I nemici dell’U E: la Gran Bretagna

L’ingresso di Liz Truss al n. 10 di Down Steet insieme al suo Governo di solo dieci maschi bianchi tra i 23 ministri con portafoglio è stato oscurato dalla morte della regina, dai suoi osceni quanto anacronistici funerali, e dall’ascesa al trono di Carlo III. Se nel Governo non manca la diversità delle provenienze dei colori e dei generi è certamente carente la differenza di ceto sociale: sono tutti straricchi! Non è proprio una novità perché nel governo di Boris Johnson c’erano anche esponenti musulmani, ma tutto serve all’immagine mediatica per cercare di intercettare la popolazione di un paese dove le differenze etniche e di tenore di vita sono in costante crescita. Ma sol che si guardi al programma del governo risulta del tutto evidente che quello presieduto da una donna può essere infame quanto ed anche di più di quello presieduto da un uomo. Altrettanto dicasi per l’origine di colore dei ministri.

Ma andiamo ai fatti

L’inflazione è alle stelle e ora supera 11%, ma secondo Goldman Sachs l’anno prossimo andrà oltre il 22%, le bollette da congelare richiedono un piano da oltre 100 miliardi di sterline complessivi che farà esplodere il debito pubblico britannico, il sistema sanitario è allo sfascio e richiederebbe risorse che non ci sono, la produzione attraversa una fase di contrazione, i trasporti e la logistica per il rifornimento dei supermercati è in crisi e così la produzione agricola. La Brexit fa sentire tutti i suoi effetti negativi, nascosti grazie alla guerra in Ucraina che dissangua le casse dello Stato. Ha beneficiarne è solo l’industria bellica che ingrassa sui profitti di guerra. Il mestiere più diffuso è quello di contractor al servizio delle diverse agenzie che reclutano “volontari” per l’Ucraina.
Per tutta risposta il Governo propone di tagliare le tasse ai ricchi. Il governo ha annunciato la cancellazione dell’aliquota fiscale più alta, che era del 45 per cento per i redditi superiori alle 150 mila sterline l’anno (circa 170 mila euro), e ha ridotto dal 20 al 19 quella minima. Le imprese poi non dovranno affrontare l’aumento delle imposte societarie dal 19 al 25 per cento che era stato previsto dal precedente governo di Boris Johnson, e che Kwarteng ha abolito rinunciando così a un gettito di 12 miliardi di sterline all’anno (circa 13 miliardi di euro). È stato cancellato anche l’aumento dei contributi previdenziali per lavoratori e datori di lavoro, misura che costerà altri 14 miliardi di sterline, per lo più destinati a un aumento (del tutto insufficiente) dei fondi al sistema sanitario nazionale. La riduzione delle tasse sarà finanziata a debito, producendo unb onere aggiuntivo di 200 milioni di sterline.
Il Governo spera che il taglio delle tasse spingerà i ricchi ad investire e intanto la Truss non sa come ricucire con la Banca d’Inghilterra, spaventata dalla necessità di dover alzare i tassi ben oltre il 3%,, la quale – peraltro – considera già il paese in recessione. Ma ha risolvere il problema si ripromette di pensarci Kwasi Kwarteng, neo ministro del Tesoro, 47 anni, figlio di padre economista e madre avvocato, arrivati in Inghilterra dal Ghana come studenti negli anni Cinquanta, uno degli astri nascenti del partito conservatore. Schietto, di grossa statura, “soulmate” di Liz Truss da molti anni con la quale scrisse nel 2010 il manifesto ultraliberista “Britannia Unchained”, di appena 47 anni. Fermo sostenitore della Brexit è un critico della “pigrizia degli inglesi che una volta ottenuto un lavoro perdono ogni iniziativa” e promette lacrime e sangue ai lavoratori.
Dell’uomo chiave del governo si racconta che è sposato con l’avvocatessa Harriet

Edwards e in passato amante

dell’ex ministra dell’Interno Amber Rudd, Kwarteng, sa sempre da che parte stare; prima era un fedelissimo di Boris Johnson, oggi di Liz Truss, con la quale però ha un rapporto professionale e amichevole ultradecennale. Grazie all’opulenza finanziaria dei suoi genitori, il thatcheriano Kwarteng viene da scuole eccellenti e soprattutto private. Le superiori a Eton, dove hanno studiato anche Boris Johnson e David Cameron. Poi l’università, con laurea a Cambridge in Storia e studi classici, qualche semestre ad Harvard e a lavorare a JP Morgan e nella City. C’erano tutte le condizioni per la folgorazione politica per i conservatori. Si ha a che fare insomma con un gruppo di facoltosi inglesi che si riuniscono al Club esclusivo – il Governo – anche se per non soli uomini, come vorrebbe la tradizione inglese.
Intanto la reazione dei mercati alle scelte politiche del Governo è stata immediata. I titoli di stato inglesi hanno perso tantissimo valore e i loro rendimenti hanno raggiunto il 4 per cento, un valore molto alto e che non si vedeva dal 2010. Più il prezzo di un titolo scende, più il rendimento che assicura sarà alto: è una relazione inversa che rappresenta il fatto che più un titolo è percepito come rischioso, più gli investitori chiederanno un tasso di interesse elevato, il cosiddetto premio per il rischio.

I danni della Brexit

L’Ufficio per la responsabilità del bilancio, (OBR), un’agenzia indipendente del governo britannico, ritiene che il PIL della Gran Bretagna si sia contratto dello 0,5 per cento nei primi quattro mesi del 2021, a causa della confusione e della riorganizzazione dovuta al nuovo accordo commerciale fra il Regno Unito e i paesi dell’Unione Europea, meno
favorevole rispetto a quando il Regno Unito faceva parte dell’UE. Inoltre, sia le esportazioni che le importazioni sono destinate a calare del 15 per cento rispetto a un’eventuale permanenza all’interno dell’Unione Europea.
Da parte sua la Commissione Europea prevede che entro il 2022 il Regno Unito perderà il 2,25 per cento del PIL per effetto del nuovo accordo commerciale. Se i dati e le stime sugli scambi commerciali sono le facili da calcolare perché si applicano a quantità misurabili – tonnellate di merci che transitano dentro e fuori dal Regno Unito – si ritiene che la Brexit ha avuto e avrà conseguenze in centinaia di settori diversi, dall’educazione al mercato del lavoro, e queste sono tutte conseguenze più difficili da misurare ancor di più a causa dell’impatto della pandemia da coronavirus, che ha
provocato una crisi economica e sociale in quasi tutto il mondo, anche perché è estremamente difficile separare il fattore-Brexit dalla crisi economica generata dall’impatto dei lockdown.
Negli ultimi mesi circa 20mila autotrasportatori europei che lavoravano nel Regno Unito hanno lasciato il paese, quasi sicuramente per i timori di difficoltà burocratiche per via di Brexit. E già dai primi mesi del 2020 sono stati cancellati per via della pandemia circa 40mila test per ottenere la patente da autotrasportatore. Si prevede che nei giorni di
Natale i supermercati potrebbero avere a disposizione pochissimi tacchini, un piatto tradizionale nei pranzi natalizi britannici. Questo perché mentre i piccoli allevatori usano soprattutto manodopera locale, i grandi distributori si appoggiavano su manodopera specializzata europea che veniva assunta per far fronte all’aumento di richieste del periodo natalizio. Ora a causa della Brexit non sarà più possibile assumere questi lavori specializzati (i permessi di lavoro per gli europei sono stati ridotti a poche categorie di lavoratori ultra-specializzati) e sarà difficile importare tacchini dall’Europa, dati i costi sempre più alti delle importazioni, causato dall’aumento della burocrazia alla frontiera.
Inoltre, la dismissione della legislazione europea in materia di protezione dei dati personali, disapplicando il Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali (GDPR) rappresenta un ulteriore danno all’economia britannica in quanto se il Regno Unito stipulasse degli accordi di condivisione dei dati con paesi poco severi, o se decidesse di non cooperare con la Commissione Europea su questi punti, l’UE potrebbe decidere di non ritenere il Regno Unito un paese sicuro per la condivisione di dati personali a partire dal 2025, con conseguenze estesissime e in parte imprevedibili sulle relazioni economiche e commerciali.
Per ovviare a tutto questo il governo di Liz Truss, come fece quello di Johnson, ritiene che il Regno Unito dovrebbe rivolgere il proprio interesse commerciale e diplomatico al di fuori dell’Europa per rafforzare i legami con i paesi che appartengono al Commonwealth, ovvero a quello che rimane dell’Impero britannico, fra cui soprattutto India, Australia, Singapore, Nuova Zelanda. L’idea è che il Regno Unito può sostituire i partner europei con i paesi del Commonwealth e riguadagnare di riflesso un po’ di dinamismo dai rapporti con le economie del sudest asiatico, come Singapore e Malesia: una follia!

I danni della guerra in Ucraina

Inoltre, in questa prospettiva, il Governo britannico retto dai conservatori punta molto sull’economia di guerra: è impegnato a aumentare di 28 miliardi le spese militari nei prossimi quattro anni, a lanciare un satellite interamente britannico entro il 2022, e soprattutto al superamento del limite massimo di testate nucleari che il Regno Unito potrà conservare, che aumenterà per la prima volta in trent’anni, passando da 180 a 260, al dispiegamento di una delle due portaerei della classe Queen Elizabeth, le ultime costruite dalla marina britannica, nei mari dell’Asia, cosa che probabilmente non sarà gradita dalla Cina.
Il governo inglese sottostima il fatto che la guerra in Ucraina ha riavvicinato i paesi del BICS alla Russia, staccando l’India dalla Gran Bretagna, anche perché il Regno Unito non ha una posizione chiara su alcune dispute interne al Commonwealth, come quella territoriale fra India e Pakistan e ciò mina gli equilibri interni del sodalizio, prova ne sia
che i rapporti tra i partners sono ridotti sempre più a relazioni rituali e formali, come i funerali della regina hanno evidenziato. Me viene che sostituire i paesi dell’Unione Europea come partner commerciali con quelli del Commonwealth sarà praticamente impossibile: non esiste al mondo un altro mercato così ricco e vicino geograficamente al territorio britannico come quelo europeo !. Se anche il Regno Unito concludesse un favorevolissimo accordo commerciale con tutti i paesi del Commonwealth, questo sarebbe insufficiente a coprire le perdite causate da Brexit: il PIL complessivo del Commonwealth è di circa 8.800 miliardi di euro, poco più della metà del PIL dell’Unione Europea, per non parlare delle enormi distanze geografiche tra i vari paesi che ne fanno parte che limiterebbero molto la portata degli scambi a causa dei costi della logistica.
E poi le nuove generazioni di britannici potrebbero non avere i necessari strumenti culturali e linguistici per rafforzare i legami con paesi dall’altra parte del mondo. Secondo un sondaggio della Commissione Europea, il Regno Unito è ultimo fra i paesi europei per l’abilità delle persone di età compresa fra 15 e 30 anni di parlare due o più lingue: meno di un giovane britannico su tre conosce una seconda lingua oltre all’inglese anche perché gli inglesi, spocchiosi e imperialisti come sono pensano che debbano essere gli altri a conoscere la loro lingua. Se il governo britannico facesse
sul serio con le sue ambizioni da Global Britain avrebbe dovuto investire per tempo sulle conoscenze linguistiche e culturali per plasmare un Regno Unito più aperto nel mondo post pandemia e post Brexit.

Il regno disunito

Ma l’ostacolo più grosso alla realizzazione di questi piani è costituito dalle spinte autonomiste e indipendentiste di Irlanda del Nord, Scozia e in misura minore Galles. Senza di loro, di fatto, non esiste più un Regno Unito, ma soltanto l’Inghilterra.
Dopo gli accordi di Brexit, l’Irlanda del Nord è rimasta nel mercato comune europeo e nell’unione doganale per evitare che venisse costruita una barriera fisica con l’Irlanda. La permanenza dell’Irlanda del Nord ha comportato però molti nuovi controlli e pratiche burocratiche per le merci in arrivo dal resto del Regno Unito, che hanno già causato disagi alle persone che vivono nell’Irlanda del Nord, ma anche danni economici per le aziende inglesi. È interesse dell’Irlanda del Nord e delle stesse aziende inglesi che il contenzioso non sfoci nell’imposizione di dazi reciproci sui prodotti in entrata. In Scozia il governo regionale preme per tenere un nuovo referendum sull’indipendenza e l’interesse a rientrare nell’UE è crescente.
Bisognerà attendere che i popoli della Gran Bretagna elaborino il lutto per la morte della sovrana perché le pulsioni indipendentiste riprendano e non v’è dubbio che la crisi economica spaventosa che si prepara si trasformi in crisi sociale. Dopo l’annuncio delle misure economiche decise dal Governo la sterlina ha perso il 5 % del suo valore e i
laburisti, in risposta alle politiche della premier si sono affrettati a chiedere elezioni anticipate e a proporre un ente statale che si occupi della produzione dell’energia invertendo la tendenza alla privatizzazione delle strutture economiche. C’è il rischio concreto che di fronte al crescere delle difficoltà ognuna delle parti del paese che vive con sofferenza la coabitazione all’interno della Gran Bretagna cerchi la salvezza per se, abbandonando al suo destino il resto del paese.
Se il Regno Unito perdesse pezzi, nei prossimi anni ne risentirebbe anche la sua capacità di rilanciarsi sul piano internazionale e noi ne saremmo più che soddisfatti in quanto eiropei, avendo a cuore il benessere dei popoli d’Europa e l’aspirazione alla pace. Lo smembramento del paese sarebbe per l’Europa un sostanzioso aiuto alla soluzione dei suoi problemi.

Gianni Cimbalo