Cosa c’è di nuovo – Nelle carceri del fascista Orban

Dal febbraio 2023 Ilaria Salis, anarchica e antifascista milanese, 39 anni marcisce in una prigione di Budapest, in Ungheria, da quasi un anno, tenuta al guinzaglio e con i piedi legati, in condizioni disumane, rinchiusa in un carcere di massima sicurezza. La si accusa di aver aggredito nella capitale ungherese tre neonazisti lo scorso 11 febbraio, durante il “giorno dell’onore”, manifestazione a cui partecipano i nostalgici di Hitler. È accusata dii “atti potenzialmente idonei a provocare la morte”, nonostante che le vittime assalti – che non hanno sporto denuncia – abbiano subito le lesioni ritenute guaribili con prognosi di 5-8 giorni. Per quell’accusa, Ilaria Salis rischia fino a 24 anni di carcere. Lei si è sempre dichiarata innocente.
Quando, dopo molto tempo, ha potuto mettersi in contatto con i suoi avvocati, la Salis ha raccontato che dopo l’arresto è stata completamente privata di tutti i suoi abiti e delle scarpe, sostituiti con abiti lerci dei quali disponevano i suoi carcerieri e con stivali con tacco a spillo, in modo da umiliarla e metterla a disaggio. Nei primi giorni di detenzione la detenuta è stata tenuta in isolamento, costretta a continuare a indossare abiti sporchi, inclusa la biancheria intima, senza alcun supporto igienico, compresa la carta igienica, un asciugamano, assorbenti, benché avesse il ciclo, fino a quando, dopo 35 giorni il consolato italiano non le ha consegnato il primo pacco. Ilaria è difesa da György Magyar, a Budapest da uno dei più noti avvocati penalisti ungheresi, procuratole dal padre, senza nessun supporto dall’Ambasciata italiana.
A settembre 2023, quando ha potuto vederli, ai suoi genitori, esterrefatti, ha raccontato poi che i detenuti sono obbligati a stare rivolti “verso il muro” reclusi “23 ore su 24” in celle all’interno di sezioni miste, uomini e donne, con “cimici, scarafaggi e topi”. La donna ha anche raccontato che, durante il trasporto dei detenuti (ad esempio in tribunale), gli agenti, oltre alle manette, usano un cinturone di cuoio con fibbia, e legano tra loro i piedi del detenuto con due cavigliere di cuoio, chiuse con lucchetti e unite tra loro con una catena. Infine un guinzaglio di cuoio, fissato con una manetta a uno dei polsi, tenuto all’estremità dall’agente di scorta lo unisce al carceriere. I reclusi sono obbligati a lavorare “a tempo pieno” in carcere per 50 euro al mese, e i detenuti stranieri non sono retribuiti. L’avvocato Eugenio Losco che la difende dall’Italia, ha sottolineato che le è stato proposto un patteggiamento a 11 anni “che ha ovviamente rifiutato, perché si dichiara innocente e perché questa è una pena altissima per un reato che nel nostro paese viene punito con 2 anni e 4 mesi.” Il 29 gennaio si svolgerà la prima
udienza ma «Non succederà nulla, la Procura ufficialmente presenterà le prove e chiederanno a mia figlia se si dichiara colpevole o innocente rispetto all’imputazione” cosa succederà poi non si sa. «Dal 7 settembre scorso Ilaria ha un cellulare abilitato a chiamare la famiglia e 70 minuti a settimana. Può chiamare solo lei, ma rispetto ai primi
trentacinque giorni di tortura carceraria, abbiamo la possibilità di sentirla».- ha dichiarato suo padre alla stampa, sottolineando tuttavia che la figlia versa in un grave stato di malnutrizione.
Benché Amnesty International abbia attenzionato il caso e malgrado gli appelli della famiglia alla Presidente del Consiglio, al Ministro degli Esteri e al Guardasigilli, così garantista a parole, nulla è stato fatto da parte del Governo a tutela di una cittadina italiana. Invece una petizione di solidarietà su change.org ha sfondato le 40 mila firme,
l’opinione pubblica si è schierata, i media stanno iniziando a dare grande risonanza a questa vicenda.
Purtroppo l’odissea di Ilaria è destinata a durare: Le carenze strutturali del sistema carcerario ungherese, dove peraltro nel 2023 si è registrato il numero più alto di detenuti dal 1990, sono state più volte evidenziate dal Comitato Helsinki Ungheria e da Amnesty International: sovraffollamento, cattive condizioni igienico-sanitarie, anni
di investimenti insufficienti e scarso ricorso a misure cautelari alternative.
Su questa situazione e in attesa di ricevere ulteriori informazioni da parte ungherese, la Corte d’appello di Milano ha negato l’estradizione di un altro cittadino italiano, Gabriele Marchesi, raggiunto dagli stessi capi d’imputazione di Ilaria Salis. Il sostituto procuratore della Corte ha anche sottolineato la sproporzione tra la relativa modestia dei fatti contestati e l’enormità della pena prospettata.
Il secondo aspetto preoccupante, segnalato dai legali e dalla famiglia di Ilaria Salis, riguarda la mancata traduzione di una parte degli atti processuali, incluse le perizie mediche sulle persone ferite, al momento accessibili esclusivamente in ungherese, nonché l’impossibilità della detenuta di visionare i video depositati come prove incriminanti: circostanze, queste, che violano il diritto a un processo equo, sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e da norme derivate.
I legali ungheresi di Ilaria Salis hanno più volte presentato istanza per chiedere che le misure cautelari fossero svolte nel paese di residenza dell’imputata, in ottemperanza alla Dichiarazione Quadro 2009/829/GAI del Consiglio, ma le richieste sono sempre state rigettate senza che l’ambasciata italiana, nonostante esplicita richiesta della famiglia, facesse alcun atto concreto per appoggiarle.
L’organizzazione dei nenonazzisti “aggrediti” – da parte sua – ha aperto la caccia alla donna sui social, pubblicando le sue foto!