SULLA MANCATA INTRODUZIONE DEL REATO DI TORTURA

Punti deboli e spunti di modifica dell’Art. 613-Bis c.p. (Proposta di Legge C.2168).

L’assenza di una norma volta a reprimere penalmente quegli atti integranti torture ai sensi del diritto internazionale ha costituto oggetto di numerosi richiami indirizzati al Governo italiano da parte degli organi sopranazionali preposti a supervisionare il rispetto del diritto a non subire torture ed altri trattamenti degradanti, quali la Commissione ONU Contro la Tortura e la Corte Europea dei Diritti Umani.
Quest’ultima, chiamata a decidere il caso Cestaro nell’aprile del 2015 (1) , in relazione ai fatti che ebbero luogo nella Scuola Diaz-Pertini durante il G8 di Genova, ha condannato l’immobilismo legislativo dello Stato italiano ribadendo, una volta per tutte, la necessità di introdurre nel nostro sistema penale una apposita fattispecie delittuosa rubricata sotto il nome di tortura.
A seguito della condanna, la Camera dei Deputati ha difatti approvato con modificazioni la proposta di legge C. 2168, già approvata dal Senato, introducendo nel titolo XII (Delitti contro la persona), sez. III (Delitti contro la libertà morale), del codice penale i reati di tortura (Art. 613-bis) e di istigazione alla tortura (Art. 613-ter).
Nello specifico, l’Art. 613-bis c.p. 1° comma punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce, ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua cura, autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche, a causa dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o
delle opinioni politiche o religiose o al fine di ottenere da essa, o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza. Il secondo comma dell’Art 613-bis c.p. introduce poi una specifica circostanza aggravante soggettiva stabilendo che la pena è aumentata se le condotte di cui al primo comma sono poste in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio.
La tortura è dunque configurata come un reato comune (e non come un reato proprio del pubblico ufficiale), caratterizzato dal dolo specifico (intenzionalmente cagiona, al fine di) e dalla descrizione delle modalità della condotta (violenze o minacce o in violazione degli obblighi di protezione, cura o assistenza) che produce un evento (acute sofferenze fisiche o psichiche).
La proposta di legge, che è al momento al vaglio del Senato per la sua seconda lettura, non è stata esente da critiche a causa della sua attuale formulazione semantica e normativa che mal si concilia con gli standards definitori e legali internazionali nonché con le indicazioni in materia fornite dalla Corte di Strasburgo nel caso Cestaro.
Le critiche riguardano anzitutto l’enunciato adottato per l’individuazione del soggetto attivo del reato, ossia il torturatore, nonché la scelta normativa di scelta normativa di specificare e circoscrivere il novero dei potenziali soggetti passivi, ossia i torturati. Quanto all’individuazione del soggetto attivo, vi è molto scetticismo circa la scelta di qualificare la tortura commessa dai pubblici ufficiali come mera circostanza aggravante
soggettiva piuttosto che come apposita ed assestante fattispecie delittuosa.
La scelta di configurare il delitto di tortura come reato comune anziché come reato proprio è stato un dilemma giuridicamente amletico per il legislatore, il quale ha optato per una soluzione di compromesso che si colloca a metà strada tra il reato proprio ed il reato comune. Sebbene da un punto di vista prettamente formale il reato risulta essere di matrice comune, in quanto può essere commesso da “chiunque”, l’Art. 613-bis richiede che la vittima sia una persona sottoposta a cura, autorità, vigilanza o custodia del reo(2). Dunque, il potenziale torturato sarà un individuo sottoposto a tutela o vigilanza del torturatore per via, ad esempio, della presenza di un provvedimento privativo della libertà personale emesso dall’autorità giudiziaria.(3).Guardando quindi ai
connotati normativi del soggetto passivo, l’Art. 613-bis circoscrive l’ambito dei potenziali torturatori a una serie predefinita di soggetti che, si badi bene, non sono esclusivamente pubblici ufficiali ma anche cittadini comuni chiamati ad adempiere ad obblighi di protezione, cura o assistenza nei confronti di terzi.
La scelta di qualificare il delitto di tortura come reato comune risulta però poco in sintonia con la Convenzione ONU Contro la Tortura ed altri Trattamenti e Pene Crudeli, Inumani e Degradanti (CAT), che all’Art. 1 definisce la tortura come quei dolori e sofferenze «inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito». La CAT, che nell’imporre agli Stati firmatari l’obbligo di criminalizzare la tortura li invita a reprimere anche le torture commesse da comuni cittadini, ci suggerisce tuttavia che il delitto di tortura è per antonomasia e definizione convenzionale un reato proprio (4). Sul punto, è doveroso sottolineare come la CAT, in quanto legge internazionale in materia di diritti umani, tenda ad enfatizzare una visione “Stato-centrica” dei diritti in base alla quale lo Stato è principale protettore e, per logica inversa, potenziale violatore dei diritti medesimi(5). Ragion per cui, la CAT richiede agli Stati firmatari di prevedere un trattamento sanzionatorio differenziato, punendo con maggiore entità le torture
commesse da pubblici ufficiali.
A difesa della scelta normativa di qualificare la tortura come semplice reato comune, si potrebbe comunque osservare come il nostro legislatore ha contemplato, attraverso una apposita circostanza aggravante (Art 613-bis, 2° comma c.p.) un aumento di pena qualora la tortura sia commessa da un pubblico ufficiale, prevedendo da 5 a 12 anni di reclusione contro i 4 e gli 8 anni previsti qualora il reato sia compiuto da un cittadino comune. Tuttavia, sia il trattamento sanzionatorio previsto dall’Art. 613-bis che la scelta di sanzionare la tortura perpetrata dal pubblico ufficiale attraverso la mera previsione di circostanza aggravante soggettiva non risultano immuni da censure.
Avendo riguardo dell’entità delle pene, quelle previste dal legislatore italiano risultano essere molto basse se messe a confronto con pene edittali previste negli altri paesi europei per il medesimo reato. Nel sistema penale francese, per esempio, la tortura è punita con la reclusione da 15 a 30 anni mentre in Regno Unito il medesimo delitto è punito con la detenzione a vita (6). Quanto alla scelta di configurare la tortura perpetrata da pubblici ufficiali come mera circostanza aggravante si corre il rischio che, in un ipotetico giudizio di equivalenza ex Art. 69 c.p., le circostanze attenuanti potrebbero prevalere su quelle aggravanti generando degli scenari paradossali dove la tortura commessa dal pubblico ufficiale verrebbe punita con minore severità rispetto
alla tortura commesso da un cittadino qualunque (7).
Dunque, per ovviare il verificarsi tale scenari, il legislatore potrebbe: a) trasformare il secondo comma dell’Art 613-bis in una fattispecie autonoma; b) escludere la possibilità di sottoporre detta aggravante a giudizio di bilanciamento; c) introdurre un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti ammettendo solo il giudizio di equivalenza (8). Ulteriori perplessità sullo stato attuale dell’Art 613-bis sono state sollevate rispetto alla
formulazione adottata per circoscrive l’ambito dei soggetti passivi alle sole persone affidate all’agente, o comunque sottoposte alla sua autorità, vigilanza o custodia, escludendo di conseguenza la possibilità di riconoscere la sussistenza del delitto nelle ipotesi di gravi violenze compiute dalle forze di polizia nell’ambito di operazioni di ordine pubblico prima che le vittime medesime siano tratte in arresto (9). La norma, così
formulata, risulterebbe inapplicabile proprio a casi come quello della scuola Diaz che la Corte di Strasburgo ha inquadrato entro la nozione di tortura (10). E’ dunque necessaria una riformulazione dei requisiti identificativi dei soggetti passivi in modo da farli risultare congruenti con giurisprudenza della Corte europea (11).
Altro punto debole della legge risulta essere la descrizione della condotta di reato che, ai sensi dell’Art 613-bis, si sostanzia attraverso l’inflizione di “violenze o minacce” sulla vittima. La scelta semantica del nostro legislatore di utilizzare il plurale implicherebbe che, ai fini della configurazione del reato, le minacce o le violenze devono essere plurime o reiterate.
Ne consegue, dunque, che una sola violenza o minaccia non sarebbe tale da configurare il delitto di tortura. Tuttavia, come sottolinea Cassese, la tortura è considerata punibile, dalle norme di diritto internazionale, anche quando essa costituisce un episodio singolo o sporadico (12) e, contrariamente a quanto sostenuto dal nostro legislatore, una sola minaccia o una sola violenza possono essere tali da ammontare a tortura quando esse generano dolori e sofferenze acute. Inoltre, è doveroso precisare come la tortura spesso viene eseguita senza ricorrere necessariamente all’impiego di violenze o minacce poiché gli atti idonei ad integrare tortura, nonché le modalità attraverso cui la tortura viene eseguita, possono essere delle più svariata specie: condurre interrogatori prolungati negando il sonno o il riposo alla vittima, organizzare show trials consistenti nella umiliazione pubblica delle vittime o, ancora, detenere le vittime in celle di isolamento per periodi di tempo indeterminati. In tale ambito, va altresì rammentato che la tortura può persino essere perpetrata attraverso semplici condotte omissive quali, ad esempio, la privazione di cibo o acqua (13). Non è difatti casuale che l’Art. 1 della CAT definisce la tortura come “qualsiasi atto” (non circoscritto, dunque, alle sole violenze o minacce) attraverso cui sono inflitti alla vittima dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche (14).
Alla luce di ciò, viene sconsigliato al legislatore di descrive in modo specifico la condotta aggressiva del torturatore optando, invece, per una formulazione di reato a forma aperta che risulta più in armonia con le norme internazionali (15).
Infine, la Proposta di Legge C. 2168 sembra prestare poca attenzione a quanto deciso dalla Corte di Strasburgo nel caso Cestaro in materia di prescrizione, amnistia e grazia. Secondo la Corte europea, l’azione penale non dovrebbe estinguersi per effetto della prescrizione, così come l’amnistia e la grazia non dovrebbero essere tollerate in relazione al delitto di tortura ma, nonostante ciò, la legge in discussione al Senato non sembra escludere l’applicabilità dell’amnistia e della grazia in tale ambito (16).
Problematica è anche la scelta del nostro legislatore di prolungare i termini di prescrizione del reato di tortura atteso che, ex Art. 29 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, il reato di tortura è imprescrittibile in quanto crimine contro l’umanità. Per tali motivi, il legislatore italiano dovrebbe anzitutto prevedere, in maniera esplicita, la non soggettività del delitto di tortura a provvedimenti di clemenza quali l’amnistia o grazia ed, in maniera contestuale, potrebbe innalzare il trattamento sanzionatorio previsto per il reato di tortura all’ergastolo, in via principale o come effetto dell’applicazione di aggravanti, in modo da ovviare l’applicazione della prescrizione ai sensi dell’ Art. 157 c. p. ultimo comma.
La Proposta di Legge C. 2168 presenta numerose criticità che, se non vengono affrontate con serietà dal Senato chiamato ora a svolgere una seconda lettura sul testo, potrebbero portare all’introduzione di un delitto di tortura poco in sintonia con le disposizioni di diritto internazione e con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Per un notevole miglioramento del testo normativo, che soddisfi le aspettative degli osservatori internazionali e renda omaggio al norme del diritto internazionale pattizio e alla nostra Costituzione, sono stati identificati alcuni spunti di riforma:
· Trasformare l’Art. 613-bis secondo comma in una fattispecie autonoma di reato o, alternativamente, escludere la possibilità di sottoporre detta aggravante a giudizio di bilanciamento o, ancora, introdurre un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti ammettendo solo il giudizio di equivalenza(17).
· prevalenza delle circostanze attenuanti ammettendo solo il giudizio di equivalenza(18).
· Rinunciare ad ogni criterio identificato dei potenziali soggetti passivi del reato (19).
· Optare per una formulazione di reato aperta.
· Prevedere, in maniera esplicita, la non soggettività del delitto di tortura a provvedimenti di clemenza quali l’amnistia o grazia (20)].
· Innalzare il trattamento sanzionatorio all’ergastolo, in via principale o come effetto dell’applicazione di aggravanti, ovviando l’applicazione della prescrizione.
L’auspicio è che la discussione parlamentare sia celere e contraddistinta da un alto senso di responsabilità politica, evitando il ricorso alla dialettica delle contrapposizioni ideologiche che lasciano poco spazio alla mediazione parlamentare e normativa. L’ulteriore augurio è che la Proposta di Legge C. 2168 non si arresti al Senato perdendo così l’ennesima occasione di poter introdurre il delitto di tortura nel nostro diritto penale. Il nostro ordinamento giuridico non può più permettersi un tale vuoto normativo perché i tragici fatti del G8 di Genova hanno mostrato come la tortura ha del contemporaneo e che i torturatori non hanno, sempre e solo, i tratti fisionomici dell’oscuro tiranno subsahariano o del misterioso agente segreto d’oltreoceano. In tal
senso, l’introduzione del reato di tortura intimorisce gli uomini di Stato perché, la storia ci insegna, che lo Stato può facilmente macchiarsi di tale crimine. Tuttavia, con un po’ di coraggio e lucidità, il legislatore ed una parte dell’opinione pubblica dovrebbero prendere coscienza che attraverso l’inserimento del delitto di tortura nel nostro codice penale non si intende considerare gli uomini di Stato come dei potenziali criminali a priori né tantomeno si vuole inibire il ricorso all’uso della forza quando questa è necessaria e legittima. Il crimine di tortura, piuttosto, proibisce agli uomini di Stato di far ricorso alla gratuita violenza e, si badi bene, quest’ultima non ha niente a che vedere con il ricorso all’uso della forza ed è, per ragioni del tutto evidenti, in perpetua
antitesi con i principi cardine dello Stato di diritto.

(1) EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS, Cestaro v. Italy, application N. 6884/11 (7th of April 2015)
(2) I. MARCHI, Luci ed ombre del nuovo disegno di legge per l’introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano: un’altra occasione persa?, in “Diritto Penale Contemporaneo”, n. 5, 2014, p. 9
(3) Ibidem
(4) Cfr. A. CASSESE, I Diritti Umani Oggi, Laterza, Roma-Bari, 2005, p.174. E, ancora, si v. F. DE DEVITTOR, La partecipazione del pubblico ufficiale quale elemento della definizione del crimine di tortura: in margine al caso Kunarac, in Rivista di Diritto
Internazionale., 2004, pp. 427 e ss                                                                                    (5) Ibidem. (6)
(6) CAMERA DEI DEPUTATI- SERVIZIO BIBLIOTECA, XVII Legislatura, AA.CC. nn. 189, 276, 588, 979, 1499, 2168 – Il reato di tortura nei principali ordinamenti europei, Note informative sintetiche, n ° 11, 5 maggio 2014, pp. 1-2. Disp. Online: http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/NIS17011.pdf
(7) I. MARCHI, Op. Cit., p.14.
(8) La medesima proposta è avanzata anche da A. COLELLA, La repressione penale della tortura: riflessioni de iure condendo, in “Diritto Penale Contemporaneo”, n. 7, 2014, p.43
(9) F. VIGANO’, Sui Progetti di introduzione del delitto di tortura in discussione presso la Camera dei Deputati , in “Diritto Penale Contemporaneo”, n. 8, 2014, p. 11.
(10) Ibidem.
(11) Ivi, p. 12.                                                                                                                       (12) A. CASSESE, Lineamenti di diritto internazionale penale – Vol. I Diritto sostanziale, il Mulino, 2005, p. 159.
(13) A. COLELLA, Op. Cit., p.35.
(14) M. PICCHI, The Condemnation of the Italian State for Viola-tion of the Prohibition of Torture. Remarks on the Ruling passed by the European Court of Human Rights, Section IV, 7th April 2015, Application no. 6884/11, case of Cestaro v. Italy, in “Journal of Law and Social Sciences”, Vol. 4, n. 2, October 2015, p. 30
(15) Ibidem
(17) Ibidem.
(18) I. MARCHI, Op. Cit., p.14; A. COLELLA, Op. Cit., p.43.
(19) F. VIGANO’,Op. Cit., p.12
(20) M. PICCHI, Op. Cit., p.30.

Domenico Carolei