DOSSIER INTERNAZIONALE

In preparazione delle elezioni europee la redazione ritiene utile fornire dei brevi flash sulla situazione internazionale in modo da consentire ai lettori di orientarsi sul contesto nel quale cade questa scadenza e poter così meglio orientare e con consapevolezza le proprie scelte.

USA – La strategia geopolitica dell’Amministrazione Trump contempla un abbandono dello scacchiere mediorientale, tanto caro ad Obama; a presidiare la zona dovrebbe pensare l’alleato israeliano, opportunamente rafforzato e l’avamposto saudita i cui legami economici con gli Usa sono fortissimi (figurarsi cosa sarebbe successo con lo scatenarsi di condanne internazionali e sanzioni economiche se un giornalista dissidente fosse entrato in un’ambasciata russa e ne fosse uscito a rate – caso Jamal Khashoggi). Gli interessi statunitensi sono volti a mettere ordine nel giardino di casa, l’America del
sud: Brasile e Venezuela ne sono gli effetti più evidenti. Il ripristino delle sanzioni all’Iran, impedendo in particolare l’esportazione del petrolio iraniano, oltre che avere il fine di soddisfare le richieste israeliane, ha l’effetto non secondario di produrre un aumento dei prezzi del petrolio, finalizzato a mettere in crisi l’economia europea, Della misura beneficia anche la Russia paese produttore e esportatore. Ne subisce un danno relativo l’Iran che può vendere il suo petrolio alla Cina che lo assorbe a buon prezzo.
Intanto il paese si dedica a ripristinare la “dottrina Monroe “ all’insegna dello sloga “L’America agli americani”. Da qui il sostegno al gigante brasiliano e l’attacco al Venezuela mentre la disoccupazione nel paese è la più bassa di sempre ma le disuguaglianze crescono inesorabilmente.
Libia – La cartina sottostante mette un po’ d’ordine nel guazzabuglio della Libia. Occorre precisare subito che la Libia, in quanto tale, è un’entità astratta, in realtà tripartita: al sud le tribù del deserto (zona francese e della Total), al nord la Tripolitania (zona italiana ed Eni) e ad oriente la Cirenaica (zona inglese e BP). La tripartizione etnica e di interessi economici è frutto della guerra contro Gheddafi, non a caso voluta ed intrapresa da inglesi e francesi, cui l’Italia aderì per non perdere interamente lo storico controllo sugli idrocarburi massicciamente presenti nel territorio. L’Italia si accontentò di quanto le fu riservato contando sul fatto che il NOC (consorzio libico del petrolio) e la Banca nazionale, dove avvengono i pagamenti, hanno sede a Tripoli. L’alleanza tra Eni e BP ha garantito fino ad ora l’equilibrio susseguente alla caduta di Gheddafi. Ma Haftar è stufo di veder arrivare il denaro in pagamento del petrolio che lui vende a Tripoli e contando sul fatto che la francese Total non ha accesso al mare ne ha stimolato gli interessi con lo scopo di farsi interamente padrone del paese; non è insensato pensare che, nonostante le schermaglie franco-britanniche sulla Brexit, i due paesi siano di nuovo concordi nel tagliare fuori l’Italia. In fondo i maggiori sponsor di Haftar sono Egitto ed Arabia Saudita non certo nemici di Gran Bretagna e, soprattutto, Stati Uniti, come dimostra l’ok di Trump all’attacco di Haftar.


Libia – Ipocrisia internazionale – Intanto l’ONU e la comunità internazionale decidono di non dichiarare la Libia zona di guerra, malgrado i morti i feriti e i profughi verso la Tunisia: la guerra civile viene declassata a “disordini” sul campo e questo non per fare un piacere all’Italia ma perché la presenza di richieste dei rifugiati a causa della guerra obbligherebbe non solo l’Italia ma l’Europa ad ospitare i profughi. Per questo motivo il paese mantiene la qualifica di “porto sicuro”.
Algeria – Bouteflika, 82 anni, si è dimesso da presidente dell’Algeria. Da anni malato è rimasto al potere dal 1999 permettendo all’esercito, al partito del fronte nazionale e allo staff presidenziale di governare il paese. Il Presidente è stato costretto alle dimissioni da gigantesche manifestazioni pacifiche iniziate il 23 febbraio e ripetutesi ogni venerdì hanno coinvolto milioni di algerini, soprattutto i giovani, la maggioranza della popolazione del paese. Di fronte alle grandi manifestazioni anche il potente capo dell’esercito, anche lui ottantenne Gaid Salah, ha dovuto cedere e ora l’esercito, vero arbitro del potere, deve fare i conti. Con il ritorno dei poteri ai civili e lo svolgimento di libere elezioni l’Algeria sarà chiamata a svolgere un ruolo di stabilizzazione importante in tutta l’area del nord Africa.
India – In India sono in corso a partire dall’11 aprile le elezioni per eleggere i 543 membri della Lok Sabha, la camera bassa del Parlamento di New Delhi. Le elezioni sono articolate in sette turni e avranno termine il 19 maggio. Lo spoglio inizierà il 23 maggio, gli elettori superano gli 850 milioni. Dal 2014 l’India è governata dal fondamentalismo indù del partito. BJP (Bharatiya Janana Party – Partito del Popolo Indiano) di Narendra Modi, Primo Ministro della Repubblica Indiana sostenuto dalle frange più estremiste della popolazione indù. A questo partito si contrappone l’INC (Indian National Congress), presieduto da Rahul Gandhi alleato con numerosi partiti regionali.
L’India è un paese di oltre 1.3 miliardi di abitanti: il 79,8% di questi sono indù, il 14,23% (oltre 170 milioni) musulmani, il 2,3% (circa 30 milioni) cristiani e la restante parte appartenente ad altre religioni o atea. Il risultato delle prossime elezioni sarà «fondamentale, specialmente per la minoranza di 170 milioni di musulmani, in un contesto dove il BJP polarizza fortemente la società»; il dibattito culturale e religioso sarà determinante per l’interpretazione del voto indiano. Modi punta a far leva sul fondamentalismo indu scavando un solco con le altre minoranze etniche e religiose e
per chi professa l’Islam la realtà indiana si fa estremamente difficile, tanto che la pressione del nazionalismo religioso ha costretto a cambiare i nomi arabi di diverse città e strade dell’India settentrionale, dove si concentra gran parte della maggioranza musulmana. Il suo programma di lotta alla corruzione e di sviluppo economico è fallito e ora il leader del governo Modi punta sul sostegno dell’organizzazione RSS (Rashtriya Swayamsevak Sangh – Corpo nazionale dei volontari), del quale Modi era membro e che funge da ala ideologica e braccio armato del BJP, malgrado che questo partito,una volta entrato all’interno delle dinamiche parlamentari ha cercato di prenderne le distanze. L’RSS – fondato nel 1925 e bandito più volte dalla contesa elettorale è un’istituzione culturale apolitica, della quale fanno parte circa 6 milioni di membri e predica l’‘hindutva’, l’ideologia nazionalista indù che propone slogan come ‘una nazione, una cultura, una religione’. L’hindutva considera l’induismo un’identità etnica, politica e culturale, e mira ad imporsi sulle altre minoranze religiose attraverso abusi e discriminazioni. In vista delle elezioni l’RSS fa proselitismo e recluta attivisti per propagandare la sua ideologia. Grazie al sostegno del Governo Modi, l’RSS gestisce istituzioni culturali di alto livello. Dall’avvento al potere del BJP, il numero di scuole private finanziate da RSS è aumentato a 14.000 e conta 1,8 milioni di studenti. Il fondamentalismo islamico punta a rappresentare la reazione musulmana a tutto questo.
Sri Lanka – L’attentato DAESH a Sri Lanka, tragico per il suo bilancio di vittime suggerisce alcune considerazioni dopo la soppressione sul campo dello Stato formato da Daesh. Esiste ancora una direzione strategica di questa organizzazione terroristica e sceglie come teatro operativo l’espansione dell’islam radicale e combattente nell’oriente, area di espansione economica in questa fase. La diffusione dell’organizzazione terroristica nel paese dimostra che essa è in grado di ereditare i precedenti conflitti (quello con le tigri TAMIL) e declinarlo in versione radicalismo islamico.
Cina – segnali di una ripresa della attività terroristiche provengono dal Regione autonoma Uigura dello Xinjiang: Il Governo della Regione ha approvato una legge per «Educare e trasformare» i soggetti influenzati dall’estremismo religioso, riabilitarli in «centri di addestramento professionale». La Regione è strategica per la realizzazione della “via della seta” in quanto mette in comunicazione la Cina con i paesi dell’Asia centrale ed è ricca di risorse di carbone, gas naturale e petrolio ed è abitata da 11 milioni di uiguri musulmani. Gli islamisti fondamentalisti mirano a egemonizzare le tendenze indipendentiste dei musulmani della regione.
Slovacchia – Zuzana Caputova, l’avvocatessa 45enne liberale e vicepresidente del partito non parlamentare “Slovacchia progressista”, ambientalista e sostenitrice delle libertà civili (ha appoggiato i diritti degli omosessuali all’adozione), è stata eletta Presidente della Repubblica Slovacca. La Caputova cattolica, ma progressista ha battuto Sefcovic, sostenitore della famiglia tradizionale e i valori cristiani tradizionali. Si incrina cosi il fronte dei paesi sovranisti del gruppo di Visegrád messo in crisi non tanto sulle politiche economiche, ma su quelle sociali. Se il coordinamento delle politiche economiche dei quattro paesi che fanno parte del gruppo rimane un elemento di coesione che ha permesso di potenziare le capacità di attirare investimenti e finanziamenti europei, la restrizione dei diritti appare sempre più inaccettabile come le scelte di assoluta chiusura in materia di emigrazione. Un buon segnale in vista delle elezioni europee che incrina il fronte sovranista.
Finlandia – Il centrosinistra è uscito vincitore dalle urne con appena lo 0,2% di distanza dai populisti nazionalisti dei Veri Finlandesi, alleati in Europa con la Lega di Matteo Salvini. Governerà il Paese per la prima volta da 16 anni, dovendo fare i conti con un partito ultrapopulista su posizioni antimigranti e nazionaliste. Hanno perso i conservatori ed i centristi, regrediti a terza e quarta forza politica del Paese. Si tratta di una vittoria di strettissima misura avvenuta anche grazie al successo dei verdi che nei paesi del nord Europa faranno probabilmente la differenza in occasione delle elezioni europee.
Ucraina – L’elezione di Volodymyr Zelens’kyj a Presidente della Repubblica Ucraina non pone fine al ruolo di Porošenko nelle vita politica del paese. Il partito del neo eletto Presidente non ha infatti alcun deputato alla Duma e quindi Porošenko potrà continuare a sviluppare la sua alleanza con la neonata Chiesa Ortodossa autocefala Ucraina, costituita in funzione anti russa. Potrà condizionare ogni presa di posizione del neo eletto Presidente. Sarà poi difficile per lui sviluppare un’azione diplomatica finalizzata a ricomporre lo scontro con la Russia per risolvere il conflitto nel Donbass, (che riunisce le regioni di Luhansk e Donetsk), come ha promesso in campagna elettorale. In ogni caso tuttavia l’elezione di Zelens’kyj non consente alla Germania di continuare a stimolare lo schieramento dell’Ucraina in funzione anti russa, malgrado gli sforzi di Macron che si candida a succedere all’influenza tedesca, come ha fatto ricevendo all’Eliseo il presidente neo eletto anche prima della sua definitiva elezione.
Francia – Fallito il tentativo di Macron di pacificare il paese facendo rientrare la protesta dei gilet gialli. Le proposte faticosamente elaborate non convincono e paradossalmente l’incendio di Notre Dame e la gigantesca immediata colletta per la sua ricostruzione hanno fatto riflettere i manifestanti su quanto sia grande la disponibilità dei ricchi (in cambio di incentivi fiscali) e quanto poco invece essi sono disponibili a contribuire a sollevare le condizioni di indigenza di larga parte del paese. Per questo motivo la Francia si presenta alla scadenza elettorale europea con una parte della protesta pronta a sostenere il Front National. Questo a meno che non prenda piede l’iniziativa della CGT a affiancare i manifestanti del sabato come è avvenuto in quest’ultima settimana. Il movimento con l’ingresso in campo della sinistra assumerebbe ben altra forza e obiettivi più credibili.
Gran Bretagna – Mentre significativamente riesplode il problema irlandese anche a causa della erigenda frontiera tra le due Irlande il paese si dibatte alla ricerca di una soluzione alla Brexit. Il vero ostacolo al ripensamento dell’elettorato britannico sull’opportunità di uscita dall’Europa è la mancanza di una strategia di Corbin rispetto al problema. Corbin e il suo partito devono capire come sia compatibile avere mano libera nella politica economica e sociale restando nell’Unione. I laburisti vedono come una camicia di forza le scelte liberiste dell’Unione e ritengono che sotto il cappello europeo il loro programma non è attuabile. Isolazionisti come sono non hanno pensato che il loro programma sarebbe un utile suggerimento per i partiti socialisti del continente per mutare la politica di Bruxelles. Non è detto che il voto spagnolo non li convincano che è possibile rilanciare una politica progressista a livello economico e sociale nell’intera Europa.
Olanda – Il paese si omologa sempre di più alla politica fiscale del Lussemburgo e si propone come paradiso fiscale e paese che vive sulle fortune del capitalismo finanziario. L’economia reale è fragile e le attività produttive declinano anche a fronte di una situazione demografica non certo florida. Il decentramento produttivo a esternalizzato sull’esempio tedesco molte produzioni e l’attività agricola segna il passo. In questo quadro il capitale finanziario sembra la sola risorsa possibile. La diversificazione dei terminali del commercio mondiale stanno spostando i traffici commerciali a favore del trasporto via terra. Il traffico proveniente dalla Cina ha il principale hub in Germania a il porto di Rotterdam vede diminuire il traffico.
Germania – La Germania continua ad avere un PIL in crescita anche se le esportazioni segnano il passo, L’attività manifatturiera e industriale si trova di fronte a una crisi che riguarda la gestione della forza lavoro esterna e la produzione di componenti da assemblare prodotti all’estero. La crisi demografica non è stata risolta con la grande apertura ai migranti che ha dovuto essere contenuta per i troppi problemi sociali che una così massiccia immigrazione ha prodotto sul piano sociale. La soluzione individuata è stata quella del ricorso all’emigrazione stagionale dall’Ucraina e da Balcani e dallo spostamento della produzione di componenti nella Repubblica Ceca, in Ungheria, in Polonia, in Slovacchia dove il costo del lavoro è enormemente più basso. Ma la depressione salariale interna (non va dimenticato che nel paese esiste un doppio mercato del lavoro costituito da una aristocrazia operaia e impiegatizia con accanto un mercato del lavoro estremamente precario e a bassi salari) ha ridotto le capacità di acquisto del mercato interno, la presenza di dazi crescenti da parte americana e l’aumento del costo dell’energia stanno facendo il resto. Così la locomotiva tedesca è in frenata.

La Redazione