IL CARNEVALE ELETTORALE

Il 4 marzo si vota e moltissime sono le persone che si chiedono se e perché votare e chi eventualmente votare. Noi, che affermiamo di essere comunisti anarchici non crediamo nella democrazia liberale rappresentativa, non crediamo nella delega attraverso il voto, siamo invece favorevoli alla militanza attiva, alla partecipazione, alla delega limitata, controllata e revocabile, alla responsabilità collettiva.
Per noi le scadenze elettorali costituiscono una farsa orchestrata al fine di camuffare la gestione del potere e delle istituzioni, a vantaggio esclusivo dello sfruttamento economico e della schiavitù sociale degli esseri umani, un modo per legittimare il consenso che caratterizza l’azione costante di sfruttamento delle classi dominanti sul resto delle popolazioni.

Il capitalismo divide e comanda: non tutti quelli che risiedono su un territorio votano, ma solo coloro che possiedono la cittadinanza e, tra questi, di fatto, non votano coloro che sono diseredati, vivono ai margini della società. Il loro voto è stato espropriato dalle condizioni sociali nelle quali vivono, dal bisogno, dalla disperazione, dalla ricattabilità, dai condizionamenti diretti e indiretti, dalla falsa coscienza istillata da chi gestisce il potere.
Non votano coloro che sono disillusi dalla politica, dalle scelte dei diversi partiti dalla loro deriva affaristico clientelare.
Non votano coloro che considerano traditi i valori e gli obiettivi, gli ideali e l’ideologia che un tempo animava i partiti e che li spingeva a difendere gli interessi degli sfruttati, degli ultimi, dei diseredati
A votare sono coloro che sono ancora convinti della modificabilità dei rapporti di forza nella società per effetto della ragione, dalla necessità di soddisfare quelle esigenze che sono comuni, coloro che hanno convenienza a sostenere questo sistema di sfruttamento da parte delle classi ricche sui poveri e diseredati, coloro che pur vivendo delle briciole del benessere sono possessori e gestori della loro miseria. Votano i borghesi intrisi di falsa coscienza, che ritengono di essere tra i commensali invitati alla tavola bandita delle promesse e delle lusinghe e che non si accorgono di sostenere con i loro consenso questo sistema e questi valori di rapina o che ne sono perfettamente coscienti e danno il loro consenso perché pensano di essere parte del ceto dominante.
Sappiamo tutto questo e perciò lavoriamo per cambiare questa situazione, consapevoli che il primo passo è quello di rimuovere le disuguaglianze, gli ostacoli di ordine economico e sociale, e che a questo si accompagneranno l’esercizio di una effettiva libertà, la solidarietà tra le persone umane che nascono tutte eguali, indipendentemente dal colore della loro pelle, dalla lingua che parlano, dai tratti somatici che li caratterizzano.
Siamo consapevoli che la gestione di una società complessa ha bisogno di istituzioni, ma vogliamo che queste vengano gestite sulla base di deleghe revocabili in ogni momento da persone delegate liberamente che si avvicendano nello svolgimento di queste funzioni sociali, senza per questo creare o costituire un ceto o una classe di professionisti della politica eternamente delegati a governare.
Vogliamo raggiungere questi obiettivi, ma per farlo la strada è lunga e va preparata attraverso una strategia attenta e graduale che passa anche per un’apertura alla partecipazione progressiva e sempre maggiore. Per preparare questa fase occorre certamente il contributo di forze riformiste: siamo convinti che perché il cambiamento sia irreversibile esso non può nascere come reazione a una situazione di oppressione, ma deve essere frutto di una progressiva acquisizione di consapevolezza dei diritti e dei doveri sociali di ognuno.
Paradossalmente per questo insieme di ragioni non possiamo disinteressarci del problema elettorale, ma dobbiamo guardare ad esso come una scadenza con la quale la tattica che usiamo per cercare di realizzare i nostri obiettivi strategici deve misurarsi, utilizzando a secondo delle circostanze in modo diverso questa scadenza, facendo un uso strumentale del voto.

Le elezioni italiane del 4 marzo 2018: la destra al voto.

I sondaggi diffusi a piene mani in vista delle prossime elezioni ci dicono che sarebbe in testa per numero di voti una coalizione guidata dall’immarciscibile cavaliere che non ha paura a collocarsi alla destra dello schieramento politico. Essa è composta da un partito di destra antieuropeista e lepenista, razzista e xenofobo, nato nelle valli padane ma diffusosi poi nel paese sull’onda della paura dell’emigrazione e su una supposta esigenza di sicurezza e ordine, ampiamente alimentata da ripetute bufale e da episodi di microcriminalità opportunamente gonfiati. Si tratta della paura alimentata dal fenomeno migratorio che caratterizza una parte della popolazione, la quale pensa di poter vivere comunque felice utilizzando i resti di una società opulenta rimasti abbandonati progressivamente a causa del calo demografico e che crede di avere macerie sufficienti per vivere comunque un relativo benessere, e perciò si sente insidiata da un’orda di migranti.
Costoro sono proprietari e detentori della propria miseria, deboli nel possesso di valori identitari, privi di certezze e di consapevolezza della propria condizione sociale; temono l’assalto di chi non conoscono, ma comunque reputano più forte: l’immigrato, voglioso di farsi strada, disposto a sgomitare alla ricerca di benessere e portatore di valori magari più tradizionali, come lo spirito di comunità e la solidarietà, ancora fortemente radicati. Questa componente spaventata della popolazione autoctona italiana si ritrova solo in parte in un partito, la Lega, ma attraversa tutto l’arco dei partiti di destra del centro e in parte perfino della sinistra.
Una parte di costoro, che agiscono meno di pancia, ma sono portatori di un progetto coerente di rapporti sociali derivati dall’esperienza del fascismo sociale si ritrova in Fratelli d’Italia, Un partito inquinato da esponenti dell’apparato, delle istituzioni e della burocrazia, che sentono con sofferenza la perdita del ruolo sociale di appartenenza. Perciò si coalizzano e vanno a comporre un fronte di destra che si completa con Forza Italia, un partito padronale a base affaristico-tecnocratica, espressione di quel ceto medio alto di sostenitori di politiche di gestione del capitale proprie della destra economica e sociale neo liberista
Lo schieramento di destra si completa con i cascami di un ceto politico e clientelare che raccoglie consensi sui territori in nome delle clientele, dei gruppi di pressione, delle lobbie di interessi, di gruppi economici e industriali, di burocrati che non ha nemmeno la capacità di chiamarsi, qualificandosi come “quarta gamba” della coalizione di destra.
Questo aggregato, destinato a spaccarsi all’indomani delle elezioni è pronto all’inciucio e a costituire il punto di un’alleanza per un governo post elettorale possibile.

Il nuovo centro di Renzi e C.

La colonizzazione renziana di quello che fu il PD ha dato vita ad un aggregato multiforme e composito che di fatto si colloca al centro dello schieramento politico, a non molta distanza dalla destra. Si tratta di un ex partito di centro sinistra che nella passata legislatura ha fatto il lavoro sporco per conto del neoliberismo e del capitale internazionale speculativo ,attuando e facendo ingoiare alla popolazione una serie di interventi di controriforma che un partito di destra non sarebbe riuscito ad imporre.
Investendo sull’immagine delle origini questo partito è riuscito a disarticolare le tutele del lavoro conquistare in precedenti cicli di lotta a caro prezzo dai lavoratori, attraverso l’adozione del Job Act e l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, a rottamare la scuola pubblica attraverso l’imposizione della “Buona Scuola”, completando il lavoro di tendenziale privatizzazione della scuola pubblica condotto nelle legislature precedenti, ad attentare alla giustizia attraverso le modifiche al processo e gli interventi sul ruolo e la funzione dei giudici, ha consentito la svendita di interi settori produttivi e prodotto la riduzione delle quote italiane nella divisione internazionale del lavoro, ha lasciato il paese privo di infrastrutture e di una politica dei trasporti, ha iniziato lo smantellamento del sistema sanitario, ha rapinato, attraverso le banche, i cittadini del loro risparmio, si è permesso di violare platealmente i diritti costituzionali, prima tentando una revisione costituzionale autoritaria e poi annullando il referendum sui voucher abrogandoli per legge per poi immediatamente ripristinarli.
Questo partito afferma di aver fatto progredire i diritti civili, introducendo una forma pasticciata di unioni civili e una limitata tutela attraverso le dichiarazioni di fine vita. Ha portato il paese in guerra rafforzando l’intervento dell’esercito italiano sugli scenari di guerra nel mondo: Afganistan, Iraq e da ultimo il Niger,
Ebbene questo partito chiede agli elettori di votarlo in nome di questa politica. Ai suoi candidati auguriamo di cuore il maggior disastro possibile e ci auguriamo che la loro deportazione verso collegi sicuri (???) sia il viatico per la loro non elezione. Nei loro confronti non una sincera antipatia, ma l’augurio delle più grandi disgrazie possibili.
Ai cosiddetti partiti e partitini che affiancano la loro coalizione auguriamo di restare al di sotto dell1% e in particolare ai radicali, pronti all’europeismo e a difendere i diritti civili, ma liberisti accesi in politica economica e nemici dell’eguaglianza sociale, che barattano con l’ampliamento dei diritti civili.

I grillini del non Grillo

In questa situazione i sostenitori del nuovo, i salvatori della patria, sembrano essere i grillini, orfani di Grillo, che si propongono come buoni per tutte le stagioni, dichiarando di non essere né di destra né di sinistra, mostrando così ignoranza politica e storica, ma soprattutto tendenza al trasformismo, quel trasformismo che credono di arginare con le multe ai parlamentari, eventualmente dissenzienti dalle indicazioni di partito. In buona sostanza il loro collante sono i soldi: basta pagare !! Dimostrano così di essere in sintonia con la società governata dal denaro e dall’interesse che accusano di disonestà.
Costoro, per loro stessa ammissione hanno superato la fase dell’ ”uno vale uno” e, come fecero i maiali neri della fattoria degli animali nel decalogo posto sulla cascina del signor Jones ne la fattoria degli animali immaginata da Orwell, hanno emendato la frase con “…ma alcuni sono più uguali degli altri”.
Finita l’illusione della democrazia telematica, sommersa dalla crisi della piattaforma Rousseau, bisogna dunque guardare al programma che è di stampo democristiano e liberista. Niente patrimoniale, promessa riduzione delle tasse, ma nulla sul mantenimento dei servizi, promessa del reddito di cittadinanza, ma non intervento sulle disuguali distribuzioni del reddito. Dove prenderanno i soldi per fare quanto promesso resta un mistero !
Molta demagogia e profferte di onestà nella gestione della cosa pubblica, ma totale opacità sulle strategie in materia industriale e di lavoro. Qualche promessa. come quella sulla reintroduzione dell’art. 18 entrata già nel dimenticatoio, promessa di abrogazione della Fornero, ma poche proposte concrete per gli investimenti lo sviluppo e le politiche industriali. Insomma un programma democristiano fatto di possibile buon senso e moderazione e di tante promesse. Troppo poco per essere credibili e per rappresentare un’alternativa praticabile rispetto a un aggregato di partiti che aspettano il giorno dopo le elezioni per manifestare la loro disponibilità ad allearsi per gestire il potere.

Libri e Uguali: il fascino del vecchio senza novità

Questa formazione politica, nata con la dichiarata intenzione di recuperare il non voto e offrirsi come punto di continuità con esperienze come quelle dell’Ulivo e del centro sinistra quando non del PCI, ha nelle persone il fascino del vecchio, mentre serve un nuovo partito riformista che si distingua un programma innovativo che rigetti l’ubriacatura neoliberista delle sinistre socialdemocratiche e riformista. Forse a causa dei tempi con i quali questa formazione politica è nata questi elementi di programma non si vedono e questo cartello elettorale e ben lontano dall’essere assimilato al partito laburista di Corbyn, per fare un esempio.
E’ pur vero che Liberi e eguali sconta la crisi di tutta la sinistra riformista internazionale, ma l’usato “sicuro” del quale dispone non da fiducia se non altro per il fatto che si è accorto tardivamente delle nefandezze renziane che pure da molti di loro sono state votate. E’ per questo motivo che le proposte relative alla politica del lavoro, il sostegno ai servizi sociali, la promessa di una inversione di tendenza sulla politica relativa alla scuola pubblica, alla tutela dei “nuovi lavori”, l’assenza di una politica per la casa, non danno credibilità a questa formazione politica. Un sostegno alle loro liste può trovare motivi o nel disgusto profondo per i candidati renziani e della destra, oppure in una scelta tattica, nella speranza che questi aprano spazi minimi di agibilità politica. Ma il percorso di questo aggregato politico per divenire un partito riformista dell’era post liberista è lungo e difficile. Staremo a vedere.

Il voto disperso

Alcuni si rifugiano infine nel voto disperso e danno il loro sostegno a formazioni politiche minoritarie che fino a ieri hanno calcato le strade della contrapposizione alternativa alle istituzioni. In questo settore si sono inseriti militanti provenienti da centri sociali, da esperienze di lotta sul territorio, da gruppi che da tempo operano come formazioni politiche a livello locale nelle amministrazioni periferiche. Si tratta di un voto coscientemente disperso che vuole premiare una testimonianza. Si tratta anche in questo caso di capirne l’utilità tattica a seconda del territorio al quale ci si riferisce.
Se queste formazioni politiche intendono percorrere la strada della lunga marcia nelle istituzoioni o l’utilizzo delle aule parlamentari come tribuna di propaganda si tratta ancora una volta di un’illusione e meglio sarebbe se concentrassero i loro sforzi ed energie nella lotta di classe e nel concreto operare in difesa dei diritti dei più deboli e degli sfruttati, come hanno sempre fatto.

Gianni Cimbalo