei settimane dall’insediamento, hanno portato il governo della prima ministra britannica alle dimissioni.
Jeremy Hunt, a suo tempo contrario alla Brexit, è stato chiamato a demolire una parte del piano economico della Truss nel tentativo di arginare l’ennesimo regolamento di conti all’interno del Partito conservatore che in questa fase si è concluso “incoronando” premier Rishi Sunak uno dei parlamentari più ricchi della Gran Bretagna – persino più di re Carlo III che fa parte di una generazione di politici e uomini d’affari di origine straniera e ha ripetutamente sottolineato che l’identità è “importante” per lui. In un’intervista alla BBC, ha dichiarato di far parte della generazione “i cui genitori non
sono nati qui, ma sono venuti in questo Paese per costruirsi una vita”.
Un ultimo tentativo di salvare la Premier era stato incredibilmente messo in atto durante il vertice dei 47 paesi della “comunità Politica Europea” a Praga il 7 ottobre dove in cambio Lei era giunta a definire il grande nemico Macron un “amico”. Ancora una volte un’accozzaglia di politici UE, stupidi, servili e imbelli, guidati da un parterre di politici
incapaci di difendere gli interessi dei popoli che rappresentano, avevano dimostrato la loro fragilità e debolezza di fronte alla Gran Bretagna, sponsorizzata dall’alleato americano e, succubi della rete di alleanze tessute dal paese a sostegno dell’Ucraina, malgrado che continuassero ad operare contro gli interessi economici e politici dell’UE, affamata dalla crisi energetica e da sanzioni che stanno colpendo di più l’Europa della Russia. La crescita inarrestabile dell’inflazione, la crisi energetica, il fallimento della politica di relazioni economiche privilegiate con i paesi del Commonwealth, hanno avuto
effetti catastrofici.
Inflazione britannica sotto ogni primo ministro
Questo mentre i rapporti con l’Irlanda del Nord e la Scozia si fanno sempre più difficili, malgrado l’alleato americano corra al soccorso per il tramite di Biden, figlio di immigrati irlandesi, il quale ha indotto l’ex-premier irlandese Varadkar a riconosce che le norme del protocollo europeo sull’import-export nella Irlanda del Nord sono “un po’ troppo rigide”. Gli Stati Uniti, in nome dei forti legami sia con la Gran Bretagna che con l’Irlanda, hanno suggerito Downing Street di non essere a sua volta intransigente.
La questione scozzese
Se la resa dei conti con l’Irlanda sembra allontanarsi a causa della subalternità dell’UE alle politiche USA. Sul quanto avverrà pesa l’esito delle elezioni di medio termine USA e il destino elettorale di Biden che ha origini irlandesi ed è al tempo stesso il grande protettore della politica guerrafondaia della Gran Bretagna, suo agente anti UE. Tuttavia non altrettanto può dirsi per la Scozia, dove i problemi sono maggiori e strutturali.
Ai tempi del referendum per l’indipendenza la produzione di petrolio e gas del mare del nord sosteneva e in parte motivava le richieste scozzesi; poi è sopravvenuto un periodo di prezzi bassi sia per il greggio che per il gas e il covid ha provocato una riduzione della domanda, con il risultato che è crollata l’occupazione nel settore e si sono notevolmente ridotti gli introiti. Questo mentre i giacimenti attivi si andavano esaurendo, cresceva la crisi climatica e quindi le ragioni per un maggior rispetto dell’ambiente. Sul piano politico la formazione del governo da parte degli indipendentisti, con l’alleanza dei verdi, bloccava i progetti per nuove prospezioni e concessioni, mentre cresceva l’eolico e la produzione di energia, sfruttando le maree. Il controllo centralizzato da Londra di queste attività e gli investimenti delle multinazionali non hanno dotato il paese di infrastrutture, consentendo il trasporto dell’energia prodotta, e ciò non ha fatto che accrescere le ragioni dell’indipendenza.
Oggi sempre meno la Scozia ha interessi comuni e convergenti con l’Inghilterra e la morte della regina ha reciso buona parte del residuo legame sentimentale che teneva unito il Paese. Il disastro economico che si prepara e l’ombra della recessione potrebbero indurre gli indipendentisti a rompere gli indugi e a recidere finalmente il legame che li tiene all’interno del Regno Unito. A questa situazione incerta si somma quella derivante dalle future elezioni americane che decideranno sugli equilibri nel Congresso e condizionando le candidature presidenziali future Si tratta di una partita tutta da giocare che tuttavia condizionerà la storia d’Europa, se non del mondo.
Scioperi
Il ridimensionamento della manovra di bilancio, l’inquietudine dei mercati e dell’opinione pubblica per il controverso pacchetto di misure contro la crisi energetica non si placano, tanto più alla luce del drastico ridimensionamento delle misure di aiuto a famiglie e imprese contro il caro la premier guardava malinconica, ma non governava. All’interno dei Tories, è cresciuto un vero e proprio «complotto» per togliere la fiducia alla premier e trovare un nuovo inquilino di per il numero 10 di Downing Street.
Ma la crisi del governo viene da lontano ed ha le sue radici nella crescita vertiginosa dell’inflazione e nei bassi salari. Già da giugno 50mila lavoratori delle ferrovie erano scesi in sciopero per tre giorni alternati, per accrescere i disagi. Nel mese di agosto si sono uniti a loro i dipendenti delle Poste, i “Gilet Rossi” dei porti, i ferrovieri e gli autisti di autobus, persino gli avvocati. I conservatori denunciano una strategia nazionale dell’opposizione e dei sindacati, ma non di questo si tratta perché ciò che avviene a livello locale e nelle diverse categorie, riflette il dato di fatto che le persone in tutto il Paese si sentono allo stesso modo. “Sembra essere tutto organizzato: perché le persone, ovunque, si sentono allo stesso modo e arrivano alla stessa conclusione.!”
Agli inizi di ottobre migliaia di lavoratori hanno scioperato alla stazione di Euston, a Londra, interrompendo i servizi in gran parte del Paese. Ancora una volta hanno chiesto aumenti sostanziali per compensare l’inflazione e migliori condizioni di lavoro. Durante il picchetto, il segretario generale del maggior sindacato dei trasporti (RMT) ha dichiarato che i britannici sono stanchi dei salari così bassi e che continueranno la lotta fino alla vittoria.
Mentre la terza ondata di scioperi e il padronato risponde con licenziamenti e l’utilizzo di lavoratori interinali che costano meno le compagnie ferroviarie registrano interruzioni generalizzate dei servizi per più giorni consecutivi e Mick Lynch, segretario generale, della Federazione nazionale dei trasporti ferroviari, marittimi e su gomma dichiara alla
stampa: “Abbiamo intrapreso sei giorni di sciopero. Le aziende avevano intenzione di effettuare questi licenziamenti molti mesi fa, finora abbiamo bloccato tutto, abbiamo ricevuto offerte migliori. Sembra che abbiamo anche risvegliato lo spirito di solidarietà tra i cittadini britannici. Stiamo riscontrando un grande sostegno, la gente sta tornando a pensare all’azione collettiva, allo sciopero e alla solidarietà tra i lavoratori”. Lo sciopero mira al rinnovo degli accordi salariali e delle condizioni lavorative per l’intero settore, al blocco dei licenziamenti a un sostanzioso aumento dei salari per contrastare inflazione e caro bollette. Non è che l’inizio.
Sunak è chiamato a salvare il salvabile; ha ripetutamente affermato che il Paese ha bisogno di una riforma dell’immigrazione e fa parte di una generazione di origine straniera i cui genitori non sono nati in Gran Bretagna , ma sono venuti in questo Paese “per costruirsi una vita”. Sentono quindi molto il problema dell’identità e per loro è “importante” darsi accettare come iper difensori di un paese in via di dissoluzione. Sostenitore strenuo della Brexit cercherà di rinsaldare i rapporti con i paesi del Commonwealth in alternativa a quelli con l’UE, ma la richiesta dei laburisti e degli altri partiti di opposizione come i liberal democratici di andare alle urne è divenuta nei fatti sempre più ineludibile, tanto più che a questi si è aggiunto il partito indipendentista scozzese che conta di andare alle urne quando l’ondata emozionale per la morte della regina, molto amata e ascoltata in Scozia si sarà esaurita. In quanto a svolgere la funzione di collante dell’unità nazionale il re non appare dotato del carisma necessario per riuscire in un’impresa ormai impossibile.
Gianni Cimbalo