Governo: bilancio di due anni

Dopo due anni dalla vittoria elettorale dalla formazione del Governo i consensi verso i partiti che formano la coalizione di destra non accennano a diminuire. Al più le diverse scadenze elettorali – comprese le elezioni europee – hanno fatto registrare uno spostamento di consensi all’interno dei partiti della coalizione che tuttavia, nel loro complesso, hanno mantenuto il sostegno di quell’elettorato che li aveva votati.
L’insieme dell’opposizione, incapace di coalizzarsi, non riesce a rappresentare una alternativa credibile, capace di raccogliere il consenso degli elettori e sovente soccombe anche nelle elezioni regionali, a causa della sua incapacità di realizzare un’alleanza, sia pure sul piano meramente elettorale, pur essendo maggioranza nel paese.
Ciò dipende dal fatto che i partiti di opposizione condividono totalmente la politica ordoliberista che guida anche la destra politica ed hanno completamente perso le caratteristiche genetiche che consentivano loro di rappresentare gli interessi di classe dei
meno abbienti, delle classi popolari. I partiti della sinistra riformista o sedicente tale, sono
ormai prigionieri di una narrazione incentrata sui diritti di genere e le libertà formali, piuttosto che sui bisogni materiali e sulle questioni di uguaglianza sostanziale, relativa
alla soddisfazione dei bisogni materiali ed economici, Caduti nella trappola delle cosiddette libertà liberali si ammantano di vuoti slogan a favore della democrazia politica trascurando i reali rapporti di classe ed anzi sostenendo la guerra come soluzione delle controversie internazionali. Ne costituisce una tragica e drammatica dimostrazione l’inesistente analisi
relativa alla guerra in Ucraina che fa di un regime oligarchico come quello di Kiev una democrazia liberale! Tutto ciò ha fatto sì che si sia creato un vuoto nel quale la destra politica e i partiti che ne sono l’espressione ha trovato modo di inserirsi, proponendosi per una gestione della società e del potere. Tutto ciò avviene con successo, malgrado che la coalizione di destra abbia dato prova, almeno in Italia, di disporre di una classe politica inadeguata a gestire il potere, al punto che l’azione di governo è costellata da clamorose défaillance, da gaf continue, da errori di comunicazione, da grandi e piccoli scandali, da incapacità e inadeguatezze, così frequenti da far arrossire chiunque e da rasentare spesso il ridicolo. Ciò malgrado il governo appare solido e destinato a durare e ciò dipende da alcuni fattori che vale la pena di analizzare.

La forza del governo

Un primo errore di valutazione risiede nel fatto di ritenere che questo sia un governo di destra, semplice espressione di un partito, come Fratelli d’Italia, che si è costruito nel tempo a fronte di un progressivo deteriorarsi dei numerosi partiti politici del paese e che è stato capace, restando all’opposizione, di offrirsi all’elettorato come un’alternativa credibile per la gestione dello Stato. Niente di più falso: questo partito è oggi il gestore designato della politica del capitale internazionale economico e finanziario che da tempo gestisce il potere in Italia. Esso è stato scelto a
tavolino per gestire l’accumulazione capitalistica in Italia in questa fase, a fronte della sempre più crescente e manifesta incapacità degli altri partiti, soprattutto quelli della sinistra che, adottata una politica ordoliberista, sono divenuti non più credibili nei confronti del proprio elettorato e quindi non in grado di gestirne il consenso allo sfruttamento. Prova ne è il fatto che il suo avvento è stato preparato e gestito dal suo grande protettore Mario Draghi, che lo ha allevato.
Prima che la situazione precipitasse e a fronte della crescente ingovernabilità del paese il capitale finanziario internazionale che gestisce l’accumulazione capitalistica in Italia ha trovato conveniente servirsi della destra politica per procedere nella gestione di una ristrutturazione dei ceti sociali e delle classi nel paese, in una fase delicata di
trasformazione della divisione internazionale del lavoro e di ristrutturazione degli asset produttivi a livello internazionale.
Si trattava di gestire una fase nella quale la struttura manifatturiera dell’economia italiana andava modificata, si trasformava la divisione internazionale del lavoro, cambiava il ruolo del paese nell’economia europea, mutavano gli asset digestione dell’assetto globale economico e sociale dell’Europa e del mondo. Occorreva mandare in soffitta una larga
componente di classe operaia, rivelatasi fin troppo combattiva, terziarizzare il paese, destrutturare la sua struttura produttiva, trasformare i rapporti fra classi e ceti sociali. Per condurre a compimento questa profonda modificazione occorreva ricorrere ad una ristrutturazione economica e produttiva capace di trasformare classe e ceti sociali conferendo chimica, dell’industria della componentistica e del manifatturiero, occorreva prendere atto della necessità di terziarizzare l’economia del paese e soprattutto dare vita a nuove stratificazioni del mercato del lavoro che andava suddiviso, segmentato, scompaginato nei suoi asset costitutivi, non senza aver fatto cassa svendendo progressivamente i “gioielli di famiglia”. É quanto il liquidatore Mario Draghi fa negli anni ’90!
Il processo di ristrutturazione è iniziato non ha caso in quegli anni, distruggendo gli strumenti di difesa del lavoro e la legislazione di sostegno al lavoro operaio e impiegatizio, costruita in anni di lotta per poi passare alla distruzione sistematica degli asset produttivi del paese, smantellando uno per uno i centri di produzione, dall’auto, alla chimica, e
terziarizzando sempre di più il paese. Ma il lavoro di intervento più radicale ha riguardato e riguarda la struttura stessa del lavoro e delle classi sociali: la realizzazione di questo progetto è passata attraverso la distruzione del ruolo stesso del sindacato e delle organizzazioni operaie, per poi segmentare il mondo del lavoro, creando ambiti diversi di rapporti di classe, con i nuclei di classe operaia sempre più atomizzati ed emarginati. La precarizzazione del rapporto di lavoro ha svolto in questo progetto un ruolo, una funzione essenziale, al punto che si sono creati più mercati del lavoro tra di loro non comunicanti e connessi, caratterizzati da leggi e regole proprie, che ne determinavano ambiti e confini salariali funzionali a definire aggregati di classe con interessi spesso divergenti e confliggenti.
Il risultato è che se oggi guardiamo al mercato del lavoro, accanto a quello impiegatizio e operaio vediamo una miriade di lavori precari costellati da specifiche caratteristiche, da specifiche normative e poi un grande mercato del lavoro nero e precario, collocabile in una posizione appena più favorevole del mercato schiavistico, costituito dai lavoratori invisibili, ovvero dai migranti prestatori d’opera illegale, illegali essi stessi, che alimentano una fascia di lavoro clandestino che si espande sempre di più.
È in questa situazione che il governo può annunciare trionfalmente di avere raggiunto la piena occupazione dovuta esclusivamente al fatto che si sono create le condizioni affinché ognuno sia costretto a vendere il proprio lavoro alle condizioni possibili. a meno di non abbandonare la partita, morendo di fame o decidendo di emigrare, con il risultato
che 500.000 giovani circa abbandonano ogni anno il paese alla ricerca di occasioni di lavoro migliori e più remunerative.
Su questo paese impoverito e disperato, rassegnato e prostrato, cala la scure dei provvedimenti governativi in materia di lavoro e va collocata la legge finanziaria che il governo prepara, destinata a prosciugare le risorse del paese, permettendogli di continuare a gestire la ristrutturazione di ceti e classi produttive in funzione di mantenimento e coesione della sua base sociale: massima tassazione per i lavoratori dipendenti, flat tax per gli autonomi, condoni ripetuti per gli evasori.

Un’alternativa è possibile

Perché un’alternativa sia possibile non basta criticare il governo per l’inadeguatezza della sua classe politica, ma occorre contestarne nel merito le politiche, partendo da fatti concreti. Occorre distinguersi iniziando dalla politica estera, procedendo ad una severa condanna di Israele, seguita dall’embargo su qualsiasi fornitura bellica e mettendo in atto
sanzioni economiche che sono le sole capaci di porre argine alla sua politica espansionistica. Il sionismo va combattuto come ogni nazionalismo!
Occorre ammettere che la guerra ucraina è perduta e adoperarsi per trattare la pace, proponendo di tenere fuori dall’Europa l’Ucraina, in quanto il suo ingresso inciderebbe negativamente sulla struttura stessa dell’aequis comunitario.
Recuperate risorse attraverso queste posizioni in politica estera, l’opposizione al governo potrebbe farsi carico di lavorare per il risanamento economico e sociale del paese rilanciando con le risorse così reperite una politica degli investimenti che consenta la crescita dei salari, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, il recupero di efficienza della sanità pubblica, il rilancio della scuola, presupposti questi per un possibile diverso rapporto tra ceti e classi sociali nel paese, grazie ad una politica fiscale che colpisca i grandi patrimoni, attraverso una legge patrimoniale, dedicando le risorse così reperite al risanamento idrogeologico del territorio. In un contesto siffatto la mobilitazione contro il premierato, contro l’autonomia differenziata assumerebbero un significato pregnante e possibilità di successo.
Un programma politico con questi contenuti non è fatto per essere sostenuto nelle aule per parlamentari, dove non esistono le forze per sostenerlo, ma va sostenuto nelle strade e nelle piazze, fatto proprio da un movimento di massa che al momento è assente. Questo movimento o viene promosso dai partiti di opposizione, che potranno farlo a
condizione di recuperare la loro credibilità soprattutto opponendosi decisamente alla guerra oppure dobbiamo sperare che finisca per germogliare autonomamente nella coscienza di quanti subiscono il peso del progressivo deterioramento delle loro condizioni di vita, anche se le persone per reagire hanno bisogno di poter sperare mentre la sfiducia e la paura sono cattive consigliere. Occorre che i partiti dalla sinistra ricordino che la politica non ammette vuoti e che in assenza di iniziative politiche che diano risposta alle domande poste, prima o poi i soggetti che si fanno carico di riempire tali vuoti emergono e si impongono, magari adottando metodi e strumenti autoritari, nemici di ogni forma di partecipazione e di coinvolgimento delle masse. Segnali in questo senso sembrano giungere dai possibili risultati delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

La Redazione