LA SPARTIZIONE

Giornali e televisioni hanno narrato la telenovela sulla formazione del nuovo governo, ma nessuno si è soffermato più di tanto sulla vera posta in palio: quella delle 350 nomine apicali da fare subito. Scadono infatti i nominati nei consigli di amministrazione e alla direzione di aziende, banche e uffici e i nuovi padroni si apprestano a spartirsi il bottino. è questa la vera stanza dei bottoni, più che la Presidenza del Consiglio dei Ministri o un qualche posto da Ministro. Intanto i manager che comandano alla politica si agitano e si riposizionano rispetto ai nuovi padroni: dopo il massacro elettorale si prepara la mattanza dei dirigenti di nomina politica di area PD & soci. Né il massacro si ferma ai livelli apicali, ma si diffonde nelle amministrazioni e negli enti locali, nelle gestioni delle municipalizzate e nei mille posti di sottopotere.
Non vogliamo affermare che i dirigenti nuovi saranno meglio di quelli vecchi; e poi sono molto diffusi i casi di trasformismo e l’ “acquisto”dei vecchi dirigenti da parte dei vincitori viene “motivato” con il possesso di competenze e professionalità, quando invece – nella gran parte dei casi – si tratta più banalmente di appartenenti alla casta che cambiano padrone pur di mantenere il potere. Il risultato è che, a parte il cambio di casacca, dobbiamo attenderci un rinnovamento parziale di quella massa di intermediari, subagenti della casta politica che di fatto gestiscono il potere e condizionano in larga parte gli stessi politici. Il loro controllo sugli strumenti operativi delle politiche governative è altissimo e condizionante, e ciò che è marcio non è il vecchio sistema di clientele, ma la struttura stessa del potere.

Un po’ di pulizia

Un vantaggio per ora però c’è: crescono le possibilità di morte dei partiti sconfitti, tanto più nella misura in cui questi perdono anche terreno nelle amministrazioni regionali e in quelle comunali, negli enti e nelle autority sparse sul territorio. Basta affacciarsi in un qualche ufficio per cogliere il clima di smobilitazione, la paura e l’incertezza di chi fino a ieri era sicuro delle protezioni politiche e credeva intramontabile il sole sul proprio potere. Chissà che un po’ di pulizia non elimini quella burocrazia e quegli intermediari di “sinistra” che ammorbavano l’aria snaturando la sinistra stessa.
Si dirà: magra consolazione, verranno sostituiti da burocrati e faccendieri di destra che faranno di peggio. Questo forse non è vero, perché i funzionari che perdono il posto si erano trasformati soggettivamente in nemici di classe e almeno ora sarà chiaro chi sono i nemici; un po’ di pulizia si farà e forse sarà possibile ricompattare le forze e riprendere una sana politica di contrapposizione di classe: il potere avrà la faccia e il volto del nemico di classe e quindi sarà da combattere. Inoltre, l’opera positiva dei trasformisti sarà quella di far capire a chi vuol capire chi sono i nemici di classe e che la lunga marcia nelle istituzioni, preconizzata dai 5S è un’illusione, non paga, è perdente: gli interessi di classe si difendono prima di tutto con la mobilitazione e le lotte contro i falsi amici. Toccherà riprendere pazientemente, ma con tenacia, la ricostruzione di un tessuto di alleanze, rendendosi conto che quel che sta’ avvenendo è nella logica delle cose.

La lezione di Máo Zédōng

Nel ’68, all’inizio della Rivoluzione Culturale, Mao in un articolo allora divenuto famoso, comparso sul Rénmín Rìbào (Quotidiano del popolo), affermava che dopo anni di potere, persino in uno “Stato comunista” la borghesia e la burocrazia, a suo tempo schiacciate dalla rivoluzione, rinascono nel seno stesso del Partito e che quindi era necessario un processo rivoluzionario nuovo per far ripartire la costruzione del comunismo. Figuriamoci!
Se questo era vero per la Cina comunista, come volete che in uno Stato capitalista classico qual è l’Italia, privo di tensioni ideali e ideologiche e di valori positivi ed egualitari, un partito, autoproclamatosi di sinistra – ma in realtà sinistro – non degenerasse fino al punto da mutare la sua natura e diventare un aggregato di destra al servizio del profitto e del capitale, in questo caso prevalentemente finanziario ?
Ma se così è stato, è bene che sia venuta la sconfitta, che ha avuto come levatrice la fata turchina di Laterina e come ginecologo il passatore di Rignano sull’Arno, ma che era nelle cose. Ora, dopo l’ennesima lezione, gli sfruttati, i poveri e gli emarginati, quelli che Fanon chiamava i dannati della terra, è bene che imparino a gestire da soli e cooperando tra di loro le lotte in difesa dei loro interessi, senza delegare ad alcun partito, senza affidarsi alle piattaforme informatiche alla Rousseau, ma costruendo sul territorio, pezzo per pezzo, l’autonomia di classe e i suoi strumenti, creando alleanze con gli altri ceti e classi sui bisogni di tutti, accerchiando gradualmente, ma inesorabilmente i palazzi del potere, isolandoli sul territorio, recidendo quell’apparato tentacolare che soffoca tutti e garantisce lo sfruttamento.
Certo oggi non possiamo calcolare quanto alto sarà il prezzo da pagare per liberarsi di quel mondo putrefatto che aveva al suo apice il “giglio magico”, ma proprio per questo i serpenti che quel mondo ha prodotto vanno schiacciati uno per uno, impedendo loro di fare ulteriori danni, radendo al suolo una volta per tutte le loro strutture di partito, fino a spargere il sale sulle macerie del Nazareno.
Diceva qualcuno che il renzismo può essere raccontato come l’avventura di un gruppo di hooligans che va in vacanza in un villaggio, lo devasta e poi si lamenta per trovarsi a trascorrere il tempo in un posto schifoso. Non è esattamente così: perché la metafora sia corretta occorre sottolineare che l’acqua corrente non c’era, le fognature non funzionavano, i bungalow avevano i tarli e il mare era inquinato. La “banda del giglio” ha solo completato l’opera e ancora non ha finito.
Le miserie del riformismo di sinistra sono tali che gli sconfitti si asserragliano negli ultimi ridotti che gestiscono a creare ancora più danni e, disperati, cercano di spremere ancora i frutti di quel poco di potere che a loro è rimasto. Ma non hanno scampo. Già una volta è successo che dopo aver tradito la classe operaia come fecero nel 1920, poi qualcuno ha spiegato loro che i lavoratori non li avrebbero perdonati mai e che i nuovi padroni li avrebbero presi uno ad uno per farli fuori.

Una canzone in mente

Una canzone dimenticata dice:

Siam del popolo gli arditi
contadini ed operai
non c’è sbirro non c’è fascio
che ci possa piegar mai.

E con le camicie nere
un sol fascio noi faremo
sulla piazza del paese
un bel fuoco accenderemo.

Ci dissero: “Ma cosa potremo fare
con gente dalla mente tanto confusa.
E che non avrà letto probabilmente
neppure il terzo libro del Capitale?”
neppure il terzo libro del Capitale”

Portammo il silenzio nelle galere
perché chi stava fuori si preparasse.
E in mezzo alla tempesta ricostruisse
un fronte proletario contro il fascismo.
Un fronte proletario contro il fascismo.

Ci siamo ritrovati sulle montagne
e questa volta nostra fu la vittoria.
Ecco quello che mostra la nostra storia
se noi siamo divisi vince il padrone.
Se noi siamo divisi vince il padrone

E’ tempo dunque di riprendere in mano l’iniziativa, ritornare ad essere presenti sui territori, sviluppando una critica serrata al neoliberismo, preparare un programma minimo che aggreghi tutte le forze (e le debolezze) della sinistra per rilanciare l’unità di classe e ricominciare a difendere interessi, valori, per ritornare a far sperare le classi subalterne. Per farlo occorre costruire una grande alleanza che includa gli abitanti autoctoni e i migranti, nell’ambito di un progetto solidale per costruire rapporti sociali e produttivi che ci liberino dallo sfruttamento, dal bisogno attraverso, una rete solidale di lotte e di esperienze alternative di solidarietà, consapevoli che è dall’uguaglianza che nascono tutte le libertà.
Solo così sarà possibile porre le basi di una rinnovata e attuale presenza della sinistra nel paese

Gianni Cimbalo