Prendendo in esame i ricorsi presentati da quattro consigli regionali relativi alla legge sull’autonomia differenziata la Corte costituzionale ha rilevato l’illegittimità di alcune delle sue norme cardine, trasformando di fatto il provvedimento in una disposizione legislativa inapplicabile, a meno di non procedere ad una sua radicale riscrittura e reimpostazione concettuale. Il testo della Sentenza non è stato ancora reso noto e ci riserviamo quindi un’analisi nel merito, utilizzando una maggiore tecnicalità; tuttavia in questa sede riteniamo opportuno sviluppare alcune considerazioni di carattere generale.
La pronuncia della Corte
Per attenuare la portata politica di questa pronuncia i sostenitori della legge hanno rilevato che giudicare non fondata la questione di legittimità costituzionale significa ritenere nella sostanza legittimo il provvedimento. In realtà la Corte non avrebbe
potuto fare altrimenti affermare che l’approvazione di una legge che introduce l’autonomia differenziata è conforme al dettato costituzionale, a causa della scellerata modifica del titolo quinto della Costruzione che la prevede. Ne consegue che l’affermazione della Corte mantiene i caratteri dell’ovvietà. Tuttavia è nel merito la Corte ritiene incostituzionale “la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà”. Ciò vuol dire ad esempio che non può essere oggetto di trasferimento a competenza in materia scolastica in generale, ma possono essere trasferite per decisione del Parlamento singole attività.
La Corte poi è intervenuta a proposito, ed è uno dei punti più delicati della legge, relativamente alla determinazione dei LEP a proposito dei quali ha rilevato che “Il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”. Pertanto non può essere un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei LEP che va invece deciso dal Parlamento.
Poiché “spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”, fermo restando che “La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”. Ciò a ribadire che un’eventuale introduzione dell’autonomia differenziata verrebbe ovviamente attentamente monitorata dalla Corte.
Spetterà ora alla Corte di Cassazione valutare se sussistono ancora le condizioni perché venga indetto il referendum abrogativo di tutta la legge, richiesto da più di mezzo milione di firme. Questo perché la Corte potrebbe ritenere che le mutilazioni
apportate alla legge l’hanno così modificata da snaturarne il contenuto, rendendo inefficaci i quesiti, per cui la richiesta referendaria cadrebbe su un provvedimento di fatto non più esistente. Sarebbe quindi necessario, volendo mantenere l’iniziativa
referendaria, provvedere ad una nuova raccolta di firme ,dopo che il Parlamento avrà rivisto e modificato la legge perchè”spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”. La nota conclude: “La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione qualora venissero censurate con
ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”.
La sconfitta del consiglio della premier
Al di là di ogni considerazione politica relativa alla reazione delle diverse forze politiche che hanno fatto seguito alla pronuncia ci limitiamo a rilevare che la sentenza sconfessa di fatto l’impianto della legge e commina una solenne bocciatura nei confronti di colui che, atteggiandosi a grande consigliere della premier, ha svolto le funzioni di consulente tecnico del provvedimento, il Professor Sabino Cassese. eterno aspirante alla Presidenza della Repubblica, sedicente riserva della Repubblica, che si considera l’uomo ombra del Presidente in carica e che dietro le quinte vorrebbe sorvegliarlo, disponendo di due editoriali alla settimana sui cosiddetti giornaloni, pretendendo di orientare le scelte istituzionali del paese, al punto da essere, di fatto, subentrato all’incompetente e inconsistente Casellati Alberti nella messa a punto della riforma del premierato.
Smontando l’impianto della legge sull’autonomia differenziata da lui predisposto la Consulta ha posto al centro ruolo e funzione del Parlamento, andando nella direzione esattamente opposta della sua tendenziale emarginazione, che costituisce l’oggetto della proposta di premierato ed ha quindi emesso anzitempo una valutazione sull’impostazione che il governo intende dare alla riforma istituzionale. Tuttavia, quello che più ci colpisce non è tanto il messaggio politico lanciato dai giudici della Consulta, quando piuttosto la sconfessione ignominiosa e patetica sotto il profilo della tecnicalità giuridica di un giurista camaleontico, buono per tutte le stagioni, che, distintosi per avere progettato la nefanda autonomia scolastica, si è messo indifferentemente al servizio dei governi di ogni colore, pur di mantenere solidamente nelle sue mani prebende, stipendi e potere.
Decisamente il ruolo di presidente del Clep, il Comitato di 61 esperti per l’individuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali non gli ha portato fortuna, ne gli è servito essere definito dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli, «sapiente guida» e «capitano di questa avventura».(sic!)