IL RIARMO

Venti di guerra soffiano sempre più impetuosi in Europa, mentre gli Stati del continente decidono di convertire le loro capacità produttive in economia di guerra. Fa da apripista la decisione della Commissione europea la quale annunzia che stanzierà 1,5 miliardi di euro per il mercato comune di armamenti. È quanto previsto da Asap ed Edip, i due programmi lanciati solo l’anno scorso per aumentare la produzione bellica, nei fatti già superati.
Infatti, si lavora per creare le condizioni affinché entro il 2030, almeno il 40% delle attrezzature per la difesa sia acquistato in modo “collaborativo ”; per assicurare che almeno il 35% del mercato Ue della difesa sia rappresentato da scambi intra-Ue; per fare “costanti progressi” verso l’acquisto di almeno il 50% del materiale in Europa, raggiungendo il 60% entro il 2035.
È stato perciò approvato l’Edip (European Defence Industry Programme) che dovrebbe fornire, secondo la Commissione, il quadro giuridico, trasformando le misure di emergenza a breve termine, adottate nel 2023 e valide fino al 2025, in un approccio strutturale: esso copre aspetti sia finanziari sia normativi; mobiliterà 1,5 miliardi di € del bilancio dell’UE nel periodo 2025-2027 per continuare a rafforzare la competitività della produzione bellica europea. La nuova struttura che dovrà supportare il programma di armamento europeo (Seap), volto a facilitare e aumentare la cooperazione tra gli Stati membri nella produzione per la difesa, stimolare la programmazione e gli appalti congiunti, attraverso la creazione di un Comitato di preparazione allo sviluppo dell’industria della difesa dei 27, insieme all’Alto rappresentante e alla Commissione.
A tal fine verrà creato un fondo finalizzato ad agevolare l’accesso ai finanziamenti mediante strumenti di debito e/o di capitale di rischio per le PMI e le piccole imprese a media capitalizzazione che industrializzano tecnologie di difesa e/o fabbricano prodotti per la difesa, (leggi industria delle armi), promuovere la cooperazione tra gli Stati membri nella
fase di appalto e il sostegno finanziario alle industrie della difesa, al fine di aumentarne la capacità di produzione e per incoraggiare ulteriormente gli investimenti.
La spesa aggraverà ovviamente sul bilancio comunitario, ma siccome mancano risorse non si esclude di utilizzare almeno in parte i depositi russi nelle banche dei paesi occidentali e questo dopo aver affermato di volerli utilizzare per fornire all’Ucraina il sostegno finanziario necessario, per il quale mancano le risorse occorrenti. Evidentemente l’unione europea ha ben appreso la tecnica mussoliniana e fascista di spostare i carri armati del Duce in occasione della sua visita, per mostrare di essere forte!
L’obiettivo di queste scelte è quello di potenziare la base industriale e tecnologica di difesa europea (EDTIB), per sfruttare appieno il suo potenziale mediante:

  • una maggiore efficienza nell’espressione della domanda di difesa collettiva degli Stati membri utilizzando strumenti e iniziative esistenti, quali il piano di sviluppo delle capacità (CDP), la revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD) e la cooperazione strutturata permanente (PESCO) e sarà sostenuto incentivando la cooperazione degli Stati membri nella fase degli appalti di capacità di difesa;
  • la disponibilità di tutti i prodotti per la difesa attraverso un’EDTIB più reattiva, in qualsiasi circostanza e orizzonte temporale. Ciò vuol dire che saranno sostenuti gli investimenti degli Stati membri e dell’industria europea della difesa, nello sviluppo e nell’immissione sul mercato di tecnologie e capacità di difesa all’avanguardia e adottate misure volte a garantire che l’EDTIB disponga delle risorse necessarie anche nei periodi di crisi, aumentando in tal modo la sicurezza dell’approvvigionamento dell’UE;
  • facendo in modo che i bilanci nazionali e dell’UE sostengano con i mezzi necessari l’adeguamento dell’industria europea della difesa al nuovo contesto di sicurezza ottenuto portando al 2% del PIL lo stanziamento per la difesa (guerra) di ogni Stato;
  • integrando una cultura della prontezza alla difesa in tutte le politiche, (ovvero abituando i popoli europei alla necessità della guerra) in particolare chiedendo una revisione nell’anno in corso della politica della Banca europea per gli investimenti in materia di prestiti;

Manifestando un totale disprezzo per la democrazia, per le scelte dei cittadini, per la pace l’unione europea ha deciso senza un voto esplicito dei parlamenti nazionali di lasciarsi inestricabilmente coinvolgere nella guerra in Ucraina assumendo due ulteriori decisioni finali ovvero quella di sviluppare legami più stretti con l’Ucraina attraverso la sua partecipazione alle iniziative dell’Unione a sostegno dell’industria della difesa e stimolando la cooperazione tra le industrie della difesa ucraine e dell’UE; collaborando con la NATO e i partner strategici internazionali che condividono gli stessi principi e rafforzando la cooperazione con l’Ucraina.
Le industrie del settore sentitamente ringraziano e si preparano ad astronomici profitti, mentre i popoli europei si preparano a morire.

L’Italia e l’Europa alle armi

Nel 2020 la spesa per la difesa dei Paesi europei aderenti all’Agenzia è stata di circa 200 miliardi di euro, pari all’1,5% del Prodotto interno lordo e al 2,8% della spesa pubblica degli Stati membri. Nel 2020 la spesa per la difesa ha continuato ad aumentare per il sesto anno consecutivo e, rispetto al 2019 (+ 5 per cento), è lo stesso dell’anno precedente
e rappresenta l’aumento più rilevante dal 2015.
A differenza dalle spese militari il PIL degli Stati membri è diminuito del 6% nel 2020. Il Rapporto EDA rileva che l’aumento della percentuale delle spese per la difesa sul PIL (che passa, come si è detto, dall’1,4% del 2019 all’1,5% del 2020) è parzialmente dovuto all’indebolimento dell’economia: circa il 22 per cento delle spese per la difesa del 2020 (ovvero 44 miliardi su 198) è relativo a spese per investimenti che sono, aumentati del 5 per cento rispetto al 2019 e, rispetto al 2014 – anno in cui gli investimenti nella difesa hanno raggiunto il livello più basso – nel 2020 si è registrato un aumento del 70%. Nel 2019, inoltre, per la prima volta dal 2010, il complesso degli Stati membri ha superato il parametro del 20 per cento di spesa per investimenti sul totale della spesa per la difesa, il che dimostra la crescita costante della spesa di settore.
Nell’ambito della cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa (PESCO) gli Stati partecipanti hanno concordato di assumere una serie di impegni vincolanti, tra cui l’aumento delle risorse per i bilanci per la difesa, al fine di conseguire – come si è detto – l’obiettivo di un aumento a medio termine della spesa al 2% sul Pil (come concordato anche in ambito Nato), con una quota del 20% per investimenti nel settore della difesa, mentre quello della Cina e degli USA, si attesta intorno al 30%,
Per quanto concerne l’Italia, nel 2020 la percentuale di spese di investimento delle spese per la difesa raggiunge il 24,6%, a fronte del 22,2 per cento a livello europeo. Secondo i dati raccolti dall’EDA la spesa per approvvigionamenti militari rappresenta la quasi totalità della spesa per investimenti mentre la spesa per le attività di Ricerca e Sviluppo nel
settore della difesa è pari all’1,1% della spesa per investimenti: gli investimenti per la difesa comprendono le spese per l’acquisto di attrezzature per la difesa e le relative spese di ricerca e sviluppo e non comprendono quelle di funzionamento e manutenzione (pezzi di ricambio e forniture, costi relativi alla manutenzione dei servizi di pubblica utilità e delle
infrastrutture).
Sia l’approvvigionamento militare europeo, sia le attività di ricerca e sviluppo nel settore della difesa hanno risentito in modo significativo delle misure di revisione della spesa pubblica adottate successivamente alla crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, la spesa per la difesa è diminuita per un periodo di tempo maggiore rispetto a quella per gli approvvigionamenti militari, raggiungendo il livello più basso nel 2016. Dal 2017, ha avuto una ripresa, raggiungendo nel 2019 un livello simile al 2007 e superandolo nel 2020 quando quella per nuovi approvvigionamenti militari è aumentata del 4% rispetto al 2019, raggiungendo i 36 miliardi di euro. Per quanto riguarda l’acquisizione di attrezzature, in modo collaborativo, nonostante l’obiettivo del 35% della spesa per attrezzature militari da conseguire in collaborazione con altri Stati dell’UE, gli Stati membri continuano a rifornirsi prevalentemente su base nazionale. Nel 2020 gli Stati membri hanno speso 4,1 miliardi di euro in acquisti per approvvigionamenti militari con una diminuzione del 13% rispetto al
2019.
Gli Stati membri hanno acquistato solo l’11% della spesa per approvvigionamenti della difesa in ambito europeo.
Questo risultato è dovuto in parte all’incremento della spesa per approvvigionamenti della difesa, che non è stato seguito da una crescita analoga negli acquisti collaborativi in ambito europeo.
Proprio nell’intento di spingere verso una maggiore cooperazione il Consiglio affari esteri dell’UE ha adottato l ’11 dicembre 2017 – sulla base della proposta presentata da Francia, Germania, Italia e Spagna – la decisione (PESC) 2017/2315 con la quale si istituisce una cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa ( PESCO) e il 14 dicembre 2020 il Consiglio dell’UE ha raggiunto un accordo politico in merito alla proposta di regolamento istituendo il Fondo europeo per la difesa, nel contesto del quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027 è dotato di risorse complessive, per circa 7,9 miliardi di euro, divisi tra finanziamenti alla ricerca (2,6 milioni) e allo sviluppo (5,3 milioni) con l’obiettivo di rafforzare l’industria europea d i settore, favorire le economie di scala e la standardizzazione dei sistemi di difesa, in modo da rendere più efficiente la spesa degli Stati membri, e favorire una maggiore interoperabilità tra le diverse forze armate nazionali. Il Fondo copre tutto il ciclo produttivo dell’industria della difesa: ricerca, progettazione, sviluppo dei prodotti ma anche catene di approvvigionamento e collaudi.
I progetti sono finanziabili solo se coinvolgono, in un consorzio, almeno tre soggetti giuridici diversi (non controllati tra loro) di tre diversi Stati membri poiché il loro obiettivo è migliorare la cooperazione in ambito UE Incentivi particolari sono previsti per la ricerca sulle cosiddette “tecnologie di rottura”, per i progetti approvati nell’ambito della Cooperazione strutturata permanente e per quelli che coinvolgono piccole e medie imprese. Nel giugno del 2021, con la pubblicazione dei primi 23 bandi, di cui 11 nel settore della ricerca, e 12 nel settore dello sviluppo, in 15 categorie, che comprendono la difesa chimica e batteriologica, la superiorità informativa, la sensoristica, il cyber, lo spazio, la
trasformazione digitale, la resilienza energetica in ambito militare, la componentistica, il combattimento aereo, la difesa aerea e missilistica, il combattimento terrestre, il combattimento navale e le tecnologie di rottura. L’ammontare complessivo dei fondi per questa prima tornata di investimenti è di 1,2 miliardi di euro. Infine il 21 marzo 2022 il
Consiglio UE ha approvato la Bussola strategica, con lo scopo di definire obiettivi concreti per rafforzare la sicurezza dell’Unione e delineare le sue prospettive strategiche per i prossimi 5-10 anni.

Verso il superamento dell’esercito professionale

I dati che abbiamo riportato con dovizia di particolari dimostrano che le marcia verso il riarmo viene da lontano, è stata attentamente preparata a livello normativo ed economico, registrando un crescendo di investimenti. Ciò che i paesi dell’Ue. ancora non dicono è che queste scelte preludono a un mutamento di paradigma imposto dalla guerra in Ucraina,
relativo alla struttura e composizione degli eserciti.
La guerra del Vietnam e i danni collaterali e sociali indotti dal suo racconto attraverso i media hanno dimostrato l’impossibilità di gestire la guerra attraverso la mobilitazione dei cittadini e la coscrizione obbligatoria. Così all’esercito di massa si sono sostituiti gli eserciti professionali, composti da un numero limitato di addetti, altamente specializzati,
magari affiancati da milizie private di contractors reclutati all’uopo e in occasione delle necessità di impiego. Questi corpi militari hanno condotto le guerre degli ultimi trent’anni con poco successo, dimostrando che nel lungo periodo non erano capaci di condurre a buon fine l’intervento, a meno di non disporre gli eserciti sul campo formati da soldati motivati al combattimento per una causa da essi condivisa. Non è un caso che Daesh sia stato sconfitto soprattutto grazie alla presenza sul campo dei curdi, piuttosto che dei corpi speciali inviati sul campo dalle diverse potenze.
Si narra che allo scoppio della guerra d’Ucraina un numero consistente di contractors sia fluito nel paese per prestare la propria opera a fianco dell’esercito ucraino, confidando che gli alleati avrebbero fornito le risorse economiche sufficienti a retribuirli, ma appena la guerra si è trasformata in uno scontro di posizione con la creazione di un fronte molti
di costoro hanno capito che non era il caso di insistere ed hanno abbandonato il campo, incapaci di reggere i sacrifici e l’impegno che richiedono la guerra di trincea e di posizione.
Ciò ha riaperto in tutti i paesi occidentali il dibattito tra mantenere eserciti professionali, piccoli e super specializzati, oppure ritornare alla coscrizione obbligatoria per formare eserciti di massa capaci di sopportare grandi perdite. Le società dei paesi occidentali non sono preparate a gestire la scelta di ricorrere a un rafforzamento delle capacità di difesa mediante riservisti, perché ciò potrebbe avere effetti devastanti, sia a livello di percezione pubblica che di realizzazione pratica delle politiche di difesa.
Non solo, ma la guerra in Ucraina ha evidenziato l’importanza della flessibilità strategica, della resilienza, della capacità di adattamento e dell’uso delle nuove tecnologie, nonché la necessità di un esercito numeroso, in grado di rimpiazzare le perdite. L’enorme impiego di materiali, equipaggiamenti e munizioni, di armi sempre più avanzate comporta comunque un impressionante sacrificio di perdite umane, il che richiede la capacità di mobilitare rapidamente grandi numeri di soldati da impiegare per un tempo prolungato sul campo. Si dirà che l’uso di droni, la guerra elettronica e altre tecnologie avanzate hanno evidenziato il ruolo cruciale della tecnologia hanno mostrato che questo non basta a compensare l’entità numerica delle truppe da schierare sul campo di battaglia.
D’altra parte proprio la necessità di specializzazione dei combattenti nell’utilizzo dell’armamento sempre più tecnologico e specialistico, la necessità di addestramento dei militari sul campo rende irragionevole pensare di addestrare un esercito di massa all’impiego di armi con tecnologie così avanzate. È questo il motivo per il quale molti paesi
occidentali stanno pensando a nuovi modelli di difesa che integrino eserciti professionali con la disponibilità di militari riservisti, ai quali ricorrere in caso di conflitto. Per realizzare una tale struttura occorrerebbe un approccio innovativo alla formazione dei futuri combattenti, addestrandoli per tempo all’uso di nuove tecnologie, della realtà virtuale aumentata, con un addestramento basato su l’insegnamento affidato all’intelligenza artificiale, nella consapevolezza che una guerra moderna richiede una competenza che non è più prevalentemente fisica e tattica, ma fatta di capacità mentale, decisionale diffusa e una profonda motivazione nell’agire, come, ad esempio, avviene per l’esercito di Israele.
In altre parole la soluzione potrebbe risiedere in una combinazione di forze professionali specializzate e la capacità di mobilizzare rapidamente eserciti di massa, sostenuta da investimenti significativi in tecnologie avanzate e nella preparazione alla guerra elettronica e asimmetrica.

La soluzione Crosetto

Per risolvere il problema il ministro Crosetto propone un modello di difesa che prevede l’integrazione di riservisti come approccio flessibile Ad un conflitto nel quale paese dovesse essere coinvolto proponendo di disporre di una forza di riserva addestrata e pronta all’impiego, capace di integrarsi rapidamente con le forze armate regolari in caso di necessità, nella convinzione che i conflitti moderni richiedono non solo tecnologie avanzate e forze specializzate, ma anche la capacità di mobilitare rapidamente un numero crescente di truppe. Questa scelta consentirebbe di disporre di un’ampia base di personale militare addestrato, che possa essere rapidamente mobilitato in caso di crisi, senza dipendere esclusivamente dalle forze armate professionali.
Consapevole che la sua proposta richiede comprensione e condivisione da parte della società civile e al tempo stesso che vi è la necessità di fornire a questo personale una preparazione militare adeguata, il ministro si ripropone di lavorare ad una trasformazione del rapporto fra cittadini e forze armate che ha profonde implicazioni per il tessuto sociale
e perciò punta a rafforzare l’identità nazionale e la percezione della sicurezza “educando” e coinvolgendo la popolazione sulle necessità di difesa e le responsabilità civili in rapporto alla sicurezza nazionale. Questo obiettivo va perseguito attraverso campagne di informazione pubblica, dibattiti parlamentari, iniziative di coinvolgimento che mirano a costruire un consenso sull’importanza di un sistema di difesa, a fronte di un’aggressione potenziale in atto contro la quale occorre difendersi in nome delle libertà democratiche, la difesa dei valori della civiltà occidentale.
Naturalmente per realizzare il progetto è necessario sviluppare un quadro normativo che regoli efficacemente il servizio della riserva, assicurando che sia equo, volontario e basato su principi giusti e condivisi, occorre dotarlo di risorse economiche, dirottando verso questa voce di spesa le magre risorse disponibili.

La nostra risposta

È necessario prendere atto di questi progetti, capire che la loro attuazione è di vitale importanza in questa fase politica per un governo neofascista e guerrafondaio che vede nella guerra uno degli strumenti di soluzione dei conflitti, contraddicendo palesemente il dettato costituzionale. Occorre perciò mobilitarsi nell’opinione pubblica, fra i giovani,
discutendo con tutti gli strati della società, per contrastare questo progetto criminale che avrebbe come primo effetto di drenare le risorse disponibili finalizzandole alla mobilitazione bellica e sottraendole ai bisogni sociali e alle necessità della popolazione e come seconda immediata conseguenza quella di portare il paese alla guerra, seminando lutti e distruzione. La ricerca della pace, l’antimilitarismo, il pacifismo, il rifiuto della guerra ritornano di stridente e urgente attualità.

Dedicato a Tommaso Aversa, Antimilitarista

La Redazione