Scenari Internazionali

Comunque vada la guerra in Ucraina si vanno delineando alcuni scenari internazionali. La guerra iniziata con l’aggressione militare russa all’Ucraina, indotta dalla politica estera angloamericana, attraverso un logorio costante della società ucraina, mediante un’alleanza con un una cricca di oligarchi locali patriottici, collusi con ambienti ecclesiastici, ha raggiunto il suo obiettivo principale a livello internazionale: mettere in crisi e ridimensionare le potenzialità e le prospettive economiche dell’Europa e obbligare la Russia a volgersi, suo malgrado, ad oriente.
È stato innescato un processo di riposizionamento delle alleanza, di articolazione dei rapporti finanziari, economici e produttivi, che si riverbererà col tempo in un nuovo orientamento dei commerci a livello mondiale che farà perno soprattutto sul flusso delle energie (gas e petrolio), ma ancor più sul controllo e commercio delle materie prime, con
particolare attenzione al controllo delle terre rare, ma anche ai prodotti agricoli: tutto ciò inciderà inevitabilmente nella divisione internazionale del lavoro e sulle capacità di accumulazione dei profitti dei diversi sistemi geoeconomici in competizione e quindi nella distribuzione dello sviluppo, benessere e ricchezza nel pianeta.
Il nuovo assetto indurrà le multinazionali a un riposizionamento per collocarsi nelle aree strategicamente più opportune per realizzare i loro affari e le nuove condizioni alle quali avviene l’approvvigionamento di materie prime farà guadagnare potere ai mega Stati rispetto a molte conglomerate multinazionali costrette a tenere conto delle nuove condizioni alle quali avvengono gli scambi tra le differenti aree di mercato. Si apre una fase parzialmente nuova, tutta da analizzare del rapporto tra multinazionali e mega Stati.
In capitalismo internazionale riprogramma e rimodula ancora una volta il suo piano di sfruttamento globale e di dominanza del pianeta con una ridotta attenzione a problemi quali l’emergenza climatica, la sopravvivenza stessa della specie, la conservazione dell’ambiente, della biodiversità; si dirà che non c’è molto di nuovo, ma non è così: è un sempre più spregiudicato l’utilizzo della guerra e un sempre maggiore il disprezzo per l’umanità, testimoniato dalle circa 67 guerre in corso di maggiore o minore intensità.
Tale obbiettivo è stato – fino ad ora – perseguito e raggiunto da Biden, in calo di popolarità, e con un’inflazione in forte crescita, recidendo la complementarità tra l’economia europea e quella russa, subordinando in un rapporto di dipendenza dal mercato internazionale dell’energia (con un ruolo rilevante USA dal punto di vista economico e strategico) l’Europa, al punto da produrre un aumento del 30% dell’incidenza sul costo dell’energia sulla produzione delle merci nei paesi U. E. In tal modo si è fortemente ridotta nell’immediato la capacità competitiva dell’Europa e delle sue merci nel mercato mondiale, a tutto vantaggio della Cina , ma anche, in una qualche misura e in una prospettiva breve,
degli USA; Biden ne ha guadagnato due punti di popolarità e punta a crescere ancora, continuando a commettere gaffe strategiche che piacciono tanto alla provincia americana e che dovrebbero farle vincere le elezioni di mid-term, ma non è detto.
La rottura della complementarità tra l’economia dei paesi U. E. e la Russia va a tutto vantaggio della Cina che sta rinsaldando i rapporti economici e politici con la Russia, che può fare shopping a buon prezzo sul mercato russo, fornendo liquidità e acquisendo in cambio il controllo di importanti aziende, indirizzando il flusso dell’energia a basso
costo verso il proprio sistema produttivo. Ad avvantaggiarsi di quanto sta avvenendo è anche l’India, area verso la quale si dirige, e ancor più si dirigerà, una parte non irrilevante del flusso di energia prima utilizzato dall’Europa. Le infrastrutture necessarie a realizzare questo riorientamento delle linee neurali attraverso le quali viene distribuita l’energia
e si muovono le merci, sono in fase di progettazione da prima del precipitare della crisi e la frenetica diplomazia successiva allo scoppio delle ostilità ne sta accelerando i tempi, quantomeno di progettazione se non di realizzazione.
Ma vediamo di esplorare i nuovi possibili scenari che la guerra in atto ha aperto, tenendo conto che per capire quanto sta avvenendo e soprattutto in prospettiva può avvenire, è essenziale prendere in considerazione il fattore tempo e prefigurare i processi innescati in progress, inquadrandoli nel lungo periodo, per poterne cogliere gli effetti nell’arco di
uno sviluppo temporale tutto da verificare in modo da capire quali scenari si preparano.

L’aumento della competitività cinese a basso costo di energia

Ma intanto è essenziale partire dagli effetti immediati di quanto è avvenuto nei rapporti tra UE e Russia e rendersi conto che la guerra sullo scacchiere europeo ha completamente (e felicemente per la Cina) mutato il quadro dei rapporti strategici. Occorre considerare che la Cina ambisce storicamente ad avere per sé il controllo della Siberia, controllo che
non è mai riuscita a sottrarre alla Russia. Questa è l’occasione per orientare la produzione dei giacimenti della Siberia orientale e centrale verso di sé, trattandosi di territori contigui al suo confine nord. Al gasdotto proveniente da Altaj, già in funzione, possono aggiungersene, in tempi relativamente brevi, altri 4, due dei quali in avanzato stato di realizzazione (il primo gasdotto sarà in funzione nel 2025 e altri progetti si affacciano nella nuova situazione geopolitica).
A beneficiarne saranno principalmente le aree a nord di Pechino, fino al confine, e in particolare la regione del Fujian che è quella prospiciente a Taiwan e quindi di alto valore strategico per la Cina come vetrina verso l’isola. Verso quest’area convergono già due gasdotti che provengono, il primo dalle isole di Sakhalin e il secondo dai giacimenti della
Siberia orientale, ed andranno principalmente ad alimentare il cosiddetto triangolo d’oro che comprende i distretti di Xiamen, Quanzhou e Zhangzhon che rappresenta il 40 per cento del PIL della provincia del Fujian; si tratta di aree nelle quali vengono investiti capitali provenienti da Taiwan e quindi gli investimenti hanno anche un valore strategico in quanto
rafforzano le tendenze economiche favorevoli a promuovere la riunificazione il che è coerente con la politica cinese di risoluzione delle controversie mediante gli affari.
Un altro oleodotto e gasdotto è stato da tempo ipotizzato dai giacimenti russi della Siberia centrale verso il Xinjiang. Se il progetto di quello che viene denominato il Gasdotto dell’Altaj venisse ripreso esso potrebbe poi proseguire verso l’India, aprendo alla Russia un ulteriore ricco mercato.
Naturalmente altri sono i percorsi dei nuovi oleodotti e metanodotti, oggetto delle trattative subito aperte dai Cinesi per sfruttare il momento favorevole, come attestano non solo i colloqui a livello di ministri degli esteri ma anche le missioni economiche attualmente in Russia. I percorsi ipotizzabili dovrebbero portare energia nelle aree interne della Cina
che sono quelle tradizionalmente escluse dallo sviluppo e frenare il sempre maggior spostamento di popolazioni verso le città della costa, incidendo su una delle distorsioni dello sviluppo del paese che da sempre preoccupa la politica di Pechino. Ciò spiega peraltro il sostanziale sostegno della Cina alla Russia in nome di interessi rilevanti che porteranno l’economia cinese a disporre di energia con un risparmio del prezzo medio stimato del 30%.Se questi sono i vantaggi immediati e futuri della Cina c’è da dire che l’avido, ma miope, capitalismo USA e il tardo imperialismo nostalgico conservativo dell’Inghilterra, hanno prodotto il rafforzamento economico ulteriore della Cina sul fronte del Pacifico nel quale costoro vorrebbero competere con la crescente potenza cinese: una sola cosa le vie della seta non assicuravano alla Cina l’approvvigionamento di energia (petrolio +gas) ebbene ci ha pensato la Nato e quel miope di Biden.

I vantaggi dell’India

Come è noto l’India si è astenuta sulla condanna alla Russia e non ha approvato le sanzioni. Si è ansi offerta per creare un asse tra rupia e rublo per offrire delle alternative al sistema finanziario russo necessario ad attutire gli effetti delle sanzioni e reclama, in cambio, un rapporto privilegiato con la Russia.
Le ragioni di questa disponibilità risiedono negli storici buoni rapporti tra i due paesi, testimoniati dalla continua vendita d’armi, ma ancor più dai rinnovati comuni interessi per quanto riguarda il recupero e le garanzie degli investimenti indiani in Afganistan. La Russia è infatti l’unico paese di una qualche rilevanza ad aver conservato una presenza
diplomatica nel paese.
L’India è un paese la cui economia si dedica alla trasformazione ed è quindi onnivora per quanto riguarda il consumo di energia. Attraverso i rapporti con la Russia potrà assicurarsi le forniture di petrolio che le occorrono a buon prezzo, e tutto questo senza dipendere dall’Iran, né tanto meno dall’Arabia Saudita e dal mondo islamico, verso il quale il governo Indu conduce una politica di feroce repressione delle minoranze interne. In quanto al gas la commerciabilità del gas liquido, benché i costi di mercato siano al momento poco convenienti, non è escluso che induca col tempo India e Russia ad attrezzarsi per ricorrere a queste modalità di trasporto del prodotto, mentre è tutto da giocare il rapporto con la Cina per un oleodotto e gasdotto che attraversino il Xinjiang giunga in India.
La manodopera sconfinata della quale dispone l’India la mette in condizione di svilupparsi, soprattutto se i costi dell’energia saranno contenuti. Si obietterà che occorre tempo per costruire le infrastrutture necessarie, ma occorre tener presente che queste scelte infrastrutturali, una volta effettuate, si caratterizzano per larghi margini di durata in rapporto ai costi e ai tempi di realizzazione. Ebbene ancora una volta tutto questo potrebbe avvenire grazie a Biden e all’imbecillità britannica.
Ambedue i partner credono di avere costituito un argine all’espansionismo cinese, mettendo insieme una scalcagnata alleanza di reduci, l’AUKUS, dove gli inglesi svolgono il ruolo che fu dei gurkha nell’impero britannico, cercando così di rimettere insieme l’unità stessa della Gran Bretagna, sottoposta a spinte centripete e a rischio di dissoluzione come Stato unitario.

Il Regno disunito

Vedendo la situazione nella quale versa oggi la Gran Bretagna viene da chiedersi se ce la farà Boris Johnson a risparmiare alla regina (alla quale auguriamo lunga vita) di non vedere la fine dell’unità del suo regno. Boris sa bene che per mantenere l’unità nazionale non c’è niente di meglio di una guerra che, rinverdendo il ricordo dell’impero, porti il
paese a riscoprire il patriottismo.
Vi sono tuttavia molti dubbi che il suo offrirsi come sherpa ai “coloniali” riuscirà a bloccare a lungo le spinte alla separazione di Irlanda del Nord e Scozia. Viene da chiedersi: come pensa il leader britannico che il mettersi al servizio dei padroni americani, potrà frenare la crescita e lo sviluppo economico dell’U. E., potrà fermare la sua crescita della sua
forza attrattiva verso l’Irlanda del Nord. Occorrerebbe poi che si chiedesse come non potrà la fame di petrolio e di energia dell’U. E. non rafforzare la determinazione e l’interesse della Scozia e del suo petrolio a rendersi indipendente per collocarne più convenientemente sul mercato dell’unione la produzione.
Tuttavia, i villici di Inghilterra e Galles potranno fornire ben poche truppe, benché specializzate e addestrate, ai padroni Yankee Di ciò comincia ad esserne consapevole perfino Johnson, che il 20 marzo ha riunito la Joint Expeditionary Force, la “Nato del Nord”. (vedi: Guerra in Ucraina: la pista britannica, in questa Newsletter). Il ruolo di quel che resterà del Regno Unito è destinato ad essere parte dei territori d’oltremare degli Stati Uniti. Finirà così la barzelletta, di humor certamente britannico, di credersi ancora un impero per il fatto di possedere 14 territori d’oltremare elencati dal British Overseas Territories Act, una legge del 2002: Anguilla, Bermuda, Territorio Atlantico Britannico,
Territorio Britannico dell’Oceano Indiano, Isole vergini britanniche, Isole Cayman, Isole Falkland, Gibilterra, Montserrat, Isole Pitcairn, Sant’Elena Ascensione e Trista de Cunha, Georgia del Sud e isole Sandwich Australi, Akrotiri e Dhekelia, Turks r Caicos.

E ora in Europa?

In Europa l’inflazione galoppa. In Spagna e al 9 % e in Germania al 7,3 %, in Italia al 7% in Francia intorno a 6%, per ora. In queste condizioni i piani previsti dal PNRR sono irrealizzabili, un po’ ovunque e non solo in Italia, a causa dell’aumento dei costi e quindi va ridimensionato il quadro di interventi, rimodulato e riprogrammato. Tutto ciò è gravissimo se si tiene conto che la gran parte delle risorse viene da prestiti che dovranno essere prima o poi restituiti. In queste condizioni la svolta green diviene problematica, così come la realizzazione di quell’economia neo-curtense che avrebbe dovuto riportare a misura europea la globalizzazione e il decentramento produttivo. Non solo, ma non è escluso
che anche il commercio delle materie prime, sia minerali che alimentari, segua il riorientamento dei flussi energetici, perché è attorno ai terminali dei corridoi di petrolio e gas che si realizzerà nel prossimo futuro lo sviluppo e l’accumulazione.
Le istituzioni e la coesione europea escono apparentemente rafforzate da quanto sta succedendo: sotto la spinta dell’emergenza sono state assunte decisioni unanimi impensabili prima della guerra, in materia di coesione politica, coordinamento tendenziale di una politica energetica. Con la cosiddetta Bussola europea sembrano essere state gettate le basi di un futuro esercito UE che potrebbe rendere inutile la NATO o portare ad una sua radicale trasformazione.
Il massiccio ingresso dei profughi ucraini ha indotto l’unione ad applicare finalmente la direttiva n.55 del 2001 che permette il riconoscimento immediato della protezione dei profughi per un anno, senza le normali procedure d’asilo.
È così entrato in vigore un doppio regime che vede i profughi di guerra ucraini assistiti e quelli delle altre guerre negletti e abbandonati a morire o a marcire nelle discariche delle città europee.
Il precipitare della situazione ha consentito di superare le perplessità dei Paesi di Visegrad e dell’Austria per quanto riguarda i soli ucraini d’hoc. I governi di queste nazioni hanno espresso dubbi sulla concessione della protezione temporanea a profughi che non sono cittadini ucraini e la presidenza del Consiglio U. E. ha lavorato a una dichiarazione
politica, allegata alla direttiva, che di fatto consente di discriminare il trattamento dei profughi tra ucraini e quelli provenienti da altri paesi. Agli ucraini la direttiva concede la tutela immediata e temporanea; viene concesso un permesso di soggiorno, ma anche l’accesso all’istruzione, al mercato del lavoro, ai sistemi sanitari e al sistema di welfare dello Stato membro in cui andranno. La protezione, immediata, dura un anno e si può rinnovare fino a due. Senza la direttiva, invece, i profughi avrebbero potuto soggiornare liberamente in un Paese europeo per 90 giorni, trascorsi i quali avrebbero dovuto
presentare richiesta di permesso di soggiorno o protezione. Decisamente un modo selettivo e razzista per affrontare il problema.
Da più parti si sostiene che la guerra ha accelerato i processi di coesione; a nostro avviso sarebbero tali se si misurassero sulla condivisione del debito, sul coordinamento delle politiche fiscali, sulla legislazione sociale e di tutela del lavoro, ma ciò è di là da venire.
Le difficoltà energetiche e quelle relative alle materie prime e a quelle alimentari prospettano per l’Europa un periodo di difficoltà economiche e sociali, ma certo in queste condizioni l’Ucraina potrà aspirare a condividere la miseria europea, anche se realizzerà il progetto di costruzione di una identità ucraina nella lotta contro il tiranno aggressore.

Gianni Cimbalo