Il pantano africano

L’intenzione dichiarata del governo Meloni di agire in Africa come subagente della politica degli Stati Uniti e dell’Europa, di fatto candidatosi a succedere al ruolo a suo tempo svolto dalle ex potenze coloniali nel Continente, impone di prestare particolare attenzione alla crisi in atto della Repubblica del Niger, paese situato all’interno dell’area del Sahel, che è quella che divide l’Africa Mediterranea da quella centrale e australe.
Quest’area presenta caratteristiche peculiari che è opportuno ricordare perché poco conosciute nel nostro paese a causa del disinteresse costante per l’Africa e i suoi problemi.
Il Sahel è costituito da un insieme di paesi, disegnati sulla configurazione degli insediamenti delle potenze occidentali e nati come conseguenza della dominazione coloniale, a seguito delle decisioni assunte dalla conferenza di Berlino del 1884, con la quale le grandi potenze dell’epoca (Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti) decisero di procedere alla spartizione delle zone di influenza e di penetrazione in quella parte del continente africano ancora inesplorata. Tuttavia, quest’area aveva caratteristiche peculiari ben definite in ordine alla afferenza religiosa, agli usi, costumi e tradizioni culturali, perché era stata oggetto della penetrazione islamica, che era avvenuta, a partire dal XII° secolo attraverso la nascita delle confraternite islamiche, di orientamento sufi, che professavano un islam mite e tollerante, particolarmente adatto a penetrare in un’area culturale dominata dall’animismo e da religioni naturiste, le cui
consuetudini e riti vennero in larga parte inglobati nelle regole delle confraternite costituite dai diversi feki (Marabutti, maestri spirituali) che col tempo dettero vita a comunità religiose, ricoprendo nel contempo il ruolo di capi politici delle comunità. [1]
Funzionamento e strutture delle confraternite si rivelarono particolarmente adatti per penetrare nelle società autoctone poiché i maestri sufi trasmettevano principi e praticavano l’insegnamento per via orale, in perfetta coerenza con la tradizione di vita comunitaria di quelle popolazioni, testimoniavano la loro religiosità attraverso la misericordia e l’esempio di vita frugale, rivendicavano la capacità di guarire e compiere miracoli, si servivano delle interpretazioni dei sogni e di apparizioni notturne per colpire la credulità popolare, vantando per questa via la loro comunione con il Dio, disegnavano per i fedeli una via, ovvero un insieme di comportamenti e di regole. che avrebbero dovuto loro garantire la possibilità di raggiungere il paradiso.
Così operando l’islam era riuscito a stabilire il controllo politico sull’area, ibridandosi almeno in parte e in misura sempre maggiore mano a mano che la presenza islamica si estendeva verso il sud del continente.

La colonizzazione dell’Africa

Lo sviluppo e la penetrazione occidentale nel continente africano conobbe la strada degli insediamenti sulla costa, spesso utilizzati come empori commerciali o punti di appoggio per la navigazione. Qui vennero creati luoghi di raccolta di schiavi provenienti dall’interno dell’Africa, razziati dai potentati locali, che vennero utilizzati come manodopera a nessun costo per la colonizzazione dell’America del Sud e degli Stati Uniti, mentre non irrilevante fu il flusso di schiavi verso i possedimenti coloniali d’Oriente. L’insediamento sul continente inizio solamente più tardi, con la penetrazione
verso l’interno e l’allargamento progressivo dei possedimenti costieri mano a mano che si procedette all’esplorazione dei territori interni. La diffusione del cristianesimo come religione dei colonizzatori accompagnò e supportò questo processo, iniziò quindi in epoca più tarda e procedette dall’Africa australe e centrale verso il nord, con insediamenti di missionari delle Chiese cristiane, sia cattoliche che protestanti.
Nell’area del Sahel, solo a partire dall’Ottocento, alla presenza animista e islamica, si tentò di sostituire la conversione forzosa al cristianesimo, in modo massiccio, con una presenza non irrilevante di confessioni religiose cristiane protestanti che nel tempo si sono evolute, a loro volta, verso trasformazioni ed ibridazioni originali, dando vita a
Chiese che si sono fuse con la cultura locale e le tradizioni del territorio.
Ricostruire la storia pregressa dell’Africa ci aiuta a capire perché quella del Sahel è l’area nella quale oggi si combatte il tentativo di reislamizzazione, messo in atto dall’islam radicale, soprattutto wahabita, che ritenendo l’islam di quest’area degenerato, ha preso su di sé la bandiera della lotta alle disuguaglianze e al sottosviluppo e contro lo sfruttamento coloniale, sostenendo che il degrado dell’area è dovuto alle scelte religiose, al tradimento dei principi e delle pratiche ortodosse dell’islam, nelle quali solo sta la salvezza dallo sfruttamento e dal degrado morale delle popolazioni.
Ecco perché esso propone la lotta alla cultura occidentale, alla scolarizzazione, alle conversioni, il recupero dei costumi tradizionali, la sottomissione della donna, il ritorno ai principi originari e fondanti dell’islam come il solo rimedio alla situazione attuale. Si spiegano così l’attivismo nell’area di movimenti come Boko Haram, i frequenti rapimenti di giovani donne, i loro sposalizi forzosi, la riduzione in schiavitù, l’incendio di scuole, la distruzione di edifici di culto, i massacri di intere comunità. [2]                                        In questa sua azione l’islam radicale è contrastato, anche militarmente, dalle potenze occidentali che, poiché esercitano un controllo rilevante sull’area, sfruttandone le risorse, soprattutto minerarie, vedono minacciati i loro interessi.
In particolare, è nota la dipendenza dell’industria nucleare francese ed europea dai rifornimenti di uranio proveniente dal Niger che ne è uno dei principali produttori, anche per non dover ricorrere all’uranio proveniente dalla Russia – non a caso escluso dalle sanzioni e dall’embargo – malgrado la guerra in Ucraina.

La crisi del controllo francese e la crescita della presenza cinese

Nel procedere alla spartizione dell’Africa le potenze coloniali hanno, in una prima fase, lottizzato i loro possedimenti, per procedere poi ad espellere progressivamente la Germania, dopo la Prima guerra mondiale, e, già nella prima fase di decolonizzazione, il Portogallo, mentre le ex colonie inglesi e francesi sono rimaste – chi più e chi meno –
sotto il controllo egemonico delle ex potenze coloniali, mascherato dietro una apparente indipendenza, peraltro faticosamente raggiunta, ma complicata dalla presenza sempre più rilevante negli Stati Uniti. Sono stati necessari decenni perché questi rapporti si affievolissero al punto che ancora oggi non possono dirsi del tutto esauriti.
In una fase ancora successiva hanno fatto la loro comparsa nel continente cinesi e russi. I primi, Datano la loro presenza fin dal 1965 con il primo viaggio in Tanzania di Zhou Enlaii. Le relazioni sempre più strette hanno anche conseguenze politiche: molto spesso i leader di vari Stati del continente sono quelli che hanno ricevuto formazione
politica da funzionari del Partito comunista, come l’attuale presidente dello Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa. L’Africa è così importante per la Cina che è tradizione che ogni anno il primo viaggio all’estero del ministro degli Esteri cinese abbia come destinazione il continente africano.
In questi sessant’anni la politica cinese verso l’Africa si è distinta per una massiccia penetrazione economica e commerciale, particolarmente efficace, caratterizzata dal proporsi come realizzatori di infrastrutture utili ai diversi paesi, ottenendone in cambio la gestione per un buon numero di anni, realizzando per questa via l’infeudamento economico del paese all’area di commercio cinese. Aziende cinesi hanno costruito nel continente oltre diecimila chilometri di tratti ferroviari e autostradali, decine di porti, centrali elettriche, ospedali, scuole, nonché edifici religiosi come il minareto di Algeri o pubblici come la sede dell’Unione africana di Addis Abeba, cioè il centro istituzionale africano per eccellenza.
Nel 2022 la Cina si è confermata il primo partner commerciale del continente con 282 miliardi di dollari di interscambio, in aumento dell’undici per cento rispetto al 2021 ed è stata generosa, al punto da persistere nelle relazioni commerciali, nonostante la difficile situazione debitoria di diversi Paesi. Nel dicembre 2022, da ultimo, è stato sottoscritto un accordo per la creazione di un collegamento ferroviario con Simandou (Guinea), sede del principale giacimento di minerale di ferro in Africa e il porto della capitale Conakry.
La Cina domina nettamente anche l’estrazione di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, che da sola possiede circa il cinquanta per cento delle riserve globali. Si tratta di un materiale fondamentale per lo sviluppo delle auto elettriche, settore in cui, non a caso, le aziende cinesi sono leader. Nei primi mesi di quest’anno è stato dato il via ai lavori in un grande giacimento petrolifero nell’Uganda occidentale con il coinvolgimento di due società statali cinesi, la Offshore Oil Engineering Co. e la China Petroleum Engineering & Construction Corp e tanti altri esempi si potrebbero ancora fare. Ne consegue che la presa della Cina sul continente è quando mai solida.

La presenza russa in Africa e nel Sahel

Un approccio diverso ha utilizzato la Russia per stabilire la propria presenza sul continente, a far data dalle lotte dei movimenti di liberazione contro la dominazione coloniale. Già da allora l’Unione Sovietica, alla quale lo Stato russo è oggi subentrato, ha assicurato appoggi politici, finanziari, militari, ai diversi movimenti di liberazione nazionale, stipulando, ad indipendenza raggiunta, accordi commerciali e politici di sostegno alle nuove entità statali. La Russia ha ereditato questa presenza politica e militare ed oggi si distingue nel fornire ai diversi governi dell’area appoggio militare e
sostegno ai regimi che via via si sono insediati, al seguito della crisi delle fragili e deboli democrazie di stampo occidentale, create con il sostegno degli ex colonizzatori.
Volendo procedere alla mappatura della presenza russa sul continente occorrerebbe poter disporre di molto più spazio di quello disponibile in questa sede: una ricostruzione articolata e puntuale dell’esistente è impossibile da realizzare degli spazi disponibili. Basti qui, però, richiamare l’attenzione su quella che è oggi la situazione nei diversi
paesi del Sahel per capire la natura dei problemi da affrontare e quali sono i possibili scenari di fronte ai quali si trovano i paesi occidentali e si troverà in particolare l’Italia, dal momento che intende imbarcarsi nell’avventura africana, ripercorrendo le strade ingloriose delle armate italiane nel continente.
Restringendo la nostra attenzione all’area del Sahel e procedendo da ovest a test, troviamo il territorio della Mauritania militarmente occupato dal Marocco, nel quale è in corso da anni una feroce repressione della popolazione, mentre il POLISARIO (Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e del Río de Oro) cerca di opporre all’occupante marocchino una disperata quanto isolata resistenza, priva del sostegno internazionale, malgrado la palese violazione dei diritti umani in tutto il territorio e la negazione di ogni più elementare libertà politica. [3]                                    Addentrandosi nel continente segnaliamo che subiscono l’attacco dell’islam radicale sia il Mali, paese di antico insediamento islamico e di grande patrimonio culturale, ascrivibile a un islam mite e dialogante, caratterizzato dalla presenza di una grande cultura, dotato di un prezioso patrimonio di manoscritti, frutto delle trascrizioni arabe gli antichi testi, non a caso oggetto dell’opera iconoclasta di distruzione della cultura, messa in atto dall’islam integralista, che predilige darne alle fiamme le antiche biblioteche. Per resistere a una guerriglia che era riuscita a operare una saldatura tra
rivendicazioni di componenti etniche locali (tuareg) e fondamentalisti islamici, sono intervenuti la Francia (con truppe e bombardamenti della Ecovas (Economic community of West African States) alla quale appartengono 15 paesi africani dell’area. L’intervento si è dimostrato inefficace, provocando una crescente crisi all’interno di Ecovas – con le defezioni del Ghana, Guinea-Bissau, Sierra Leone e Liberia e la sospensione dello stesso Mali – per cui sembrano essere venuti meno gli strumenti per un intervento di parte occidentale. Anche per questo motivo oggi il governo del paese è retto da una giunta militare che si è affidata per la propria sicurezza alla Wagner e al sostegno della Russia.
Accanto adesso il Burkina Faso, paese che dal 1983 ha vissuto fino al 1987 – Presidente Thomas Sankara – una breve ma intensa esperienza di riforme sociali rivoluzionarie che ne avevano completamente cambiato le condizioni di vita e di benessere delle popolazioni, rendendo il paese autosufficiente dal punto di vista alimentare, grazie a riforme di redistribuzione della terra e di gestione democratica e popolare del potere.
L’intervento congiunto di Francia e Stati Uniti ha portato nel 1987 all’omicidio del Presidente in carica e di sette suoi collaboratori e all’inizio di una serie di colpe militari che hanno progressivamente devastato il paese, ripristinato il potere delle multinazionali che ne sfruttano l’agricoltura, ma al tempo stesso posto le basi per lo sviluppo di una opposizione al potere egemonizzata dall’islamismo che si presenta come la soluzione estrema ai problemi sociali del paese. L’estremismo jihadista ha tuttavia trovato forti resistenze a livello sociale. ma le passate esperienze politiche
vissute dalla società del Burkina Faso sembrano aver posto le basi per degli anticorpi capaci di reagire ad un tempo, sia alle ingerenze occidentali che all’estremismo jihadista, che di fatto distrugge – come si è detto – i valori culturali tradizionali del paese ascrivibili a un islamismo mite e tollerante. In questa situazione, nel 2022, un colpo di Stato di militari che hanno combattuto contro il jihadismo, ma che si richiamano alla tradizione della sinistra nel paese prende il potere e chiede e ottiene il sostegno internazionale della Russia.
Se lo sguardo si volge invece alla costa est dell’Africa, sempre guardando alla stessa latitudine e procedendo verso il centro del continente, troviamo immediatamente a nord i paesi del Corno d’Africa, con Somalia ed Eritrea, devastati dalla guerra civile e dall’islamismo più radicale e, in parallelo, la presenza all’estremo est dell’Etiopia, paese
anch’esso sottoposto all’influenza russa, uno dei più importanti e popolosi del continente che ambisce a svolgere un ruolo di potenza locale nell’area. Retto da un governo che ha sposato la “teologia della prosperità” e dilaniato dal conflitto interno con la regione del Tigri, il paese deve fare i conti a sud con una forte influenza dell’islamismo e delle “corti islamiche” che rivendicano spazi di potere autonomo di gestione della società. [4]
Procedendo verso occidente si incontra il Sud Sudan, paese nel quale esiste una presenza rilevante e dichiarata della Wagner che controlla lo sfruttamento minerario del paese, peraltro poverissimo ma ricco di miniere d’oro, argento, diamanti, coltan, tungsteno, uranio, rame e altri minerali preziosi, seguito da uno Stato altrettanto instabile, il Ciad, paese tormentato dalla violenza politica e dai ricorrenti tentativi di colpo di Stato, economicamente poco sviluppato, tra i più poveri e corrotti del mondo. La maggior parte dei suoi abitanti è dedita a una agricoltura di sussistenza e il paese, con una popolazione totale poverissima di 18 milioni, è invaso da 1,13 milioni di sfollati: una delle più grandi popolazioni di rifugiati dell’Africa. Di questi, 800mila sono sud sudanesi, 126 mila eritrei, 58mila etiopi, ospitati principalmente in due campi a est del Paese. La sua economia, una volta basata sulla coltivazione del cotone è oggi costituita dalle esportazioni di petrolio verso la Cina. Anche questo paese è retto da una dittatura militare che pratica frequenti abusi quali, esecuzioni extragiudiziali, incarcerazioni arbitrarie, mentre le forze di sicurezza e le milizie armate reprimono le libertà civili.[5]
Fra le due parti del continente – appena descritte – restava in Niger, che costituiva un cuneo che, partendo dal cuore del continente, costituito da uno degli Stati più popolosi di esso, la Nigeria, si proietta verso i confini con la Libia e costituisce il corridoio naturale attraverso il quale transitano le popolazioni in fuga dal Centro Africa e dai territori limitrofi ad Est e ad ovest di esso, prima descritti, dai quali le popolazioni sono costrette a fuggire a causa delle guerre e della povertà assoluta che vi regna. Da questa situazione discende il ruolo strategico del Niger come via migratoria, principale dato di fatto che ha portato a localizzarvi presidi militari francesi, statunitensi e italiani, finalizzati dichiaratamente alla stabilizzazione del paese, ma in realtà proiettati a cercare di controllare e ostacolare il flusso migratorio, facendo da cerniera al transito delle popolazioni in fuga. Il colpo di Stato in atto nel paese mette in crisi questa presenza e aumenta la destabilizzazione dell’area, permettendo a chi, come la Russia, controlla i paesi a latere di esso, di guardare con interesse non solo le sue risorse economiche, ma anche al suo ruolo strategico nel contenere la massa di popolazioni africane destinate a riversarsi verso l’Europa.

Meloni l’africana

Il “piano Mattei”, progettato dal governo di centro destra italiano, si colloca in questo scenario e nella situazione di fatto ha scarse possibilità di avere una qualche efficacia, poiché concepito rispetto ad uno scenario internazionale profondamente mutato, del quale il governo italiano non ha compreso né le caratteristiche né la complessità.
La crisi internazionale, innescata dalla guerra ucraina, ha accelerato la fine della prima fase della globalizzazione, ha prodotto un profondo mutamento dello scenario internazionale, complicato dal contemporaneo avvio di una profonda ristrutturazione economica e sociale che ha come centro l’Europa e che guarda con preoccupazione ai mutamenti climatici e ai problemi energetici, disegnando nuove priorità e nuove scelte economiche e strategiche.
Questa prospettiva di nuovi scenari economici, di nuovi equilibri, muove dalla convinzione che il modello economico esistente vada profondamente modificato a livello globale e sostituito con quella che potremmo definire una “economia curtense” [6] che ha alcune caratteristiche peculiari per quanto riguarda i volumi produttivi, gli scambi
economici, i flussi di merci, gli equilibri fra le diverse aree produttive, e mira al conseguimento del profitto nell’ambito di un modello produttivo che assume il riciclo come punto di riferimento e l’autosufficienza a isole produttive come obiettivo.
Il modello prevede delle economie, non più basate sull’alto valore della logistica e degli scambi tra le diverse aree produttive, che potremmo definire di scala, per alcuni versi autosufficienti, che partono dalla convinzione che il mondo è articolato a placche, delimitate da comuni interessi, disegnate sul doppio criterio fisico-continentale, o costituite da isole economico-culturali, in qualche modo omogenee, nelle quali si verificano convergenze e comunanze di interessi, che possono anche dar vita a organismi istituzionali.
Il processo è complicato sul piano politico dal contestule e contemporaneo tentativo di alcuni Stati di ricostruire ambiti di dominanza imperiale, riproponendo antiche configurazioni geopolitiche, plasticamente rappresentate da tentativi come quelli della Turchia, della Gran Bretagna, della stessa Russia, dalle ambizioni di alcuni Stati islamici e quant’altro, e tutto questo non senza che si siano ridimensionate le ambizioni dell’imperialismo americano ancora convinto di riuscire a mantenere il controllo dei paesi del cortile di casa – – centro e Sud America e di essere la potenza egemone nel pianeta. In altre parole, sembra avviarsi alla fine del suo ciclo storico la forma Stato-nazione per assumere altre sembianze che meglio rappresentano gli interessi economici e commerciali prevalenti in quest’epoca.
Nell’intento di semplificare e dare un’idea più compiuta dei nuovi possibili scenari proviamo ad indicare alcune delle possibili entità che si vanno delineando, tra le quali possiamo certamente annoverare l’Europa stessa fino agli Urali, la Russia, la Cina, dell’India, mentre costituiscono placche di carattere storico-culturale semi – imperiale quelle che si aggregano intorno alla Turchia, avendo come proiezione almeno parte di quello che fu l’impero ottomano, l’area dei paesi arabo-islamici, l’area del Pacifico australe, quella che ruota intorno al Indonesia e al mare cinese meridionale, mentre
ancora indefiniti sono i confini e le dislocazioni dell’America Latina, che tuttavia ruota intorno all’area economica rappresentata dal gigante brasiliano, e l’area africana che ha certamente nel Sudafrica uno dei poli di riferimento, mentre il resto del continente è, non a caso, scosso da continue turbolenze, perché costituisce area di confronto e di contesa tra diversi competitors.
Una rappresentazione plastica dei nuovi equilibri che si vanno approntando è costituita dalla crescita continua e costante dell’aggregazione dei BRICS che vede aumentare le adesioni, al punto che la gran parte dei paesi del Africa mediterranea sono ormai collocabili in questa orbita o ambiscono ad entrarvi a pieno titolo, sottraendosi ad altri tentativi di coordinamento economico e commerciale. Ciò fa sì che, in questo contesto così, mutato vi siano crescenti difficoltà per un attore come quello Italia ad ingaggiare relazioni di partnership con i paesi del Nord Africa e ancora maggiori, se non impossibili, sono le difficoltà a crearne di costruttive con i paesi del Sahel che, come abbiamo visto, sono politicamente e militarmente sottratti ad ogni possibilità di condizionarne o anche semplicemente di influenzarne le politiche economiche
e di gestione del potere.
Se possibile una maggiore distanza vi è poi fra quello che potrebbe essere il ruolo dell’Italia nel proporsi come partner economico commerciale e di collaborazione per investimenti paritari e di cooperazione con i restanti paesi dell’Africa, ancora più distanti – se possibile – dalle influenze sia dell’Italia singolarmente presa che dal nostro paese
come subagente degli Stati Uniti da una parte e dell’Europa dall’altro.
Ciò è tanto più vero se si pensa alla difficoltà dell’Italia di vedere accettata la sua proposta di farsi punta di diamante di una politica europea verso il Mediterraneo, mentre appaiono decisamente improbabili gli impieghi di risorse politiche e di capitali di provenienza statunitense che vogliano utilizzare il trampolino italiano come bypass della loro politica di investimento in Africa e questo anche perché l’Italia non ha decisamente quella capacità militare di supporto di cui disponeva un tempo la Francia per sostenere il suo ruolo internazionale e la sua politica di investimenti e di partnership.
Sono questi motivi che fanno della proposta sull’Africa della Meloni un’utopia nostalgica, che tragicamente ripercorre i sogni imperiali del nonno Benito alla conquista dell’Africa, in una versione moderna riveduta e corretta, che il neofascismo italiano si propone, riscoprendo una propria missione storica ideale di ricostruzione dell’impero.
Il fascismo italiano e il suo immaginario, il mito di Roma imperiale, è duro a morire.

Gianni Cimbalo

[1] G. Cimbalo, Le confraternite islamiche nei Balcani: un modello di Islam europeo plurale, in “Daimon”. Annuario di diritto comparato delle religioni, Il Mulino Bologna, 2009, pp. 225-245.; ID. L’Africa in miniatura. Prime note su diritto e religione in Camerun, Diritti culturali e religiosi tra Africa ed Europa (a cura di F. Alicino e F. Botti), Giappichelli Editore, Bari, 2011.
[2] La Redazione, Il fondamentalismo islamico moderno, figlio della globalizzazione, Newsletter Crescita Politica, N. 68, ott. 2014, http://www.ucadi.org/2021/03/28/il-fondamentalismo-islamico-moderno-figlio-della-globalizzazione/                                    [3] G.L., Colonialismo marocchino, Newsletter Crescita Politica Ucadi, Numero 169 – Marzo 2023, http://www.ucadi.org/2023/03/22/colonialismomarocchino/                        [4] Dr. Artam. Etiopia: problemi interni e attori internazionali della crisi, Newsletter Crescita Politica, n°141, 13 dice. 2020, http://www.ucadi.org/2020/12/13/etiopia-problemi-interni-e-attori-internazionali-nella-crisi/; ID., Etiopia: conflitto interno e destabilizzazione del Corno d’Africa, Newsletter Crescita Politica, N. 139, nov. 2020.
[5] E. P., Sudan, una guerra alle porte di cas, Newsletter Crescita Politica, N. 171, Mag. 2023, http://www.ucadi.org/2023/05/29/sudan-una-guerraalle-porte-di-casa/                  [6] UCAd’I, Analisi della fase 2022, Newsletter Crescita Politica, N. 163, set. 2022, http://www.ucadi.org/2022/09/29/analisi-della-fase-2022/