Quando nel 1922 il fascismo andò al potere i liberali pensarono riutilizzarlo per liberarsi della canaglia rossa, per poi gradualmente ammansirlo e farlo rientrare nell’alveo istituzionale. Com’è noto l’operazione non riuscì e fu piuttosto il fascismo a liberarsi anche dai liberali e ad assumere definitivamente il potere con la sopraffazione e la violenza, instaurando la dittatura. Questa volta il capitalismo è stato più prudente e ha preparato l’avvento del fascismo al governo in modo molto più accorto, anche forte del fatto che la canaglia rossa questa volta era stata già ampiamente disarmata da anni di politica fallimentare della sinistra che aveva distrutto l’opposizione nelle fabbriche e nelle piazze, restringendo la propria azione in una sterile litigiosa presenza all’interno delle istituzioni, governando in nome e per conto del capitale, senza avere il consenso esplicito del proprio elettorato a farlo, anzi tradendone gli interessi.
Va il merito al governo Draghi di aver predisposto, in nome e per conto del capitale economico e finanziario, una rigida camicia di forza economica che restringesse al minimo le disponibilità di bilancio e la possibilità di variare le diverse voci di spesa, che gli ha consentito di fare da mallevadore all’ascesa al governo del fascismo al quale ha assicurato una possibile copertura internazionale, grazie al controllo istituzionale che l’adesione all’Unione europea consente, concertando l’operazione con l’alleato statunitense (si ricordino i suoi viaggi in USA alla fine del suo mandato), garantendo che da una parte che il fascismo al governo avrebbe rispettato i patti, dall’altra che l’alleato, “fratello maggiore”, avrebbe fornito le coperture internazionali necessarie. Complice la guerra, l’operazione si può dire oggi perfettamente riuscita e il governo Meloni, fascista, per alcuni versi fascistissimo, governa sovrano incontrastato.
Questa volta ha fagocitare il fascismo è stato il liberismo, trasmettendo al governo che ne è interprete tutti i caratteri di governo dei padroni che garantisce il profitto, assicurando all’Italia un quadro di stabilità economica che permette di mantenere alti gli indici di produttività, basso il costo del lavoro, lasciando mano libera all’esecutivo di tentare di ristrutturare il rapporto tra ceti e classi in Italia e di ridefinire il profilo della nazione, ridisegnandola ed espellendo dal suo vissuto, dal suo passato, dal suo DNA, la lotta attraverso l’azione diretta per l’uguaglianza o almeno la tendenza a realizzarla, la solidarietà, l’umanità, la libertà, delle persone e dei costumi, respingendo insomma quel mondo nuovo fatto di dignità del lavoro e di libertà civili che è stato il precipitato del secolo appena conclusosi.
È questa l’ottica nella quale bisogna leggere la politica di ogni giorno e allora riusciamo a vedere i risvolti di tanti piccoli accadimenti che, se presi di per sé, ci sembrano incomprensibili. Vale ad esempio la penna di riflettere e di spiegare la decisione della premier di scontrarsi con le banche, alle quali – per sua autonoma decisione – verrebbe imposta una tassa sugli extra profitti, con la motivazione che questi sono avvenuti utilizzando una posizione ingiusta di operatività sul mercato che ha permesso profitti stratosferici.
Premesso che la stessa cosa andrebbe richiesta a tutti quei gruppi economici e finanziari che hanno fatto lo stesso, operando nell’industria farmaceutica, sul mercato dell’energia, dell’industria bellica, sfruttando la pandemia e la guerra per potenziare il controllo sul mercato della distribuzione e della vendite di beni e servizi, il sistema ha già spuntato le unghie al provvedimento, che sulla carta avrebbe dovuto rendere qualche miliardo, ma che, per le improvvide capacità della timoniera e le contingenze della politica, finirà (dopo la nota del Mef) per renderne più e né meno circa un misero
miliardo.
Il problema è che la premier rimane un parvenu, estranea al salotto buono della politica e dell’economia, che, checché se ne dica, non conosce. Lo rende evidente la questione bancaria, considerando che la sua mossa ha prodotto una perdita di capitalizzazione delle banche calcolata in 8-10 miliardi. Avrebbe potuto semplicemente contattare il sempre disponibile eterno presidente dell’ABI, in quel posto da 10 anni, chiedendogli la disponibilità a trattare il contenuto del provvedimento e il gettito dell’imposta che sarebbe stato certamente maggiore e prodotto senza danni. Il fatto è che la premier è stretta dalle indisponibilità di bilancio e di risorse e inoltre non aveva alcuna intenzione di trattare sull’utilizzo del malloppo, preferendo dedicarlo ad una distribuzione a pioggia concordata con i suoi sodali. Inoltre la premier aveva bisogno di mostrare il pugno di ferro, rivelatosi poi di burro, per parlare alla destra del suo elettorato, a quella destra
sociale che sta cercando di mandare politicamente un segnale, dicendo che il suo governo è pronto a combattere le forze plutocratiche, i banchieri, come ai tempi migliori del fascismo, anzi è pronta a rispolverare qualche indicazione da quelle che furono le scelte del fascismo morente della Repubblica di Salò, che volle caratterizzarsi per la promessa della socializzazione delle imprese, attraverso la promozione dell’azionariato operaio.
Quello che è tragico di questo governo è che esso non riesce ad uscire da una rimasticazione della storia, da un deja vu che si impone, costringendosi a ripercorrere i sentieri nostalgici di quello che fu il “duce degli italiani”, nel tentativo di ravvivare quella fiamma che mantiene nel simbolo del suo partito.
Il paese che loro vogliono
Il paese che il governo vuole è plasticamente rappresentato da quello che sta avvenendo in quel di Bergamo dove un ospedale privato offre la disponibilità di intervento immediato in un pronto soccorso riservato a chi è disponibile a corrispondere circa 150 € per la prestazione. In altre parole;:vuoi la tutela della salute, te la paghi; governo e padronato garantiscono una busta paga gonfia, detassata o almeno con una tassazione al minimo, ma poi ognuno per sé e quindi i più deboli, quelli che hanno bisogno, gli ammalati, le persone impedite sul posto di lavoro per un qualsiasi motivo, se la sbrighino da soli. Sembra un invito a condividere la teoria evangelicale tracciata dalla “teologia della prosperità”, la via alla salvezza attraverso il massimo profitto nella vita sociale, perché chi è in povertà è in peccato, perciò che paghi!
Il paese che la destra vuole è fatto di tanti gruppi e corporazioni che difendono i loro interessi, che si alleano di volta in volta per conseguire la grandezza della nazione, avendo come obiettivo l’autonomia e l’autosufficienza di coloro che abitano il territorio del paese, ma solo di quelli legati dal vincolo di sangue, radicati nella tradizione, membri di una società ordinata che vede nella famiglia tradizionale il fulcro della vita sociale, anche se poi ognuno sceglie di vivere le relazioni interpersonali come meglio crede, ma coperte dall’ipocrisia e dal perbenismo. Questa idea di nazione è qualcosa
di molto perverso, di moralmente e eticamente inaccettabile, costituzionalmente incompatibile con il progetto di paese costruito dalla lotta di resistenza al fascismo; ma è proprio questo l’obiettivo principale del governo neofascista, quello di cancellare il ricordo di quella stagione di libertà, affinché mai più le classi subalterne osino alzare la testa.
Il paese che noi vogliamo
Non vi è dubbio che contro tutto questo il paese deve opporsi con tutte le sue forze e cercare di reagire mobilitandosi, assicurando al governo una stagione di lotte che non si attente e che dice di non temere. Purtroppo, al momento, questa sembra essere più una necessità e un desiderio che un’ipotesi reale, perché la sinistra istituzionale non ha
capito che o porta la lotta nelle piazze e nelle strade, e allora qualche possibilità di incidere c’è ,oppure il suo ruolo resterà sterile, inconsistente, debilitante, seminando sconcerto e frustrazione per l’incapacità di ottenere un qualsivoglia obiettivo.
I lavoratori devono sapere che le macerie che la guerra ha seminato, la distruzione e la morte portata ai popoli.
dovrà trovare un’interruzione, almeno momentanea. E sarà all’ora, grazie ai contraccolpi che trasmetterà la pace, sia sotto il profilo economico che valoriale, che si arriverà ad una resa dei conti e i popoli si domanderanno con forza quali sono le responsabilità di chi li ha condotti ad un disastro materiale e umanitario che sarà allora sotto gli occhi di tutti.
A dispetto di molti, emergerà un nuovo ordine mondiale e la promessa di disporre delle praterie ucraine da ricostruire e consolidare per investire e fare profitti, sarà impraticabile in un territorio disseminato di bombe, mine, dissesto geologico e idrologico, l’inquinamento e si scoprirà quindi che si tratta di un investimento sbagliato. Verranno al pettine le trasformazioni della struttura economica produttiva, indotte sia dalla rivoluzione green che da quella tecnologica, accompagnata dalla massiccia introduzione dell’intelligenza artificiale, che imporranno una riconsiderazione del ruolo del lavoro, del tempo lavoro, del rapporto fra lavoro e produttività, problematiche che non potranno che imporre una profonda riflessione anche relativa alla riconsiderazione delle strutture di governo e di gestione dei territori, in breve un ripensamento del modo di vivere e di far funzionare la società nella quale viviamo.
La Redazione