Mentre la mattanza sui campi di battaglia della guerra d’Ucraina continua incessante, cancellando una generazione di ucraini e spopolando il paese, gli effetti collaterali del conflitto cominciano a prodursi nell’area di allargamento dell’Ue. Come pochi analisti filo-occidentali prevedevano, il prolungarsi del conflitto ha finito per avvantaggiare la Russia che ha efficacemente convertito la propria economia mettendola al servizio della guerra, riversando sul campo di battaglia la maggiore disponibilità di uomini di cui dispone, a causa delle dimensioni stesse del paese. Il risultato è che la resistenza ucraina è sempre più logora. al di là dell’enfasi propagandistica del suo Presidente sugli esiti finali della guerra.
Il conflitto non ha fatto altro che acuire i problemi del paese che, come primo effetto, si è spopolato a causa di un’immigrazione gigantesca, privandosi di circa un quarto della sua popolazione. L’Ucraina oggi è distrutta, il suo territorio è inquinato dalla guerra, il suo bilancio non esiste; il paese vive dei finanziamenti occidentali, la società è divisa:
è in corso una vera guerra di religione tra la Chiesa autocefala ortodossa di Stato, ritenuta scismatica dalla gran parte delle Chiese ortodosse e la Chiesa ortodossa canonica l’Ucraina, affiliata al Patriarcato di Mosca, anche se da questa ha
ottenuto una larghissima autonomia.[1] Il paese è devastato dalla corruzione ed è preda degli speculatori di guerra, mentre disperatamente, sotto la spinta dei paesi finanziatori d’occidente, il governo cerca di contrastarla, facendo dimettere questo o quel ministro, è costretto a licenziare gli addetti al reclutamento, corrotti, come tanti altri funzionari dello Stato, che in cambio di denaro aiutano i renitenti alla leva ad evitare di andare in combattimento. L’ordalia del sangue versato in nome della nazione – della quale si nutre il nazionalismo ucraino, che la guerra ha fortemente voluto – non sembra produrre effetti; i segnali di disgregazione della coesione sociale, a causa dei contrasti etnico-linguistici, crescono; le minoranze storiche della Rutenia subcarpatica, di lingua e cultura magiara. guardano con sempre più attenzione all’Ungheria, mentre il governo di quel paese rilascia loro il doppio passaporto. Altrettanto avviene per la minoranza di lingua e cultura rumena che abita la
regione di Herța, che è parte del oblast di Černivci, ha chiesto e ottenuto dalla Chiesa ortodossa rumena la costituzione di un’Eparchia in territorio ucraino, a garanzia di mantenimento e rafforzamento della propria identità. La minoranza polacca dell’area di Leopoli si sente legata sempre più alla madrepatria, mentre crescono i renitenti alla leva e i disertori che fuggono all’estero piuttosto che prodigarsi nello sforzo di andare a combattere nel Donbass, territorio che appare lontano e per il quale ci si chiede se valga la pena morire.
Per ovviare in parte a questa situazione le rappresentanze diplomatiche all’estero dell’Ucraina hanno ricevuto indicazioni che vietano loro di lasciare qualsivoglia documento agli ucraini espatriati che sono in età da servizio militare e che aumentano di rientrare in patria per arruolarsi, con il risultato che l’esodo dal paese di una parte consistente e giovane della sua popolazione si avvia a divenire definitivo.
La guerra e gli obiettivi russi
A ben guardare il progetto strategico di Mosca appare sempre più chiaro: dopo aver impegnato l’esercito dell’Ucraina su un fronte di più di 1000 km i russi mirano a sfondare il fronte, operando alle spalle delle trincee ucraine.
Dal 9 di maggio un corpo d’armata di 30.000 avanza sulla direttrice di Karkiv, operando in un’area paludosa, priva di difese naturali. È possibile che i russi intendano superare la città, chiudendola in una énclave, e poi proseguendo verso sud per portarsi alle spalle delle trincee del Donbas, puntando contemporaneamente alle rive del fiume Dnper, come muovo confine naturale di un’area cuscinetto di territorio sulla quale intendono esercitare la propria giurisdizione per mettere al sicuro le frontiere russe. Il totale controllo della costa del mar d’Azof, fino al delta del Dnper e di parte del
golfo di Karkinyts’ke, fino a giungere nei pressi di Odessa, riduce notevolmente lo sbocco al mare dell’Ucraina.
L’acquisizione di queste porzioni di territorio contribuirebbe non poco al consolidamento della presenza russa in Crimea, completando il nuovo assetto territoriale e ridimensionerebbe il paese riducendone il peso strategico. Che questo venga fatto con una pace accettata da ambedue i belligeranti, come soluzione del conflitto, oppure semplicemente come effetto del cessate il fuoco o come il prodotto di una linea di armistizio sul modello coreano, poco importa, poiché a queste condizioni l’obiettivo strategico securitario per la Russia verrebbe raggiunto.
L’errore dell’Ucraina, mal consigliata dagli alleati occidentali, è stato quello di non accettare il piano di pace messo a punto nei colloqui di Istanbul, che come i documenti pubblicati da Foreign Affairs, pubblicazione vicina al Pentagono, dimostrano, due mesi dopo l’inizio della guerra, quando la Russia era in evidente difficoltà, prevedevano la
smilitarizzazione del paese, la sua neutralità, il ritiro russo dal Donbas, un referendum tra 14 anni per quanto riguarda la Crimea, la possibilità di ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea. Allora gli americani e gli inglesi imposero a Zelensky di rifiutare un accordo perché volevano condurre una guerra di logoramento della Russia e al tempo stesso avevano bisogno del tempo necessario per distruggere il Nord Stream 2 e recidere ogni legame energetico tra Unione europea e Russia.
Il risultato è stato il massacro del popolo ucraino come di quello russo, l’utilizzazione come carne da cannone dei giovani di ambedue paesi, distruzioni immani al punto che oggi resta loro in mano un territorio devastato, ridimensionato, privato della gran parte della sua popolazione, dal peso economico e dalle risorse, con un ruolo strategico certamente ridotto.
I confini dell’Unione europea
Sostenendo l’Ucraina nella guerra l’Unione europea si è mossa nella convinzione che i suoi confini naturali includono questo territorio: da qui la scelta di conferire all’Ucraina la qualifica di paese candidato, la promessa del suo ingresso nella NATO, le solenni dichiarazioni finalizzate all’allargamento dell’Unione ad Est, nella convinzione che la
forza attrattiva dell’Unione europea non abbia alternative per nessuno degli Stati dell’area.
Se non che proprio la guerra ucraina sta facendo nascere altre possibilità ed altre prospettive. Un segnale in questa direzione viene dagli esiti del recentissimo viaggio di Xi Jinping in Serbia e Ungheria: il primo paese, candidato a entrare nell’Unione, il secondo riottoso membro.
Le intenzioni manifestate dai cinesi dimostrano chiaramente che vogliono fare di Belgrado e del suo territorio una testa di ponte verso l’Europa, affiancato da un terminale interno all’Unione, costituito dall’Ungheria. Fra i due paesi, che saranno uniti da un’infrastruttura di alta velocità, finanziata e costruita dai cinesi, verranno realizzati investimenti che riguardano sia la costruzione di auto elettriche che di batterie, in modo che la produzione di queste possa avere come mercato naturale quello occidentale. L’effetto atteso è di produrre un forte sviluppo economico dei due paesi, con la
differenza che, mentre Belgrado beneficia del suo ruolo di terminal europeo della “via della Seta”, l’Ungheria mangia nelle scodelle di due padroni, mungendo da un lato la vacca comunitaria e dall’altra banchettando con i cinesi, dei quali colloca i beni prodotti in un paese Ue sul mercato comunitario senza pagare dazi particolari.
Sul piano geostrategico gli effetti di quanto sta avvenendo non sono secondari poiché creeranno un polo di sviluppo economico-politico che rischia di attrarre i paesi balcanici, che tante difficoltà trovano nel farsi accettare all’interno dell’Unione europea, benché tanti sforzi hanno fatto per adeguarsi all’aequis comunitario e che ora si vedono bypassati dall’Ucraina, divenuta interlocutore privilegiato, mentre loro restano al palo.
Il primo “birillo” a cadere potrebbe essere la Macedonia del Nord, dove si sta insediando un governo di destra appena eletto che guarda con sospetto all’Unione europea, che vede nella Serbia il grande protettore, che ha affrancato la minoranza macedone della popolazione dai ricatti della Bulgaria che, insieme alla Grecia, si oppongono strenuamente al suo ingresso nell’Unione.
Altro paese in bilico è il Montenegro, i cui legami con la Serbia sono tutt’altro che recisi; di fronte alle difficoltà persistenti d’ingresso in Europa la tendenza ad un ravvicinamento con Belgrado degli esclusi potrebbe crescere, coinvolgendo la vicina Bosnia.
Non è poi da sottovalutare la variabile costituita dalla Turchia, la quale ha grandi ambizioni di rafforzare la propria presenza nei Balcani occidentali e coltiva ottimi rapporti con la Cina; perciò ha tutto l’interesse a stabilire relazioni con il gigante asiatico, soprattutto se il progetto occidentale di dar vita alla cosiddetta “Via della Canapa” si realizzerà. La Turchia, agendo in contrasto con i paesi arabi coinvolti nel progetto che raccoglie l’interesse di India, paesi del Golfo e Israele, potrebbe trovare conveniente stabilire un’asse di sviluppo economico alternativo legato alla Cina e al
tempo stesso a Serbia e l’Ungheria.
Verrebbe così meno o ne sarebbe enormemente danneggiato l’antico progetto tedesco di asservimento dei Balcani e del loro inglobamento nell’Ue., iniziato dalla politica tedesca, che ha voluto la distruzione dell’ex Jugoslavia, ai fini di impedire il formarsi di un polo di attrazione esterno all’Unione europea nei Balcani occidentali, tradizionale area d’instabilità del continente, per poter poi assorbire i singoli paesi uno ad uno.
Per comprendere a pieno quanto sta avvenendo occorre riflettere sulle cause della guerra in Ucraina: da un’attenta analisi ricostruttiva degli eventi – se accuratamente condotta – emergerebbe che se è vero che la guerra è iniziata con l’invasione russa, improvvida e criminale, è anche vero che la destabilizzazione dell’Ucraina è il frutto dell’azione congiunta di Stati Uniti e Gran Bretagna, iniziata all’indomani dei fatti di piazza Maidan e giunta a compimento con il foraggiamento del nazionalismo ucraino e lo scoppio della guerra civile nel paese.[2]
La variabile statunitense e gli interessi europei
È opinione condivisa da parte di tutti gli analisti che il perdurare della guerra in Ucraina è connesso agli esiti delle elezioni negli Stati Uniti. Infatti se Biden dovesse essere rieletto ha già dichiarato che la guerra continuerà mentre Trump si ripromette di interrompere il conflitto o quantomeno di cessare il rifornimento di armi e finanziamenti da parte statunitense. Tuttavia, in ambedue i casi, la necessità di contenere la politica estera cinese finirà per imporsi e. qualunque sia il segno dell’amministrazione statunitense, si andrà verso la ricerca di un compromesso, con il risultato che l’Ucraina
dovrà comunque pagare il prezzo di una tregua, anche se guerreggiata, con il solo risultato di aver sopportato un costo terribile costituito dalla distruzione di gran parte della popolazione e del territorio ucraino e da una crisi crescente dell’Ue.
Sarebbe quindi cosa saggia che la diplomazia europea contribuisse a creare al più presto le condizioni per una trattativa di pace che rispecchierebbe gli interessi dell’Unione ma anche quelli del popolo ucraino, il quale sarà costretto a trattare in
condizioni di crescente difficoltà sul campo di battaglia.
La Redazione
[1] G. Cimbalo, L’evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiese nella Nuova Ucraina. Alla ricerca dell’Autocefalia, in “Diritto e religioni” 2-2020, pp. 252-304;ID., Il ruolo sottaciuto delle Chiese nel conflitto russo-ucraino, in “Diritto e religioni” n. 2 del 2021, pp. 487-512; ID., La guerra Ucraina e la destabilizzazione dei rapporti ecumenici, Coscienza e libertà, 2021, n° 61/62, pp. 135-144. [2] G. L., Putin e Zelensky per noi pari sono, Newsletter Crescita Politica, n. 184, 2024. Il crollo del fronte interno in Ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 180, 2023; Due considerazioni sull’Ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 176, 2023; I guasti della guerra ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 170, 2023; Le cause economiche della guerra ucraina, Newsletter Crescita Politica, n. 160, 2023; Guerra in Ucraina: la pista
britannica, Newsletter Crescita Politica, n. 158, 2022; L’Ucraina di Zelesky prima di Putin, Newsletter Crescita Politica, n. 158, 2022; Il questuante e il dittatore, Newsletter Crescita Politica, n. 183, 2024.