SULL’AVVERSARIO A TESTA IN GIÙ

Rappresentare l’avversario politico a testa in giù, richiamando Piazzale Loreto, in una democrazia, è assolutamente lecito, per carità. Mi chiedo però se chi lo fa si renda conto del corto circuito che tale immagine provoca. Innanzitutto la storia: l’esecuzione di Benito Mussolini avvenne, come spero ben si sappia, in altro luogo, dopo una sofferta e contrastata decisione del CLN.
Decisione però inevitabile e della quale, credo, fosse consapevole lo stesso duce. Vi era da chiudere un periodo carico di odi accumulati in un ventennio, aumentati a dismisura nella tragica vicenda della Repubblica di Salò. A questa decisione seguì quella di trasportare i corpi d Mussolini e dei suoi gerarchi in Piazzale Loreto. Ovvero in quel luogo dove un anno prima erano rimasti esposti 15 partigiani uccisi da fascisti della RSI e la cui esposizione provocò dei dubbi e dei timori nello stesso Mussolini, il quale, aveva ormai ben compreso di essere avviato sulla strada della disfatta e quei cadaveri, lasciati a marcire, avrebbero ben chiesto il conto. Che egli avrebbe pagato con la sua testa.
Fin qui, al di là del fasulli dubbi che ogni tanto emergono (come se quella guerra fosse stata, e mai lo sono le guerre, una partita a carte) nessun tentennamento. Mussolini andava fucilato per chiudere un intero periodo storico. Un regime affermatosi con la violenza esplicita non poteva che finire con la stessa violenza.
Ma la violazione dei corpi che ne seguì, in cui entrò in gioco davvero la rappresentazione di una folla anonima e vigliacca, al cui interno, molto probabilmente, tanti erano quelli che appena qualche mese prima si spellavano le mani davanti al duce, non fu una storia particolarmente onorevole. Essa fu stigmatizzata persino da Pertini, che avrebbe messo al muro mezza Milano, tanto era il suo odio per i fascisti. Quello scempio ricorda il linciaggio del povero Carretta, ucciso in maniera orrenda e del tutto innocente, da una massa nella quale, come a Piazzale Loreto, tanti erano i fascisti che ora facevano il +1 per accreditarsi ai nuovi futuri governanti, ma che il lavoro della resistenza e quello di sporcarsi le mani lo avevano ben volentieri lasciato ad altri.
Una questione complessa, nella quale entrano in gioco anche dinamiche contraddittorie, che appartiene più all’antropologia profonda che alla storia dell’antifascismo (del resto lo squartamento pubblico era uno dei sistemi con cui l’ancien régime dilettava il popolo).
Fu proprio per sottrarre i corpi a quel disastroso spettacolo che essi vennero appesi. Fu un gesto di umanità ma anche di razionalità politica (le telecamere avrebbero trasmesso nuovamente l’immagine di un paese barbaro) che è il contrario di come è stato poi rappresentato. Ora, la resistenza ha avuto pagine gloriose e pagine meno onorevoli, ma, fra tutte quelle che ha vissuto nella sua storia, nell’immaginario della manifestazioni postmoderne di oggi vince questa versione grandguignolesca che conferma (negli avversari ma anche, come si dice, nel “buon senso comune”) una rappresentazione dei
partigiani come assetati di sangue senza alcuna connotazione politica. A nessuno viene in mente di esporre un richiamo, ad esempio, alla resa del generale tedesco Günther Meinhold, nelle mani di Remo Scappini, operaio e partigiano, a cui il suo paese natale ha dedicato una piazzetta e non certo opere più importanti (quelle si dedicano a De Gasperi, per dire , ovvero come cancellare il proprio passato). Un generale della “razza superiore” che si arrende ad un operaio! Di operai infatti non ne parla più nessuno e anche la lotta contro il fascismo diventa una specie di “meme” per ricordare ai dittatori come potrebbero finire (ma potrebbero dire lo stesso di Ceausescu secondo il “pari e patta” dei revisionisti, anzi, degli “antitotalitaristi”). Senza traccia alcuna di razionalità politica e derubricando la lotta resistenziale ad una guerra di vendetta seppellendo sotto montagne di retorica lo scontro sociale e la visione programmatica, dove l’uso delle armi era uno dei passaggi e neppure il più importante, in prospettiva.
Già, la prospettiva.
E tutto finisce in patetici cartelli accompagnati dalla triste e sorridente inconsapevolezza di chi li espone, trasformando la pagina più importante della nostra storia in una specie di assemblaggio da pop-art. E quei cartelli potrebbero aver esposto oggi Piazzale Loreto e domani la mucca al macello in una manifestazione vegana, tanto, nella narrazione a-storica tutto è uguale a tutto. Credo che chi la resistenza la combatté davvero non è che non avrebbe approvato, non avrebbe proprio compreso, avendo vissuto una tragedia e non una farsa.

Andrea Bellucci