Il risultato delle elezioni legislative svoltesi in Francia non si comprende se non si parte da alcune considerazioni sul sistema elettorale utilizzato. In Francia si vota in 577 collegi uninominali nei quali vince chi ha superato il 50% dei voti più uno. Se ciò non avviene al primo turno si procede ad una seconda votazione alla quale partecipano quei candidati che hanno ottenuto almeno il 12% dei voti. Tuttavia, in questo, caso spesso si ricorre al sistema della desistenza: i candidati si coalizzano e il voto si trasforma in una competizione tra due rimasti in lizza.
A eleggere il maggior numero di deputati è stato il Nuovo Fronte Popolare, (NFP) alleanza di sinistra che ha conquistato 182 seggi: la formazione centrista, voluta dal presidente Emmanuel Macron, Ensemble, (E) ne ha eletti 168, mentre il Rassemblement National di Marine Le Pen (RN), alleato con una parte dei Republicains, guidati dal presidente del
partito Eric Ciotti ha eletto 143 deputati. Ai Republicains sono andati 61 seggi, 22 sono stati gli indipendenti di sinistra eletti e 10 quelli di destra e 10 i deputati regionalisti; a questi vanno aggiunti 7 singoli eletti. Al secondo turno delle elezioni legislative anticipate ha partecipato il 66,7% degli aventi diritto, in aumento rispetto al primo turno (65%), il livello più alto a un secondo turno dal 1997, quando aveva partecipato il 71,1% degli elettori.
Questo risultato è stato possibile malgrado che al primo turno il RN avesse ottenuto il 32,05% dei voti e il Nuovo fronte popolare solo il 28,06% , mentre Ensemble! il 20,04%. E questo perché il Nuovo Fronte Popolare pur di non far vincere la destra, si è ritirato da più di 200 ballottaggi, votando il candidato macroniano. C’erano 215 collegi in Francia in
cui c’è stata una desistenza cioè si è ritirato uno dei candidati per far convogliare i voti su chi aveva più chance di vincere.
In questi 215 collegi cosa è successo nell’ottanta per cento dei casi la resistenza ha funzionato il ritiro tattico del candidato della sinistra o del candidato di Macron ha portato a vincere quello che è rimasto in gara. È stato il partito del presidente a beneficiare maggiormente del generoso impegno della sinistra a non far vincere la destra.
Ora, Macron, che ha fortemente voluto queste elezioni per cercare di uscire dalla crisi nella quale la sua politica è da tempo precipitata, gioca con la struttura composita del Nuovo Fronte Popolare (nel quale la France Insoumise di Mélenchon è la più rappresentata con 74 eletti ai quali si aggiungono 3 “dissidenti” del partito. Il Partito socialista ha 59 deputati e gli Ecologisti 28, il Partito comunista 9 parlamentari e Generation 5) e cerca di spaccarlo: il suo obiettivo è eliminare Mélenchon e dar vita ad un governo di coalizione, egemonizzato dai macroniani, al più in un’alleanza stretta con il rinato Partito socialista. Per la prima volta in Francia il governo sarebbe probabilmente guidato da un personaggio proveniente dagli altri dirigenti dello Stato, “ un tecnico”, per dar vita ad un governo di unità nazionale, sul tipo dei governi sperimentate in Italia.
La sinistra da parte sua insiste nel chiedere la nomina di un primo ministro che provenga dalle sue fila e si attende il confronto in assemblea nazionale sull’elezione del suo presidente per procedere alla sua individuazione.
L’analisi del voto
Per comprendere quanto avvenuto in Francia è essenziale un’analisi del voto tenendo conto che il primo turno è il voto più politico il secondo turno è anche molto tattico, come abbiamo visto, quindi bisogna mettere insieme i due momenti del voto per rilevare che città e campagna hanno votato in modo diverso. La distribuzione del voto disegna delle dinamiche sociali sul territorio molto significative.
Il voto per la sinistra si concentra nelle città e soprattutto a Parigi dove la destra non ha vinto nemmeno un seggio su 50 ed è stato così anche nelle altre grandi città francesi dove la sinistra del Nuovo fronte popolare è riuscita a ottenere un risultato veramente significativo. E non ci si riferisce, come in Italia, a una vittoria della sinistra cosiddetta della ZTL ma delle aree della agglomeration parisienne, ovvero delle aree dove più forte è il disagio sociale dove sono presenti problemi di povertà, di emarginazione, aree nelle quali abitano le comunità migranti e i ceti più poveri di lavoratrici e lavoratori, zone con grossi problemi di integrazione, grande marginalità economica e sociale. Proprio lì Nuovo fronte
popolare ha ottenuto i suoi risultati migliori, quindi vi è stato un voto molto urbano che ha incluso i quartieri popolari dei grandi centri e persone di doppia nazionalità che abitano quelle case che nel programma del Rassemblement nazional dovrebbero essere tolte agli immigrati e riservate ai francesi d’hoc, quelli senza doppio passaporto. Senza nessuna enfasi si può convenire sul fatto che in questo caso la sinistra ha riscoperto la sua funzione di classe e l’ha svolta pienamente.
La destra radicale conferma il suo insediamento in una parte del Sud (intorno a Nizza) e soprattutto nel nord – est (intorno a Calais) e nelle aree interne, quelle più lontane dai grandi centri: Le Pen vince nei comuni medio piccoli e perde malamente nei grandi comuni. A livello sociale il Rassemblement nazional ottiene i sui massimi consensi tra i
disoccupati e nelle fasce popolari con basso livello di istruzione e basso reddito tra coloro che sono spaventati della globalizzazione, della instabilità dei vincoli, dall’inflazione, dell’immigrazione, dal radicalismo islamico, dell’invasione, insicurezza nelle strade, dalla microcriminalità, quindi paura che domina nei piccoli centri dove magari non si vede un
immigrato dove non si vede un criminale, dove non vede niente ma è il sentiment che prevale e si impone. Invece, al contrario, Esemble! il partito di Macron, ottiene il suo picco nelle fasce ad alto reddito e in quelle sociali elevate, tra gli anziani: c’è una dinamica generazionale interessante che vede all’opposto la sinistra molto forte tra i giovani, con oltre il 40% dei voti, mentre Macron vince tra pensionati e over sessantenni. I flussi del voto tra il primo e secondo turno dimostrano che soprattutto gli elettori della sinistra quando avevano un candidato macroniano lo hanno votato nel 72% mentre gli elettori macroniani quando c’era un candidato di sinistra da votare lo hanno sostenuto i circa il 40 50%.
Sciogliendo anticipatamente l’Assemblea nazionale Macron ha guadagnato tempo, perché ora per un anno non è più possibile indire nuove elezioni il governo, verosimilmente, lo accompagnerà per tre anni, fino alla fine del suo mandato.
Tuttavia da come saranno gestiti questi tre anni dipenderà il futuro della Francia, prova ne sia che la Le Pen ha dichiarato che si tratta di una vittoria differita, perché il Rassemblement National continuerà a crescere. A contrastare i piani di Marine Le Pen e del suo delfino Bardella è l’estrema inadeguatezza dei candidati del suo partito, rivelatici incapaci di gestire il potere al quale ambiscono perché impresentabili e animati da livore razzista e dà incompetenza.
La situazione economica
Anche se i commentatori politici sottolineano l’indubbio ruolo di desistenza svolto dalla sinistra per impedire la vittoria del Rassemblement National il successo ottenuto si deve, a nostro avviso, al programma economico e sociale del Nuovo fronte popolare che si caratterizza per il tentativo di dare una risposta in positivo alle grandi lotte e alle mobilitazioni che hanno caratterizzato lo scontro sociale in Francia negli ultimi anni. Indubbiamente la politica economica e sociale di Macron è stata disastrosa e fallimentare, prova ne sia la crescita del costo della vita, l’inadeguatezza dei salari, le misure di carattere sociale e da ultimo la legge sull’immigrazione, votata in accordo con la destra, che pure Macron dice di voler combattere. I 7 anni all’Eliseo di Macron saranno ricordati perché è stata forzata la Costituzione varando di due leggi fondamentali contro il volere del Parlamento e contro il paese. Le lotte dei gilet gialli prima ,quella sulle pensioni, poi hanno scavato un fossato all’interno della società francese che divide il popolo, sia esso di destra che di sinistra, dal potere e perciò non è un caso che il programma della sinistra al primo punto contenga l’immediata riforma per decreto dell’età pensionabile, riportando la prima uscita a sessant’anni e l’immediato aumento, anch’esso per decreto , del salario minimo a 1600 mensili. Va detto che la sola manovra sulle pensioni costerebbe ben 50 miliardi di euro entro il 2027, il che costituisce un costo insostenibile per un paese il cui bilancio è in crisi, tanto che l’Unione europea ha aperto la procedura di infrazione verso la Francia. Ora è pur vero che l’unico paese in Europa che non ha di fatto applicato il patto di stabilità è la Francia e che quindi i francesi si sono abituati che quello che vale per tutti gli altri non vale per loro, ma la procedura di infrazione è comunque aperta, con un deficit previsto per quest’anno del 5%, per cui non si può dare per scontato che la banca centrale europea sostenga il disavanzo. Non rimane allora che l’immediata adozione della patrimoniale particolarmente severa per andare a cercare e trovare i soldi dove sono e cioè
nelle tasche dei ricchi, cosa alla quale Macron è radicalmente contrario.
È questo il motivo reale per il quale il presidente non vuole avere nessun rapporto con la France Insoumise e Mélenchon, il quale invece sostiene che l’aumento dei salari e l’immissione massiccia di risorse finanziarie nel mercato innescherebbe un meccanismo virtuoso, che produrrebbe un aumento dei redditi capace di incidere poi sul gettito fiscale,
di identità tale da ripagare gli interventi sociali e riequilibrare il bilancio. Certo uno dei corollari essenziali di questa nuova economia è l’abbandono dell’economia di guerra e della politica di grandeur del paese, la definitiva liquidazione dei cascami di politica coloniale e di potenza che caratterizzano la politica internazionale di Macron. soprattutto per quanto riguarda ciò che resta dell’impero coloniale francese e della influenza del paese soprattutto in Africa. Benché il programma concordato del Nuovo fronte popolare prevede ancora il sostegno all’Ucraina queste scelte di politica economica presuppongono e comportano il suo abbandono. Anche se la gran parte delle forze politiche fa finta di
ignorarlo è la guerra il terreno sul quale le possibilità di una diversa politica economica della sinistra si misurano.
I nodi giungono al pettine
Anche se per il momento Macron, nascondendosi il persistente dietro l’esigenza di gestione dei giochi olimpici, ha annunciato di mantenere in carica Gabriel Attal per gli affari correnti, un nuovo governo dovrà essere formato e dovrà dotarsi di una politica economica. A settembre incombe la manovra di bilancio: la Francia che ha il terzo debito pubblico più alto dell’Europa, dopo la Grecia e l’Italia, aumentato più di tutti gli altri paesi dell’Unione europea a partire 2019 ha un bilancio caratterizzato da un disavanzo crescente. La sinistra propone una politica espansiva che si autofinanzierebbe in quanto determinerebbe l’aumento del PIL, contando sul fatto che con la crescita dei redditi le entrate dello Stato aumenterebbero. I capitali occorrenti per innescare il processo di crescita dovrebbero tuttavia essere reperiti con un robusto aumento della tassazione e con una patrimoniale che andrebbe a colpire l’elettorato macroniano, cercando di invertire quella tendenza ad una redistribuzione della ricchezza a favore delle classi più agiate che ha costituito il tratto caratteristico della gestione macroniana del potere. Appare del tutto irrealistico che una scelta di questo genere verrà adottata fino a quando, come nella situazione attuale, il partito del presidente della Repubblica giocherà un ruolo
determinante nella gestione dello Stato.
Se non sarà adottata una politica capace di affrontare e risolvere i problemi posti dall’elettorato la vittoria della destra e solo rimandata. Non bisogna dimenticare infatti che il Rassemblement National è stato il partito che ha preso il maggior numero di voti in valore assoluto, sia al primo che al secondo turno, anche se per il sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali usato in Francia prendere più voti su base nazionale non implica in alcun modo ottenere più parlamentari: per essere eletto un candidato deve prendere più voti degli altri candidati nel suo collegio elettorale, indipendentemente da quanti voti ha preso il partito in totale. Tuttavia il persistente consenso per la destra si
traduce comunque in instabilità sul piano sociale . Inoltre in occasione delle future lezioni tra tre anni, queste si svolgeranno per leggere contemporaneamente sia il Presidente della Repubblica che la nuova Assemblea nazionale. Ciò significa ancora una volta una polarizzazione del voto sui due candidati che saranno espressione degli opposti
schieramenti.
Pertanto l’unica occasione che ha la sinistra per governare è quella di intensificare lo scontro sociale e cercare di ottenere con la mobilitazione sindacale e con le lotte quegli obiettivi che gli sono preclusi da un futuro governo di coalizione che mancherà della necessaria coerenza nel perseguire gli obiettivi contenuti nel programma della sinistra.
Questa è la sola strada per migliorare le condizioni di vita e di lavoro del popolo francese e al tempo stesso di scongiurare che in futuro, la gran parte dell’elettorato, deluso dalla sinistra, decida di sostenere la destra del paese.
Turandosi il naso
Il popolo di sinistra in Francia ha mostrato una grande maturità, scegliendo di votare i macronisti, nel secondo turno di ballottaggio, ha votato turandosi il naso, pur di fare sbarramento alla destra e difendere la Repubblica. Questa grande generosità e maturità non va offesa e calpestata, dando spazio alle manovre finalizzate all’esclusione della sinistra dalla responsabilità di governo, dai tentativi di vanificare l’attuazione del suo programma, perché la risposta produrrà inevitabilmente la scesa in campo di lavoratrici e laboratori, di uomini e donne nelle piazze, in difesa dei loro diritti ed interessi, perché sono loro e i loro bisogni ad impersonare la Repubblica. Il vergognoso fuoco di sbarramento aperto dalla stampa ben pensante, dall’establishment, dai manutengoli del potere non non basterà a sconfiggere le giuste aspettative degli elettori di sinistra che vogliono con tutte le forze l’attuazione del programma di governo posto alla base della coalizione che ha combattuto e si è sacrificata per sconfiggere la destra e tutto ciò a prescindere dal premier individuato.
Una domanda si impone con tutta evidenza ai padroni, ai finanzieri, ai tecnocrati di ogni risma: ma come avete potuto pensare che i gilet gialli, che i lavoratori in sciopero per il salario, quelli che sono scesi in piazza in difesa delle pensioni, rivendicando benessere e qualità della vita, scherzassero quando scioperavano per giorni e scendevano in piazza; come avete potuto pensare che avrebbero dimenticato l”uso proditorio e violento dell’art. 43 della Costituzione per forzare la volontà parlamentare e popolare; come avete potuto non capire quanto il paese fosse capace di unirsi in difesa della Repubblica e della liberà, fraternità e uguaglianza, a prescindere dal colore della pelle, della provenienza, se
migrante, del sesso, del genere, dell’età?
Se dovesse accadere che le male arti del riformismo, la palude centrista, riuscissero a dividere la coalizione e mantenere il potere nelle mani dei soliti noti, dei burocrati del regime e degli alti funzionari dello Stato, allora l’unica risposta possibile sarà scendere in piazza, e questa volta in modo ancora più deciso. Occorre che i sostenitori dell’ordine
repubblicano ricordino che mentre molte cose dividono la destra e la sinistra del paese, i bisogni e molte rivendicazioni sono comuni e che quindi le lotte per un maggior salario, quella per le pensioni, quelle per una maggiore giustizia sociale, vedranno il paese unito nelle piazze a combattere un nemico comune, come è già avvenuto negli ultimi anni, a fronte delle politiche fallimentari del governo macroniano. Le libertà democratiche hanno un prezzo e insieme una condizione: l’uguaglianza e la giustizia sociale.
Bisogna che lo capisca anche l’Unione europea, rendendosi conto che scegliere come priorità il riarmo dell’Europa ha tutto danno della politica sociale, portare avanti una reimpostazione green della politica economica e di sviluppo, è incompatibile con l’inquinamento dell’aequis comunitario come diretta conseguenza dell’ingresso forzato per
motivi politici dell’Ucraina nell’Unione, in violazione di tutti i parametri richiesti dai Trattati e con un danno economico e a spese dei popoli dei paesi che ne fanno parte.
La Redazione