Il fondamentalismo islamico moderno, figlio della globalizzazione

Il fondamentalismo islamico moderno conosce oggi una nuova fase di sviluppo: quella successiva allo jiahdismo di Al Qaeda. Si tratta delle formazioni militari territoriali che stanno dando vita a “Stati” in formazione non solo tra la Siria e l’Iraq dove hanno assunto il nome di “Stato Islamico in Iraq e del Levante (EEIL)”, ma anche ai confini tra Mali Sudan e Libia, nel Nord della Nigeria, in Libia, e questa presenza si va espandendo. Le condizioni geopolitiche che hanno consentito lo sviluppo di queste entità politico territoriali sono tra loro diverse e per essere comprese meritano un esame specifico. Tuttavia tutti questi focolai di sviluppo del fondamentalismo islamico hanno in comune la presenza di combattenti che solo in parte sono costituiti dalla popolazione locale, ma ricevono alimento in uomini e finanziamenti a livello internazionale.
L’aspetto che qui vogliamo analizzare è quello relativo al reclutamento di combattenti provenienti dai paesi occidentali, figli di immigrati, ma anche convertiti, di origine dei rispettivi paesi di provenienza, i quali rispondono alla chiamata alla Jiahd con entusiasmo e, dismessa come un abito la loro vita precedente, indossano le vesti di combattenti in nome di una nuovo internazionalismo islamico.
La loro lotta non conosce confini perché le nazioni per essi non esistono, in quanto la comune fede e gli obiettivi di islamizzazione del mondo li uniscono e ne fanno un unico popolo dei fedeli che lotta per la ripresa dell’espansione dell’Islam, partendo dalla riconquista della dār al-Islām, quel territorio che a partire dal VI secolo conobbe la massima espansione dell’Islam. Non stupisce perciò che il massimo sforzo venga profuso in un’area, quella medio-orientale che ha costituito storicamente il centro dell’espansione islamica.

Il fondamentalismo islamico frutto della crisi delle religioni

Per comprendere i fenomeni che oggi abbiamo sotto i nostri occhi bisogna partire da alcune considerazioni. Innanzi tutto oggi siamo di fronte ovunque a un rinnovamento religioso che avviene operando una scissione fra religione e cultura. Questo fenomeno caratterizza sia il fondamentalismo protestante negli Stati Uniti come nel Sud America, dove fioriscono le Chiese neo pentecostali che si diffondono anche in Africa del sud, sia i movimenti fondamentalisti cattolici come le componenti salafite dell’Islam. Tutti questi
movimenti negano la cultura, la filosofia e persino la teologia, rifacendosi a una  interpretazione letterale delle scritture, sostenendo un approccio individuale alla verità, senza alcuna mediazione attraverso la tradizione, gli studiosi e le istituzioni religiose. La religione per costoro è fede; un sistema di precetti che segna il confine fra la comunità dei fedeli e gli altri. Il successo del neofondamentalismo in tutte le sue varianti si spiega in quanto esso propone e pratica l’idea di una religione “pura”, libera da qualsiasi influenza culturale. Questa posizione è in sintonia con la globalizzazione, intesa nel senso di liberazione da ogni contesto culturale, tradizione, prassi, comportamenti, preferenze, forme di consumo.
La religione dovrebbe essere costituita da un’insieme di rivelazione e interpretazione dei testi sacri, dispute teologiche che contribuiscono all’elaborazione di dogmi, che devono perennemente misurarsi con i processi di secolarizzazione e il mutare delle opinioni e gli stili di vita. Il fondamentalismo si caratterizza invece per la religiosità dei suoi adepti i quali accettano una verità immutabile e indiscutibile, che fornisce certezze, al di la del tempo e della storia, al fedele sul modo di porsi verso la sua religione.
Nei paesi musulmani tradizionali in passato il credente, che fosse più o meno  praticante, viveva l’appartenenza religiosa come un’ovvietà culturale, in quanto la società creava e riservava uno spazio apposito alle pratiche religiose. Ma con la sempre più accentuata secolarizzazione e lo sviluppo relativo di una classe borghese e di ceti medi si è registrata la diffusione di valori occidentali così che, anche se in una misura meno accentuata rispetto al musulmano che vive in Europa o negli Stati Uniti, coloro che si rifanno all’Islam devono riscoprire o definire in cosa consista per loro la religiosità. La condizione di appartenenza a una minoranza e la provenienza da un paese straniero costringono tutti – sia che si trovino in un paese “mussulmano” sia altrove, a una riflessione sull’effettiva essenza dell’Islam.

La crisi dell’utopia e il ritorno dei fascismi

Il fenomeno appena descritto coincide con la crisi profonda dell’utopia nel mondo globalizzato. A entrare in crisi sono soprattutto le strategie politiche per l’emancipazione sociale e la speranza per una società di liberi e uguali. La globalizzazione generalizza e omogeneizza i sistemi politici e istituzionali, rendendoli sempre più autoritari, unificando al ribasso i diritti, le condizioni di vita e di lavoro, azzerando i risultati di secoli di storia di lotte del movimento operaio. I nuovi bisogni di immigrati, classi subalterne, sfruttati non
trovano collocazione e cittadinanza nelle organizzazioni politiche della sinistra né riformista né rivoluzionaria e perciò si rivolgono alla comunità spesso riunita intorno a una appartenenza religiosa, così che la reislamizzazione non si manifesta oggi soltanto in Occidente, ma anche in molti paesi islamici. La religione viene chiamata a dare una risposta sul terreno sociale e lo fa in alcuni casi proponendo una ricetta collettiva, come è il caso della proposta politica dei fratelli mussulmani, riscoprendo la componente sociale dell’Islam, allo stesso modo di come fanno su altro versante i cattolici, attraverso forme di aggregazione politica che ricalcano le esperienze più conservative della dottrina sociale della Chiesa.
Ma c’è anche una risposta individuale che passa per la rinascita di formazioni di destra che si richiamano al sacrificio e al sangue come mezzo di palingenesi ed è la volta del risorgere di partiti e movimenti di stampo fascista e nazista, così numerosi oggi in Europa, caratterizzati dal culto della morte. Anche le organizzazioni islamiche si pongono su questo terreno offrendo un ritorno della religiosità che si manifesta, nell’idea di una rinascita attraverso la religione. I “rinati” dell’islam rappresentano oggi la gran parte dei fedeli dei gruppi fondamentalisti, Un “rinato” è un individuo che ha riscoperto la fede in sé e decide perciò di condurre una vita all’insegna di questa riscoperta, riplasmando cioè ex novo il proprio rapporto con la fede e la realtà. Egli trova nell’Islam l’approvazione del martirio e perciò non teme la morte, come fascismo e
nazismo ha anzi il culto della morte. Per costoro la vita non ha altro scopo che quello di preparare l’ascensione verso la salvezza e perciò vanno rimosse tutte quelle occasioni che possono distogliere la mente da questo obiettivo a cominciare dalla cultura e dall’istruzione, per finire alla musica e alle arti. La preoccupazione principale è la guerra, una guerra senza quartiere che finirà solo con il trionfo assoluto dell’Islam.
Quando oggi i giovani entrano a far parte di un raggruppamento neofondamentalista si ritrovano in un mondo in cui ricostruiscono la propria identità attraverso la religione, sulla base del proprio essere individuale.
Si tratta di un’esperienza molto forte che si osserva anche fra i fondamentalisti protestanti e in genere tra quelli di tutte le religioni. Tutte queste forme di fondamentalismo si basano sugli stessi principi: su una situazione di disagio sociale e/o esistenziale, l’individualizzazione delle relazioni sociali, la rottura dei contatti con la
famiglia, con l’ambiente di provenienza e la valutazione in termini positivi di queste rotture. Il fondamentalismo islamico ha saputo interpretare questo disagio sociale e inserirsi con una proposta concreta e immediata di affermazione della personalità di ognuno.

Le illusioni dell’occidente e la nostra proposta

Contro questo progetto politico l’occidente pensa di combattere con bombardamenti aerei, operazioni di polizia, interventi (improbabili, per ora) di eserciti e non vuole prendere atto di avere allevato, tenuto a battesimo, sdoganato, finanziato e sostenuto il fondamentalismo e in particolare quello islamico. Pensa di utilizzarlo, come tentò di fare con il fascismo e il nazismo, e non si accorge di coltivare la sua autodistruzione.
Queste forze sono per loro natura antagoniste al capitalismo e rappresentano una risposta autoritaria e regressiva alla società di mercato costruita dalla finanza internazionale, anche se non disdegnano di fare affari e intrattenere relazioni economiche con esse. Il fondamentalismo islamico propone un solidarismo individualista, discriminatorio sul piano della differenza di genere, negatore della libertà di pensiero e della evoluzione dei rapporti sociali e produttivi nella direzione della liberazione delle coscienze e dal bisogno. Richiede anzi l’accettazione della propria condizione sociale la quale discende dalla volontà divina.
Si tratta di soluzioni autoritarie ai problemi sociali che dividono gli esseri umani in caste, sulla base delle appartenenze religiose e propongono un ordine e una organizzazione sociale finalizzata a distogliere gli esseri umani da tutto ciò che è sperimentazione e conoscenza, liberazione delle coscienze e ricerca della felicità sulla terra, emancipazione dal bisogno per tutte le classi subalterne. Per costoro le verità rivelate e da essi interpretate forniscono la soluzione a tutti i problemi dell’esistenza sancendo la disuguaglianza tra gli esseri umani sulla base delle appartenenze religiose.
La speranza di cambiamento la ricerca della felicità, l’aspirazione alla libertà e all’uguaglianza fanno invece parte dell’essenza stessa degli esseri umani. Il bisogno di liberarsi dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo costituisce una aspirazione per noi irrinunciabile e pertanto è necessario costruire reti di solidarietà sociale inclusive di tutti coloro che sono sfruttati dal sistema capitalistico e versano in uno stato di bisogno. E’
per questo motivo che occorre rilanciare non solo le aggregazioni anticapitalistiche e anti imperialiste ma anche quelle in difesa dell’ambiente, della salute e del reddito delle persone, per garantire a tutti la migliore qualità della vita possibile La sinistra nel suo complesso deve perciò reimpossessarsi, soprattutto nel contesto europeo, della lotta per l’emancipazione dallo sfruttamento, la libertà e l’uguaglianza, proponendosi come alternativa credibile al capitalismo.
Un ruolo ben più importante in questa ripresa dell’opposizione di classe possono svolgere i comunisti anarchici promuovendo e sostenendo una utopia positiva costruita sui valori di libertà, uguaglianza, solidarietà ed emancipazione. Deve trattarsi però di una proposta strategica articolata e di sviluppo graduale, estremamente concreta, fortemente anticapitalistica e antimperialista, che deve promuovere l’uguaglianza tra i popoli, il rispetto delle identità, una gestione equa e solidale delle risorse. Per fare ciò il primo passo è costruire organizzazione dell’opposizione sociale, dare spazio ai lavoratori, ma anche a chi il lavoro non ce l’ha, agli immigrati a coloro che vivono sotto la soglia di povertà, raccogliendo le membra sparse dell’esercito sconfitto di proletari che vagano per le periferie del mondo e nelle città dell’opulenza capitalistica.
Come abbiamo più volte affermato abbiamo bisogno di un programma minimo che faccia ripartire il lavoro, che disegni nuove regole di convivenza basate sulla residenza nel territorio, sulla quale fondare l’esigibilità dei diritti, assicurando a coloro che vi abitano piena e responsabile partecipazione nella gestione delle attività sociale e degli strumenti di solidarietà, nel diritto al lavoro e all’esistenza.
Nella misura in cui sapremo rispondere a questa sfida contribuiremo fattivamente a sconfiggere il terrorismo e la disumanità della religione in tutte le sue forme.