Il 5 aprile altre tre vittime della crisi economica e sociale si sono aggiunte al lungo elenco di morti che si verificano ovunque nel paese. A non fare passare inosservato l’evento non è stato solo il numero delle vittime ma le modalità con le quali esse hanno scelto la morte.
Il fatto è avvenuto in un distretto una volta ricco, dove il lavoro non mancava, ma dove da tempo le strutture di solidarietà e difesa sociale sono in crisi. Perciò la morte di queste persone è una sconfitta soprattutto per quelli come noi che cercano di svolgere un’azione da militanti della lotta di classe, ma non riescono a offrire un’alternativa concreta, una speranza di riscatto a chi ha bisogno, a garantire livelli di organizzazione collettiva di opposizione al capitale, a sviluppare un tessuto organizzativo adeguato delle condizioni di vita di chi ha bisogno.
La drammaticità delle condizioni di povertà e di miseria è destinata a crescere ancora se non viene fermata riappropriandoci di spazi di gestione della nostra vita e rivendicando interventi rapidi di solidarietà sociale.
Stiamo accettando supinamente la reintroduzione non solo della prigione per debiti ma
addirittura la punizione della povertà con la pena di morte.
Dobbiamo mobilitarci.
a) Il divieto per banche e speculatori di impossessarsi della casa di abitazione va imposto per legge.
b) Un salario minimo è necessario per tutti.
c) L’accesso a usufruire dei pasti deve essere assicurato dai poteri pubblici e non da attività caritatevoli, anche ricorrendo alle strutture mobili delle protezione civile: siamo di fronte a un’emergenza, a un disastro sociale.
La nostra è una proposta minima di emergenza sociale; dobbiamo impegnarci ovunque,
utilizzando ogni spazio possibile.
L’Unione dei Comunisti Anarchici d’Italia