L’Unione europea è allo sbando, sempre più inerte sullo scacchiere internazionale, mentre le aree di crisi intorno al continente si moltiplicano, la guerra in Ucraina si trascina sempre più stancamente e le posizioni dei diversi paesi si differenziano, avvertendo il ridursi progressivo del sostegno delle opinioni pubbliche, la crisi del Kosovo riesplode, il Medio Oriente è in guerra.
E dire che, quando alla fine della Seconda guerra mondiale gli europeisti concepirono l’idea dell’Europa unita, speravano che l’unione dei popoli del vecchio continente permettesse il superamento degli Stati e soprattutto del concetto stesso di nazione che tanti lutti ha prodotto alle popolazioni, l’un contro le altre armate, dagli interessi economici e di profitto dei poteri economico-finanziari e politici che reggono gli Stati. Le rovine e i milioni di morti portati dalla guerra erano allora sotto gli occhi di tutti, vivi nella memoria della gente e quindi sembrò agevole far comprendere l’opportunità e la convenienza di procedere al superamento degli Stati nazionali in nome di una comune appartenenza a un continente che condivide valori elaborati sulla base di esperienze comuni.
Già allora, noi comunisti anarchici, guardammo con favore alle idee di Altiero Spinelli e degli altri federalisti europei poiché, pur consapevoli che l’Europa alla quale si dava vita era una costruzione capitalistica, una sorta di super Stato, vedevamo nella creazione di uno spazio comune per i popoli europei, un modo per superare il nazionalismo patriottardo che nei secoli ha visto contrapposti i popoli del continente, a scannarsi vicendevolmente, indifesa degli interessi economici e finanziari di questo o quel gruppo di padroni, che si sono inventati sia le patrie che le nazioni, per accaparrarsi una quota maggiore di ricchezza. Eravamo e siamo stanchi di vedere gli esseri umani tutti dividersi e soccombere in nome della supremazia di appartenenze religiose, linguistiche, di abitudini e costumi, di tradizioni diverse, spacciate come differenze identitarie incompatibili e incolmabili per giustificare la guerra, e attraverso di esse, il
perpetrarsi della schiavitù salariale economica e di potere.
È certamente vero che gli egoismi nazionalistici anche in questi anni non sono mancati in quei paesi che erano stati vessilliferi dell’idea di nazione, come la Francia, che si riconobbe nell’ipotesi di un’Europa degli Stati che avrebbe dovuto imporsi sull’idea di un’Europa federale, capace di mettere in atto una ulteriore sintesi di valori e dar vita a rapporti istituzionali che la portassero fuori dall’identificazione con un popolo, una lingua, il ruolo di una cultura nazionale egemone. Non si trattava di abolire le diversità o sopprimere le identità, ma solo, e non è poco, di abituare soggetti diversi tra loro a conoscersi e a convivere: in altre parole di accettare la convivenza nella diversità.
Anche se con mille contraddizioni il progetto di ricostruzione europea è andato avanti e ha consentito a i suoi cittadini per 75 anni di avere l’impressione di vivere in una situazione di pace, anche se l’Unione europea a trazione tedesca – o se si preferisce a trazione franco-renano – non ha avuto remore nel promuovere la crisi jugoslava e le guerre balcaniche, nelle quali è intervenuto sotto l’ombrello NATO. Belgrado è stata bombardata proprio dagli italiani con le insegne NATI e gli orrendi massacri di Bosnia, la pulizia etnica nelle Crajne, hanno rinfocolato gli odi e creato l’entità kosovara, sancendo la violabilità dei confini e della giurisdizione degli Stati, per come si sono formati dopo la II guerra mondiale. Ora – con l’invasione russa dell’Ucraina – si raccolgono i frutti di quell’operazione che aveva il fine di frammentare il formarsi di un possibile polo di aggregazione intorno all’ex Jugoslavia per fare di Bruxelles il solo punto di riferimento di un’Europa unita.
Una volta superato il principio dell’inviolabilità delle frontiere la Russia ha ritenuto suo diritto difendersi da una politica di penetrazione nel suo spazio di influenza economico-politico e in diritto di invadere l’Ucraina in difesa del Russki mir (mondo russo).
È vero, la rottura dello statu quo ha consentito all’Unione europea di crescere e allargarsi, ma proprio quando il progetto sembrava sul punto di realizzarsi raggiungendo tutto il continente e i diversi paesi balcanici si preparavano a “maturare” i criteri per l’adesione, assorbendo e uniformandosi ai principi dell’aequis comunitario, attendendo pazientemente di aderire all’Unione, la Gran Bretagna, che vi aveva forzatamente aderito, decideva di ripristinare la sua tradizionale politica verso il continente all’insegna dell’antico broccardo “dividi et impera” e varava la Brexit.
La riscoperta degli imperi
In un mondo ancora impegnato a vivere la globalizzazione delle economie si affacciavano attori nostalgici dei passati imperi. I conservatori inglesi programmavano la Brexit [1] come primo passo per la ricostruzione di un’area politica economica del Nord Atlantico che, in previsione di uno spostamento dei commerci dal Mediterraneo al mare del Nord, complici i mutamenti climatici e l’apertura di rotte polari per il traffico delle merci da e con l’area del Pacifico, dovrebbero dare centralità al traffico marittimo del Mare di Barents. Vanno lette in questa prospettiva, e non solo come conseguenze della guerra in Ucraina, le adesioni di Svezia, Norvegia e Finlandia alla Nato, in stretto coordinamento con la Gran Bretagna, in quanto finalizzate ad un controllo delle rotte del Mare del Nord in funzione antirussa e cinese: questi due paesi hanno infatti investito ingenti capitali nella costruzione di porti e infrastrutture sul “passaggio a Nord” attraverso il Mare di Barnes. La realizzazione di uno “spazio esclusivo anglosassone” è il sogno che sta alla base dell’uscita dell’Inghilterra dall’Europa, confidando, sia pure nel lungo periodo, di recuperare i rapporti con le membra sparse di quello che fu l’impero britannico, per farne il punto di riferimento dell’ordine mondiale. Gli inglesi erano consapevoli che il progetto necessitava di un indebolimento dell’Unione europea continentale e pertanto operavano per mettere in crisi l’economia dell’Unione e, al tempo stesso, per dividere i diversi paesi del continente, impegnandoli ad indirizzare le loro risorse in un pozzo senza fondo che li avrebbe ulteriormente indeboliti: la guerra. Individuavano quindi nell’energia a basso costo a disposizione delle industrie europee – grazie alla partnership con la Russia – l’anello debole delle economie europee continentali.
La riscrittura della storia e la guerra d’Ucraina
Al fine di recidere questo rapporto e metterle in crisi, decidevano di affiancare gli Stati Uniti nell’attività di destabilizzazione dell’Ucraina che la Russia considerava parte integrante del Russki mir, schierandosi a fianco degli ambienti politici ed affaristici ucraini. Questi ultimi, eredi dei kulaki che a suo tempo erano stati espressione del nazionalismo ucraino, ambivano a reimpossessarsi della proprietà delle terre messe in vendita dal Governo ucraino e, al tempo stesso, a riscrivere in chiave nazionalistica la narrazione della storia del paese. Per questi motivi avevano bisogno di una guerra che scavasse un solco di odio incolmabile fra il popolo ucraino e quello russo, recidendo il cordone ombelicale e sentimentale che lega (ma, sarebbe più esatto dire, legava) in mille modi in due popoli.
Perciò, approfittando, della crisi dell’apparato industriale ucraino, provocata dall’apertura del paese al mercato occidentale e delle conseguenti istanze indipendentiste delle regioni orientali del paese, danneggiate da quanto stava avvenendo perché nei loro territori era localizzata prevalentemente l’area industriale del paese, ne approfittavano per iniziare una guerriglia, condotta da formazioni paramilitari e da truppe del governo centrale, per dare inizio ad una guerra civile che avrebbe fatto da miccia per un futuro scontro in campo aperto, con la Russia, facendosi portatori delle istanze degli oligarchi proprietari di terre dell’area occidentale del paese. Questi ultimi ambivano a integrare l’Ucraina nell’economia dell’Unione contando di poter beneficiare della struttura delle politica agricola comune per reperire capitali e mercati per sviluppare i profitti dell’agricoltura del paese che necessitava di investimenti e ulteriori mercati.
Allertato da quanto stava avvenendo il Governo russo ripristinava la propria giurisdizione sulla Crimea, ceduta amministrativamente all’Ucraina nel 1954 e decideva di sostenere i secessionismo degli oblast del Donbas, apprestandosi alla guerra. La reazione a questo progetto da parte del governo centrale ucraino non sarebbe stata possibile senza che i servizi segreti e l’esercito ucraino non fossero stati affiancati da quelli britannici, come si è appreso da fonte Nato, dopo lo scoppio della guerra; ad allora risale l’inizio dei rapporti politico-militari tra le due parti. Forti di queste relazioni i
politici britannici mettevano in atto la Brexit prendendo a pretesto di voler evitare di subordinare il diritto nazionale britannico a quello comunitario, scelta che – a loro dire – avrebbe violato la sovranità del paese. ripresero la piena autonomia di azione del loro paese.
La Russia – toccata nei suoi interessi storici e strategici, confidando sul non intervento dell’Unione europea, ritenendo che avrebbero prevalso gli interessi economici derivanti dalla partnership energetica e sottovalutando la reazione ucraina, varava “l’operazione speciale” Z e invadeva il paese, trovando una inattesa resistenza. Dall’altra parte, la
NATO e l’Unione europea, pur non intervenendo con proprie truppe. decidevano di sostenere l’Ucraina, armandola e accollandosi il mantenimento dell’apparato statale, provvedendo a coprire le spese di bilancio del paese: sanità, a scuola, servizi sociali, infrastrutture, energia, ecc. Nella sostanza oggi l’Ucraina è uno Stato fallito, il cui bilancio è interamente supportato da fondi europei che provvedono al pagamento di tutto il suo fabbisogno: una quota parte di queste risorse sono ovviamente sottratte ai bisogni dei popoli dei diversi Stati d’Europa, inconsapevoli, e di queste risorse beneficiano gli oligarchi ucraini, molto rapaci, tanto che Zelensky ha dovuto più volte colpirne almeno alcuni e destituirli per corruzione.
In cambio della mattanza della sua popolazione Ucraina si è guadagnata la promessa di un percorso privilegiato di adesione all’Unione europea, malgrado non ne possieda i requisiti, invitando al banchetto che dovrà gestire la sua ricostruzione le aziende e i capitali europei, chiamati a condividere le risorse agricole e minerarie, nonché energetiche del paese. Il tutto senza considerare che l’investimento rischia di essere pessimo, perché, se è vero che la totalità della proprietà della terra sta gradualmente passando alle multinazionali che ambivano ad impossessarsene, il territorio è oggi
dissestato, è inquinato dagli eventi bellici, in quando le due parti in lotta non si sono risparmiate il disastro ecologico, costituito dalla disseminazione diffusa di ordigni esplosivi, dal dissesto idrologico e geologico, come quello provocato della rottura della diga della centrale idroelettrica di Kakhovka nell’oblast di Kherson, dall’inquinamento da uranio arricchito per l’uso di proiettili che utilizzano questo materiale altamente inquinante e quant’altro: un pessimo affare!
Ora, dopo un anno e mezzo di guerra, lo stato maggiore ucraino si accorge che la guerra contro la Russia non può essere vinta, a causa delle enormi differenze fra i due paesi nella disponibilità di uomini e di donne da sacrificare al fronte e da impiegare nello sforzo bellico: solo Zelensky, innamorato del ruolo che si è costruito, si ostina edonisticamente a rifiutare ogni trattativa, dichiarando di avere incrollabile fede nella vittoria da istrione egocentrico qual’è.
Rimane il fatto la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sono gli unici soggetti ad aver raggiunto i loro obiettivi, facendo pagare un caro prezzo all’Europa. L’Inghilterra, a sua volta, sta pagando almeno nel breve periodo, un prezzo altrettanto alto per le sue scelte strategiche, costituito dalla crisi crescente che attanaglia la sua economia, a causa della perdita delle relazioni con il mercato dell’Europa continentale.
Per un nuovo ordine mondiale
Mentre il conflitto israeliano-palestinese richiama l’attenzione dell’opinione pubblica e preoccupa le diverse potenze che operano sullo scacchiere mondiale in una guerra a pezzetti lucidamente individuata e descritta dal Pontefice regnante, la guerra d’Ucraina passa in sordina, dimenticata, e l’Unione europea resta immobile, paralizzata e imbelle,
vittima della sua incapacità politica e delle sue contraddizioni, mentre:
- La competitività delle merci europee sul mercato mondiale si è ridotta notevolmente, a causa dell’aumento nei costi di produzione, come conseguenza di quelli energetici;
- L’Unione europea ha investito risorse economiche e militari nel conflitto, dissanguando la propria economia e impiegando enormi capitali nello sforzo bellico e nel sostegno economico ad un ormai inesistente bilancio dello Stato
ucraino, del quale da due anni sostiene l’economia; - I player che i diversi paesi dell’Unione hanno individuato per supplire alle forniture di energia, venute meno dalla Russia, o praticano prezzi più cari o sono degli alleati sodali della Russia che con questa intrattengono rapporti economici, politici, commerciali, di triangolazione di prodotti energetici;
- Le sanzioni emanate dall’Unione europea dei paesi occidentali nei confronti della Russia hanno avuto l’effetto di far crescere l’economia del paese, di far sviluppare auto-produzioni autarchiche, sostitutive dei beni non più importabili, di reindirizzare le relazioni economiche e finanziarie della Russia verso l’Oriente e il resto del mondo;
- Hanno rafforzato, nei paesi emergenti, il risentimento e la diffidenza verso un Occidente che usa due pesi e due misure rispetto alla guerra in Ucraina e alle tante guerre in atto nel mondo;
- Hanno permesso la crescita di un ruolo alternativo ai G7 e al G8 voluti dall’Occidente dei Brics; crescono infatti le adesioni ai Brics che stanno operando per portare il loro attacco all’economia basata sul dollaro accettando di
commerciare usando le rispettive monete; - Hanno lasciato spazio, come voleva la Gran Bretagna, ai tentativi di ricostruzione degli imperi, con la crescita dell’influenza politica e strategica della Turchia che aspira a ricostruire lo spazio economico e politico che fu dell’impero ottomano; della Russia che aspira a fare altrettanto in relazione a quella che fu l’URSS.
In questo nuovo contesto lo spazio economico e politico nell’Unione europea è sempre più angusto e i problemi sono cresciuti; - Si è bloccato il processo di adesione all’Unione di paesi che da decenni preparano il loro ingresso nell’Unione, sforzandosi di adeguarsi ai parametri comunitari, come è avvenuto con quelli balcanici che si vedono lasciati ad attendere, mentre sembra crearsi un percorso privilegiato per l’Ucraina che è quanto mai lontana dal rispetto dell’aequis comunitario e che è un paese tra i più corrotti nel mondo. A ciò si aggiunga che, in quanto paese in guerra, non può entrare nell’Unione, al di là di ogni promessa da parte di una leadership europea, incapace di intendere, composta da ottusi burocrati;
- I paesi europei sono divisi dai populismi crescenti, con fatica arginati qui e là nel loro attacco alle istituzioni dello Stato liberale, mentre l’Unione va incontro ad un confronto elettorale che vedrà messa fortemente in discussione la guida
dell’edificio comunitario; - Si fa sempre più concreto il rischio che la visione di un’Europa federale e solidale venga sostituita dall’Europa delle patrie e dei nazionalismi, vagheggiata de Gaulle, che sembrava ormai tramontata;
- L’Unione europea è assediata dalla migrazione di popolazioni afflitte dalle guerre, dal dissesto climatico, dalla povertà e dalla fame e deve affrontare un flusso migratorio consistente del quale ha ad un tempo bisogno a causa della decrescita
demografica e che, al tempo stesso, teme di non poter e di non riuscire ad integrare; - L’irrisolto problema dei migranti economici e politici non solo divide e spaventa le popolazioni del continente, ma induce diversi paesi a restringere la libera circolazione al suo interno, privando i cittadini di uno degli strumenti essenziali
di integrazione e di progresso: la libertà di movimento; - Se non bastasse, la guerra in Ucraina ha fatto crescere il prestigio e il ruolo internazionale della Turchia che guarda oggi con sempre maggiore interesse ai Balcani, da sempre considerati come un’area di espansione della sua influenza
economica e politica; questo soprattutto dopo i recenti successi di espansione in Siria a spese dei Curdi e dell’accresciuta influenza politica nel Caucaso, con la questione del Nogorno Karabach e dopo il protagonismo da essa rivendicato nella
guerra israelo-palestinese.
A meno che le prossime elezioni europee non daranno la possibilità di costituire una Commissione forte, capace di dare all’Unione una leadership sicura, basata su un progetto condiviso dagli Stati che, come primo passo consenta all’Unione di assumere le decisioni superando il criterio dell’unanimità, e si doti di un programma di rafforzamento delle istituzioni comunitarie. Per realizzare questo programma è essenziale che rinunci all’ingresso dell’Ucraina che accentuerebbe la destabilizzazione istituzionale dell’Unione.
[1] Happy birthday, Brexit, Newsletter Crescita Politica, 30 Gennaio 2022 N. 155; Brexit: i conti senza l’oste, Newsletter Crescita Politica, 1 Gennaio 2019, N. 114; La Brexit vista dal Regno Unito, Newsletter Crescita Politica, 1 Maggio 2018 , N.106; La stabilizzazione dell’Unione europea dopo la Brexit, Newsletter Crescita Politica, 1 Febbraio 2018 N.103; Lotta di classe in Gran Bretagna, Newsletter Crescita Politica, Pubblicato il 21 Ottobre 2023, N.174.
G. C.