Il premier incaricato Pablo Sánchez si appresta a presentare in Parlamento il suo Governo, dopo il fallimento del PPe: per riuscirci deve risolvere il problema dell’amnistia per gli insorti di Catalogna: i voti dei due partiti regionali catalani sono essenziali per mettere in piedi la maggioranza. All’amnistia si oppongono non solo il PPe, ma anche Vox e i nazionalisti di tutta la Spagna che non sono disposti a pagare questo prezzo. Sanchez dispone del consenso di Sumar, piattaforma di 15 forze progressiste guidata dal ministro del Lavoro in carica, Yolanda Díaz; è riuscito a negoziare con gli altri partiti regionali l’appoggio al Governo in cambio di concessioni che riguardano gli interessi dei territori che essi rappresentano, ma fuori dagli accordi è ancora Junts per Catalunya (JuntsxCat), di centrodestra, partito indipendentista catalano.
Soddisfatta, come parte dell’accordo per l’elezione della Presidenza del Parlamento la “pregiudiziale linguistica” posta dai tanti partiti regionali, quando il 20 settembre, col debutto dei lavori d’aula passò la cosiddetta riforma – express, per cui oggi le lingue co-ufficiali, sono, oltre al castigliano il basco, il catalano e il galiziano, il vero scoglio è
oggi costituito dall’amnistia per i fatti di Catalogna del 2017, che la destra non vuole assolutamente concedere.
D’altra parte, nell’imminenza delle elezioni europee, la protezione internazionale accordata a Puigdemont, già Presidente dell’autonomia catalana, in quanto eletto al Parlamento europeo, sta per scadere e lo espone ad un possibile arresto da parte della giustizia spagnola. Ma la questione non riguarda solo il leader catalano, perché ci sono un migliaio di funzionari comunali e autonomici indagati o rinviati a giudizio per aver seguito le indicazioni di dirigenti politici, il che significa dover procedere alla celebrazione di processi per anni e la continua riproposizione di una frattura che non serve più nemmeno al PPe, né agli indipendentisti catalani, anzi impedisce nel complesso a tutti di governare.
Si tratta di capi d’accusa con i quali sono costretti a misurarsi tribunali nazionali e europei che hanno respinto domande di estradizione per i leader indipendentisti, giudicando esagerate le ipotesi di reato e non trovando equivalenti nelle loro legislazioni che consentissero ai giudici di pronunciarsi. Non solo, ma presto i procedimenti giudiziari saranno al vaglio del Tribunale europeo dei diritti umani. Pertanto, per riportare a una gestione politica la questione catalana occorre qualcosa, come un’amnistia, che potrà essere o non essere un referendum, o provvedimenti legislativi che non possano essere smontati dai giudici e dalle verifiche di legittimità e costituzionalità, come già avvenuto, e che riportino la gestione della questione alla politica.
Occorre tener conto del fatto che i partiti indipendentisti catalani, nelle ultime elezioni regionali del febbraio 2021 avevano superato insieme il 50% dei consensi; l’ERC aveva ottenuto il 21,3% dei voti, JuntsxCat il 20 %, la Candidatura popolare unita (CUP), di estrema sinistra, il 6,6 %. In totale i tre partiti avevano ottenuto 74 seggi, superando
abbondantemente la maggioranza assoluta di 68 deputati al Parlamento regionale. Avevano dunque potuto formare il governo regionale, ma se si guarda ai risultati delle elezioni politiche del luglio scorso, Sánchez ha dimostrato di essere l’unico capace di riuscire a contenere l’autonomismo catalano, tanto da aver ridotto il consenso ai partiti secessionisti nella regione ad appena il 20%, prova ne sia che il vero vincitore riconosciuto delle elezioni in Catalogna è il PSOE che ha dimostrato di essere la sola forza politica in grado di gestire oggi la richiesta autonomista, ridimensionandola.
La questione dell’amnistia
Il voto nazionale del 23 luglio ha segnato la fine del bipartitismo in Spagna. Dal voto è uscito un Parlamento frammentato in cui nessuno dei due principali partiti, ma neanche dei due blocchi, può governare autonomamente. La maggioranza assoluta è di 176 seggi su 350, ma a partire dalla seconda votazione basta che i sì superino i no; Feijóo
leader della Destra ne ha 172 — PPe (137), Vox (33) e difficoltà a trovane altri. Sánchez ne ha 152 — Psoe (121) e Sumar (31) —ma si è assicurato l’appoggio di Coalición Canaria (Cc, 1), dell’Unión del Pueblo Navarro (Upn, 1), di Esquerra republicana de Catalunya (Erc, 7), EH Bildu (6), Partido nacionalista Vasco (Pnv, 5) e Bloque Nacional gallego (Bng, 1), ma per raggiungere la maggioranza, a Sánchez servono i voti di Junts (6), con cui la trattativa è in corso e riguarda l’amnistia.
In questa situazione una legge di amnistia, il riconoscimento e il rispetto della “legittimità democratica” del movimento indipendentista catalano e la creazione di un meccanismo di verifica dei futuri accordi politici delle comunità autonome con Madrid sono tra le principali precondizioni poste dai catalani che non solo gli esponenti della destra hanno descritto come un “ricatto politico” allo Stato centrale spagnolo, ma anche alcuni vecchi leader dei socialisti.
L’amnistia e la grazia a coloro che sono stati coinvolti negli eventi dell’ottobre 2017 e un referendum sull’autodeterminazione della Catalogna, comunque, sono le due principali precondizioni che pone di JXCat per votare a favore del governo Sánchez.
La destra, gridando al tradimento, tanto che Feijóo è arrivato al Parlamento in corteo e sembrava di vedere una sorta di “Quarto stato” – in cravatta e vestiti griffati – imporre la propria presenza, occorre dare una risposta politica. Il leader del Ppe era affiancato da sindaci e presidenti delle Comunità autonome a guida PPe, avanzava, schierando la forza dei territori contro un futuro governo per far capire che la sua opposizione sarà durissima. Per Lui, d’altra parte, si tratta di un percorso obbligato per recuperare consenso, anche nel suo partito, rispetto alla Presidente della Comunidad de Madrid,
Isabel Díaz Ayuso (PPe), sua rivale politica per la leadership del Ppe e ritenuta più a destra di lui.
Ai vecchi leader del PSOE, che ritengono inaccettabile il ricatto proposto, si fa notare da parte di Sánchez e degli alleati di Sumar che non è la prima volta che per superare lo stallo politico e la trasformazione dello scontro politico in giudiziario la Spagna ricorre all’amnistia. La legge approvata durante la transizione della Spagna verso la democrazia prevedeva un’amnistia per i prigionieri politici sotto la dittatura di Francisco Franco e un’ampia gamma di reati che potevano essere condonati, tra cui atti politici, di ribellione e di sedizione – due punti particolarmente controversi nell’attuale “dibattito sulla Catalogna”. Il testo concedeva inoltre l’amnistia alle autorità, ai funzionari e agli agenti delle forze dell’ordine che avessero commesso reati nel perseguimento di atti politici o avessero violato “i diritti degli individui”, insieme a altri reati.
Questo è quello che ha fatto notare, a sua volta, il leader separatista catalano Carles Puigdemont, autoesiliato in Belgio dal 2017, del partito Junts Per Catalunya (JXCat), che ha esposto la scorsa settimana le sue condizioni per iniziare a negoziare con Sánchez e spianare la strada a un nuovo mandato del candidato socialista.
Un governo dal fiato corto
Quanto durerà un governo con una maggioranza così complicata e con i rapporti interni cosi’ precari?
L’opposizione di Feijóo, del sistema mediatico madrileno sarà – l’abbiamo detto – durissima e senza esclusione di colpi, tesa a logorare Sánchez, utile, al tempo stesso – a tenere insieme il PPe. La forza di Sánchez sta nel fatto che se il suo Governo sarà privo del sostegno necessario, la Spagna dovrà probabilmente indire nuove elezioni entro il 14 gennaio 2024, e questo al momento nessuno lo vuole.
Che si tratti su un provvedimento che potrebbe essere un’amnistia oppure o che si chiami così o diversamente, prima o poi, qualcosa che potrà essere o non essere un referendum, sancirà il percorso per riportare alla politica la questione catalana. Il tutto, senza accrocchi legislativi che possano essere smontati dai giudici e dalle verifiche di
legittimità e costituzionalità e a condizione che non vengano accolte richieste come quelle provenienti da alcuni settori indipendentisti, irricevibili e suicide come quelle di reati che nulla hanno a che vedere con la politica, come quello di falso in bilancio e in atto pubblico per appalti concessi ad amici, come quelli per i quali è stata condannata l’ex presidente del Parlamento Laura Borràs.
Quel che sembra certo è che il Psoe, con Sánchez, è riuscito a interpretare i tempi nuovi, mentre il PPe comincia a vedere molto l’entamente l’iceberg costituito dal fatto che per far fronte alla crisi del bipartitismo il Partito popolare e ricorso all’alleanza con l’ultra destra, pretendendo di svolgere il ruolo di partito a vocazione maggioritaria e non a calcolato che la sua crescita sarebbe avvenuta a spese proprio di Vox, mettendo in crisi quella formazione di destra che il suo vecchio leader José María Aznar ha fortemente voluto e contribuito a creare con la sua Fondazione per l’analisi e gli studi sociali (FAES), proprio al fine di condizionare dall’esterno, spostandolo a destra, il Partito popolare del quale egli aveva perduto i controllo e sperava di riconquistare per il tramite della sua pupilla, la presidente della Comunità di Madrid Isabel Díaz Ayuso. In altri termini Feijóo si ostina a fare il leader di un partito che è suo solo in parte, come prova il fatto che all’indomani della vittoria elettorale i militanti, sotto il balcone sul quale si esibiva la leadership del partito vittorioso, era la Ayuso che invocavano!
Ma anche sul cammino di Sánchez non sono pochi gli ostacoli, tanto che, allo stato, il risultato più probabile di questa corsa al Governo sono nuove elezioni. Rimane però il fatto che Sánchez ha dimostrato di essere un combattente in grado di mobilitare i suoi elettori e di contribuire non poco alle fortune della sinistra in Europa, concorrendo nel porre un argine all’avanzata dei populismi e delle destre con un’alternativa di sinistra, sia pure riformista, per quanto riguarda la tutela dei diritti, delle condizioni materiali, dei salari, del lavoro e dello stato sociale. In ogni caso la sua rimonta nei consensi e l’esito elettorale contribuisce non poco a mantenere aperto il confronto la perimetrazione della maggioranza in Europa dopo le ormai prossime elezioni. E di questi tempi non è poco!
G. C.