OSSERVATORIO ECONOMICO

serie II, n. 11, aprile 2011

R&S – Che l’Italia non investisse in Ricerca era ben noto a tutti, tranne che al Ministro Gelmini, che poche sere fa in televisione è caduta dalle nuvole quando le è stato annunciato da un parlamentare dell’opposizione che il taciturno Ministro dell’economia del suo stesso governo aveva intenzione di fare ulteriori economie sull’istruzione. “Tremonti me l’avrebbe detto!”, ha esclamato incurante del ridicolo. In effetti (Il Sole 24 ore, a. 147, n° 107, 19 aprile 2011, p. 5) la spesa pubblica italiana per ricerca è al di sotto della media europea (0,56% del PIL, contro lo 0.65%), molto al di sotto di quanto non spendano le tre economie più forti dell’Europa (1,04%) ed abbastanza meno degli Stati Uniti d’America (0,68%), il cui PIL non è certo paragonabile al nostro.
Ma ciò che fa la differenza, quella vera, sono gli investimenti privati: Italia 0,55%, media europea 1,20%, i tre paesi più industrializzati d’Europa 2,43%, Giappone 2,39% e Stati Uniti 1,87%. La miopia degli industriali italiani non ha riscontri, seppure provenienti da tradizioni non talmente oscure. La maggiore industria ex-italiana, la Fiat, dispone, ad esempio, di un management abilissimo nei ricatti, ma senza respiro strategico, se non finanziario. Tutto ciò a fronte di una crisi delle vendite delle auto prodotte dall’azienda che appare per i vertici un problema trascurabile.
Addizionale regionale – In Italia in media la sanità costa ad ogni cittadino 270 €. I dati forniti in un articolo del marzo scorso (Il Sole 24 ore, a. 147, n° 74, 17 marzo 2011, p. 8), offrono alcuni spunti di meditazione. Giustamente l’articolista, Saverio Fossati, fa notare che la crescita maggiore dal 2005 al 2009, cui si riferiscono i dati più recenti, è stata sensibilmente maggiore della media nazionale (+28,5%) nelle regioni col dissesto sanitario più evidente: Campania (82,3%), Sicilia (79,8%), Abruzzo (76,6%) e Lazio (71,8%). Scorrendo la classifica la Lombardia apparirebbe la regione più virtuosa, segnando addirittura un decremento (-0,1%), ma a ben guardare il mitico modello formigoniano costa al cittadino 280 €, cioè 10€ al di sopra della media nazionale. Quali
sono allora le regioni che gravano meno sulle spalle dei singoli? In ordine: Basilicata (174 €), Sardegna (185 €), Toscana (203 €), Friuli Venezia Giulia (204 €), Valle d’Aosta (209 €), Trentino Alto Adige (214 €), Puglia (215 €) e Marche (216 €). Come si può constatare vi sono anche regioni i cui servizi al cittadino non si collocano agli ultimi posti e che, con l’eccezione della Puglia, hanno registrato incrementi nel quinquennio inferiori alla media nazionale. Sull’efficienza del sistema lombardo molto ci sarebbe da dire; basti ricordare gli scandali delle cliniche che operavano i sani per ottenere i rimborsi o gli incidenti come quelli delle camere iperbariche. Resta il fatto che il ricorso massiccio alle privatizzazioni tornerà pur utile alla Compagnia delle Opere, ma non
rappresenta certo un risparmio per i contribuenti lombardi.
Analisi – Fabrizio Galimberti ((Il Sole 24 ore, a. 147, n° 81, 24 marzo 2011, p. 5) ha avviato una profonda riflessione sui motivi per cui l’Italia non cresce, o per dirla con le sue parole, per rispondere alla sua domanda sul “perché quando le cose vanno male, da noi vanno peggio” e “quando vanno bene, da noi vanno meno bene”. Le motivazioni addotte son in parte condivisibili (eccesso di burocrazia, miniaturizzazione delle imprese, rapporti tra pubblico e privato), facendo merito all’autore di non ripercorrere sempre vieti ritornelli monetaristi. L’asino cade sui dati, quando si cerca di dimostrare che il dato è talmente strutturale da essere insensibile alle tipologie di governo. Vediamo. L’articolo riporta due grafici sulla crescita, uno relativo agli ultimi
quarant’anni (1970=100) ed uno sugli ultimi dieci (2000=100). A prima vista la linea relativa all’Italia (confrontata con il complessivo mondiale, l’Europa, Gli Stati Uniti e il Giappone) corre sempre in affanno dietro le altre, ma affinando lo sguardo si scoprono alcune cosette interessanti.
Fino al 1998 l’Italia sopravanza l’Europa. Fino al 1990 solo il Giappone è di gran lunga più avanti degli altri (mondo compreso) e l’Italia è in linea. Il Giappone arresta la sua vertiginosa ascesa nel 1998 dopo di che cresce poco. Gli Stati Uniti decollano nel 1994 e forse le produzioni belliche hanno il loro peso in questa perenne ascesa. Dopo il 2002 la crescita mondiale è fuori dai paesi tradizionali (Europa, Stati Uniti e Giappone). Infine dopo il 2002 l’Italia è in continuo affanno rispetto agli altri, in compagnia di un Giappone che va leggermente meglio, ma che il recente terremoto piegherà pesantemente. Che Tremonti c’entri qualcosa?

chiuso il 22 aprile 2011
saverio