Referendum: furto con destrezza

Per far fronte all’attacco ai diritti dei cittadini da parte della classe politica milioni di cittadini hanno aderito alla richiesta formulata da associazioni, movimenti e qualche partito di fare ricorso all’istituto referendario previsto dalla Costituzione per cancellare le norme relative alla reintroduzione del nucleare, alla privatizzazione dell’acqua, per abrogare la legge sul legittimo impedimento che consente a primo ministro di
non essere processato.
L’art. 75 primo comma della costituzione recita: “È indetto il referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”. In base al terzo comma del medesimo articolo: “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto,
e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”.
L’accorpamento voluto dalla legge in un’unica data dei quesiti referendari ha come effetto che tematiche particolarmente sentite come le prime due possono indurre al voto la maggioranza degli aventi diritto, consentendo forse per tutti e tre le materie di raggiungere il quorum. Va ricordato che si tratta di un traguardo particolarmente difficile perché il 50 per cento più uno del corpo elettorale significa che anche coloro che
abitualmente si astengono dal voto o ne sono impediti per motivi di salute o perché fuori della loro residenza vanno calcolati tra i votanti.

Forza e debolezza del referendum

E’ bene ricordare che con il sistema elettorale vigente la coalizione che ottiene la maggioranza relativa si vede assegnare il 53 % dei seggi e che quindi è bastato a Berlusconi disporre di circa il 37 % del corpo elettorale per poter governare. Da ciò consegue che per abrogare una legge votata a maggioranza da un Parlamento costituito con i voti di un terzo dei votanti necessita il voto della metà più uno del popolo italiano.
In questo modo la dittatura della maggioranza relativa propria della democrazia parlamentare, rinforzata in Italia dalla “legge porcata”, la legge elettorale così definita da colui che l’ha ideata, si difende dai cittadini per affermare la prevalenza della delega sulla democrazia diretta.
Proprio perché necessita di tanti voti il risultato referendario dovrebbe avere più peso di una normale legge del Parlamento. Invece i risultati referendari vengono puntualmente ignorati e sovvertiti da una successiva legge, come è avvenuto con il referendum che vietava il finanziamento pubblico dei partiti, introducendo i rimborsi elettorali!
Questa volta tuttavia il governo ha pensato bene di risolvere il problema alla radice intervenendo prima del referendum per bloccarlo. Come è noto il Presidente del Consiglio ha pubblicamente dichiarato di essere convinto che la maggioranza degli italiani si sarebbe recata alle urne per cassare almeno le norme relative al
nucleare. Vedendo quello che è successo in Giappone la gente ha infatti capito che cosa può succedere in caso di incidente nucleare e quindi non è disposta a correre rischi.
Inutile dire che abbiamo centrali nucleari intorno ai confini: primo perché gli effetti di un incidente sono catastrofici nel raggio di un centinaio di khilometri e poi perché questo dato riguarda le regioni del Nord del paese e non tutta l’Italia, mentre è certo che tutto il territorio italiano è sismico e quindi soggetto ad incidenti del tipo di quello giapponese. Dunque non solo il nucleare non è sicuro, ma è anti economico, come riconosce lo
stesso Tremonti, a causa del problema dello stoccaggio delle scorie (sono cose che dicevamo già nel 1975 nel libro AA. VV. I nucleodollari, Costi e rischi dell’energia nucleare, Firenze, CP, 1975).

La truffa del Parlamento e le responsabilità del Presidente della Repubblica

Tuttavia le lobbies nucleariste non intendono rinunciare agli affari e ai contratti già stipulati e allora inventano l’abrogazione delle norme attuative del programma nucleare ma includono nella stessa norma la possibilità di ripristino di quanto hanno “abrogato” semplicemente consultando il Parlamento e le Regioni senza un obbligo di rivotare appena riterranno che vi siano le condizioni idonee.
E’ del tutto evidente che non si tratta di un’abrogazione ma semplicemente di una sospensione della legge e che quindi il provvedimento adottato non soddisfa il quesito referendario che chiedeva invece la cancellazione della legge. Il provvedimento non va quindi nella direzione di quando richiesto dal quesito e ciò dovrebbe indurre la Corte di Cassazione a confermare lo svolgimento del referendum, nonostante il provvedimento del Parlamento.
Ma prima della Cassazione la parola spetta al Presidente della Repubblica il quale deve decidere se firmare il Decreto nel quale la norma è inserita e perciò di fronte ad un’illegittimità così palese – confidano in molti – il Presidente non dovrebbe firmare.
Noi non siamo di questo parere e cogliamo l’occasione per ricordare che Giorgio Napolitano proviene dall’area cosiddetta “migliorista” del PCI. Egli, in piena guerra fredda, venne accolto negli Stati Uniti d’America nonostante la legge sul divieto d’ingresso per i comunisti. Inoltre è l’estensore della legge Turco-Napolitano sull’emigrazione che rappresenta uno dei provvedimenti più tristi sull’emigrazione, certamente peggiorato dalla Bossi-Fini ma poi non di molto. Napolitano fa sì il “guardiano della Costituzione” ma poi è colui che ha concesso un mese di tempo a Berlusconi per reclutare i “responsabili” in Parlamento, attraverso la compravendita di senatori e deputati.
Soprattutto Napolitano è colui che – come il suo socio D’Alema – in violazione dell’art. 11 della Costituzione ha portato l’Italia in guerra con una decisione del Consiglio Supremo di Difesa da lui presieduto.

Cosa fare

Per i motivi esposti sui referendum e la loro attuazione si sviluppa una battaglia che va ben al di la dei quesiti referendari. E’ in gioco la persistenza di quel poco di democrazia diretta contenuta nella nostra Costituzione, nei fatti avversata da tutti i partiti, come dimostra la vicenda di Bologna dove il Comitato dei Garanti, con il sostegno di tutti i partiti, ha negato perfino la possibilità di raccogliere le firme di un referendum comunale consultivo che chiedeva di vietare finanziamenti alla scuola privata. La motivazione è stata che non essendoci il Consiglio Comunale, perché il Comune è commissariato, non si può dare corso alle procedure referendarie perché il referendum deve essere di volta in volta consentito da coloro che sono stati eletti.
Insomma la democrazia diretta è soggetta a autorizzazione della classe politica!
Per questi motivi noi crediamo che i quattro referendum (nucleare, due sull’acqua e legittimo impedimento) meritino il nostro voto e il nostro incondizionato sostegno e perciò ritorneremo ancora sui quesiti referendari prima del voto.

Giovanni Cimbalo