GUERRAFONDAI !

Le elezioni europee si avvicinano e la leadership uscente della Commissione europea mette a punto il suo programma futuro, dettando i temi della campagna elettorale. L’accentuazione della linea bellicista di Ursula von der Leyen e del suo endurance, costituisce una svolta preoccupante, ma per alcuni versi obbligata, della politica dell’Unione europea, la quale deve affrontare il cul-de-sac nel quale si è infilata e sciogliere il nodo dell’incompatibilità, tra attuazione di una politica green, creazione di una nuova economia neo-curtense e l’assenza dei capitali necessari alla realizzazione del progetto a causa delle spese militari crescenti e del riarmo richieste dalla guerra in Ucraina.
Quando nel 2019 si svolsero le ultime elezioni europee il mandato ricevuto dalla Commissione era chiaro: le risorse avrebbero dovuto essere finalizzate a combattere i mutamenti climatici per dar vita ad una nuova economia genericamente definita green ma che è più appropriato identificare con il termine neo-curtense. Invertendo la tendenza ad
una globalizzazione sempre maggiore ci si prefiggeva di perseguire un’autosufficienza relativa e il rientro di una serie di filiere produttive all’interno del territorio dell’Unione, di combattere la delocalizzazione produttiva, con abbattimento dei costi della logistica e una maggiore attenzione al mercato interno, indubbiamente uno dei più ricchi del mondo. Perché il progetto potesse andare in porto era essenziale il mantenimento delle condizioni di partenza, costituite da una disponibilità dell’energia a basso costo che avrebbe consentito la persistenza e lo sviluppo delle attività manifatturiere e assicurato la competitività delle merci prodotte in Europa rispetto a quelle provenienti dai mercati dei paesi emergenti, caratterizzati dall’uso di energia fossile, da un costo abbastanza contenuto delle materie prime e della forza lavoro a costi relativamente bassi, fattori certamente più disponibili per i paesi non europei di quanto lo fossero per l’Europa.
Se non che la pandemia prima e poi la guerra in Ucraina hanno assorbito enormi risorse e chiesto investimenti nei vaccini per contrastare la diffusione del contagio, il che ha portato anche ad una riduzione dei volumi produttivi, anche se temporanea, dovuta ai lockdown, per essere poi seguita, prima che la ripresa potesse subentrare, dallo scoppio della guerra
che ha assorbito crescenti risorse finanziarie e investimenti.
A questa nuova situazione l’Europa ha cercato di porre riparo con il ricorso al debito comune, compiendo notevoli passi avanti sul terreno dell’integrazione economica ed è così riuscita a condurre, sia pure fra molte incertezze, l’acquisto comune dei vaccini, ha rilanciato la produttività con la messa a disposizione dei capitali del PNRR, ai quali hanno attinto in misura diversa i paesi dell’Unione, mettendo in gioco per la prima volta la capacità del sistema Europa di contrarre debito comune.
Tuttavia quando sono subentrate le spese di guerra e quelle di gestione dell’enorme flusso di profughi provenienti dall’Ucraina, le spese necessarie a mantenere uno Stato fallito come quello ucraino, (per il quale oggi è l’Unione europea a pagare i costi delle pensioni, del sistema sanitario, dell’apparato amministrativo e quant’altro), per far fronte al
fabbisogno finanziario corrente, in un primo momento l’Unione ha raschiato il fondo del barile, cercando risorse nelle pieghe del bilancio comunitario, ma poi, con il perdurare della guerra e il crescere delle richieste ucraine, a fronte progressivo venir meno dell’impegno degli Stati Uniti, la Commissione ha scelto di mettere maldestramente le mani su quella che costituisce la quota maggioritaria del bilancio comunitario, e cioè sulle risorse per l’agricoltura, per drenare da questa voce di bilancio i capitali necessari a finanziare la guerra.
Quello che sta avvenendo sul campo di battaglia, con il progressivo arretramento delle truppe ucraine sul campo, dimostra che quando è stato fatto finora non basta, anche perché, in risposta alla crisi ucraina, la Russia ha progressivamente convertito la propria in economia di guerra, non trascurando un progressivo aumento della produzione anche di beni di consumo, per effetto di un fenomeno complesso costituito dall’intreccio tra effetto delle sanzioni, il venir mano di alcuni beni sul mercato interno, sopravvenute capacità del sistema produttivo interno di sopperire al fabbisogno.
Il combinato disposto di questo insieme di fattori è stato l’aumento del 4,5 % del PIL russo nel 2023, a fronte della caduta del PIL dei paesi facenti parte dell’Unione europea che hanno avuto incrementi certamente inferiori se non negativi.

Economia di guerra

Ora, la Commissione uscente, nel delineare il programma politico per la prossima legislatura, non trova di meglio che prefiggersi la riconversione dell’economia dell’Unione in economia di guerra, dichiarando che i problemi della difesa, o se si preferisce dell’offesa, sono prioritari rispetto ad ogni altro. Per farlo deve spudoratamente mentire su quando sta avvenendo in Ucraina e sull’intera vicenda costituita dall’intervento della NATO a favore di quel paese.
Se vi fosse onestà intellettuale nei politici di Bruxelles, nel delineare il loro programma, essi dovrebbero partire da un’analisi oggettiva dei fattori che hanno portato al conflitto ucraino e trarne le conseguenze. Sarebbe necessario dire a tutti i cittadini dell’Unione, poco convinti – giustamente – dal fornire un sostegno incondizionato all’Ucraina, quali sono
gli interessi e le ragioni che stanno alle origini del conflitto, mettendo in evidenza i contrastanti interessi dei diversi attori internazionali. Si dovrebbe allora cominciare dicendo che l’Unione europea è caduta nella trappola della Gran Bretagna, che, perseguendo la sua politica di divisione del continente, ha fatto di tutto perché il conflitto in Ucraina non si
ricomponesse mediante la trattativa e si è adoperata in ogni modo, a guerra scoppiata, perché il conflitto continuasse.
Ribadita che quella di Mosca all’Ucraina costituisce l’aggressione da parte di uno Stato sovrano ad un altro, sarebbe necessario aggiungere che lo scontro in corso riguarda gli interessi di un insieme di oligarchi russi che ambiscono a conseguire il controllo dell’economia ucraina e del suo territorio, in contrasto con un altro insieme di oligarchi ucraini, i cui interessi sono connessi sia alle multinazionali che si occupano di agricoltura che a quelle che privilegiano gli investimenti in materie prime, le quali ambiscono a fare altrettanto.
Questi due gruppi di interesse si stanno scontrando per il controllo del territorio ucraino e delle sue risorse, incuranti del massacro del popolo ucraino e del popolo russo. La libertà,  la democrazia, le istituzioni libere del popolo ucraino, non c’entrano nulla, prova ne sia che con la copertura della legge marziale emanata in Ucraina ogni libertà è stata cancellata: undici partiti di opposizione sono fuori legge; è scomparsa la libertà religiosa, lasciando spazio e offrendo il sostegno delle istituzioni alla persecuzione di una banda di criminali formata da preti e monaci contro altri preti e monaci, che combattono una guerra senza esclusione di colpi, nel nome di una Chiesa autocefala che ambisce di strappare ad un
gruppo di monaci e preti concorrenti il controllo di beni ecclesiastici e di edifici di culto di antico e accreditato prestigio, nonché di grande e riconosciuto valore economico. Costoro approfittano della guerra e del contrasto tra le diverse componenti economiche e sociali della società, sfruttando contrasti relativi ad interessi geostrategici, ne approfittano per
mettere a segno un regolamento di conti che ha radici in una lettura distorta della tradizione e della storia religiosa.

Gli interessi dell’Unione e dei suoi popoli

  • A fronte di questa situazione così complessa viene da chiedersi quale interesse vi sia per i popoli che fanno parte dell’unione europea di lasciarsi coinvolgere in questa operazione di macelleria che vede come vittima due popoli e scontrarsi due oligarchi: Putin che ambisce ad essere il nuovo zar e il grande elemosiniere, e Zelensky, un oligarca ucraino, solo apparentemente espressione di un regime democratico, ma in realtà un epigono dell’inquilino del Cremlino.
    Esaminando in modo oggettivo e a prescindere da pregiudizi ideologici la situazione sul campo l’Unione europea dovrebbe riconoscere che non è negli interessi economici e politici dei cittadini degli Stati dell’unione l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue per una molteplicità di ragioni che andremo ad elencare.
    L’ingresso del paese nell’Unione comporterebbe uno sconvolgimento della politica agricola comune, convogliando verso il territorio ucraino la gran parte delle risorse finanziarie e creando fenomeni di sleale concorrenza verso le produzioni comunitarie poiché esse si troverebbero a confrontarsi con la vendita di prodotti ucraini sul mercato interno europeo, coltivati senza il rispetto delle norme comunitarie e con costi certamente minori e concorrenziali a quelli degli agricoltori europei i quali hanno assaltato e disperso merci e derrate agricole ucraine indebitamente vendute sul mercato europeo interno sfruttando l’apertura dei cosiddetti corridoi di solidarietà, assaltandole e disperdendole.
  • Lo sfruttamento delle risorse minerarie ed industriali ucraine si presenta problematico, a causa dell’inquinamento del suolo dovuto alla guerra, della presenza di sterminati cambi minati che impediscono l’agibilità del suolo, la distruzione dell’apparato industriale ed estrattivo, l’uso di proiettili di uranio impoverito che hanno inquinato falde acquifere e territorio, non ultima, la problematicità di accesso a questi territori a causa della presenza militare russa. Un pieno sfruttamento di queste risorse richiederebbe il ritiro totale, incondizionato, dal territorio ucraino della Russia, l’obiettivo che non sembra né ragionevole né perseguibile nei fatti.
  • La guerra ha desertificato il territorio ucraino, riducendo la sua popolazione ben al di là degli effetti di quella che era una crisi demografica già molto grave, per cui la ricostruzione del territorio ucraino appare quando mai difficile, mentre non appare pensabile che le popolazioni che hanno imboccato la strada della diaspora siano disponibili ad un ritorno sui territori che hanno abbandonato e che si presentano oggi dissestati ed invivibili a causa della guerra.

Un rimedio peggiore del male

Per sopperire almeno in parte ai problemi che abbiamo ricordato e procacciarsi i capitali necessari si fa strada tra gli appartenenti alla leadership della Commissione uscente la proposta di attingere ai capitali e beni sequestrati, appartenenti al governo russo o ad oligarchi che fanno capo alla cerchia del dittatore Putin.. Alla Banca centrale russa sono stati congelati 400 miliardi in riserve valutarie all’estero e, nella sola Ue, i patrimoni sequestrati agli oligarchi amici del Cremlino ammontano a 228 miliardi di dollari. Si applicherebbe in sostanza al governo russo quell’insieme di norme che consente il sequestro di capitali mafiosi o del narcotraffico, per dedicarli ad uso civile o armi; è questa la conseguenza più immediata del considerare quello russo alla stregua di uno Stato criminale.
Questa scelta, a nostro avviso, avrebbe un’indubbia efficace mediatica, ma conseguenze a dir poco disastrose sotto il profilo dei rapporti con i mercati globali, poiché ciò significherebbe negare qualsiasi tutela e garanzia ai depositi di capitali in banche diverse da quelle direttamente controllate dal proprio paese, significherebbe porre un limite serio e
invalicabile alla circolazione di capitali con le conseguenze immaginabili per l’economia a tutto vantaggio dei BRICS.
Più realisticamente c’è invece da attendersi una politica di riarmo e di rilancio dell’attività dell’industria bellica, con la conseguenza che una volta che la riconversione verso la produzione bellica di un’economia è avviata è estremamente difficile tornare indietro; non solo, ma una volta che le armi vengono prodotte il mercato che le richiede si satura, se non si provvede contemporaneamente a smaltirle ed utilizzarle attraverso ulteriori conflitti. Ciò vuol dire che le occasioni. le possibilità di guerre, prolifereranno a dismisura, che le risorse disponibili verranno indirizzate verso il mercato delle armi e sottratte agli impieghi che riguardano sanità, istruzione, welfare, fame nel mondo, iniziative di pace, benessere civile e sociale, per aumentare le occasioni di morte, di violenza. di sopraffazione, di diseguaglianza.

La Redazione