IL NUOVO È GIÀ VECCHIO

Comunque la si giri, il voto del 4 dicembre è stata una sconfitta epocale per il governo Renzi, per l’establishment e per una buona fetta delle classi dominanti che da un anno pompavano, con tutti i mezzi necessari, “legali” e non, al fine di conquistare il risultato di una riforma dalle caratteristiche caotiche e dalle finalità assai poco oscure e molto inquietanti.
Il Partito democratico, questo misterioso accrocchio, ultima sperimentazione del refrain postmoderno della “fine delle ideologie” (ovvero la permanenza di una sola ideologia, peraltro fallimentare), è ormai definitivamente defunto.
La destrutturazione del partito, nata già alla fine degli anni ‘70, paradossalmente con la crescita abnorme da parte del PCI (che incamerò settori importanti della borghesia “illuminata” italiana mandando già allora al macero ogni connotazione di classe) raggiunge adesso il suo climax con però la perdita di migliaia di tesserati (opzione scientificamente ricercata con le primarie aperte) e con sconfitte seriali ad ogni tornata elettorale.
Là dove il partito crebbe per accogliere la nuova classe media arricchita adesso si restringe per diventare una massa mobile con un solo capo.
Da qui era nata la necessità di confezionare un vestito su misura che incoronasse vincitore non chi avesse avuto più voti, ma la minoranza più scaltra che al ballottaggio avesse conquistato il trono del vincitore.
In una parola, anche se da comunisti anarchici non ci innamoriamo di nessun sistema elettorale, quella riforma sarebbe stata la pietra tombale su ogni percorso dialettico inserito in un contesto formalmente e giuridicamente “democratico”.
Una riforma su cui aveva messo la propria testa (e l’ha persa) il Presidente del Consiglio con modalità extrasistemiche del tutto fuori misura in occidente da quanto un Re, appunto, perse la testa.
In linguaggio borghese sarebbe equivalso né più né meno che ad un colpo di Stato “bianco” (ovvero, per il momento, senza spargimento di sangue).
E’ evidente che il risultato ha devastato e fatto imbufalire non tanto e non solo la classe politica ma quella dominante (che ha però fino a qui ottenuto tutto quello che voleva, o quasi) che dovrà necessariamente farcela pagare.
La situazione attuale, con la farsa del governo Gentiloni e la risistemazione dei patetici servi del capitale finanziario transanazionale nei posti chiave assomiglia molto alla molla che si ricarica in attesa della seconda esplosione.
La scomparsa, fino dal giorno successivo al referendum, nel linguaggio degli squadristi del PD, della parola “sconfitta” non preclude ad una transizione né facile né indolore.
La rivendicazione di un 40% del tutto inesistente, come inesistente è un reale consenso nel paese della poco allegra combriccola para-golpista (la gestione renziana non ha vinto UNA tornata elettorale significativa che sia una, se si eccettua l’inconsistente risultato delle europee del 2014, che, per gli italiani contano quanto la coppa del nonno) dimostra che abbiamo a che fare con una vera generazione di avventurieri pronti a tutto, chiusi nel bunker e in procinto di essere abbandonati dal Capitale (che, come si sa, oltre a non avere nome e cognome non è neppure scemo e si riposiziona sempre in maniera opportuna).
Avventurieri, peraltro, dozzinali, cialtroni, e inconsistenti. Una classe dirigente di mezze tacche che dalle stalle del nulla è salita alle stelle del potere duro e puro. Buttarli giù non sarà facile né gentile.
Anche perché il PD contiene una buona parte di veri e propri minorati politici, la base (non quella democristiana che sapeva dove era prima e sa bene dove stare ora) del vecchio PCI, la stessa inutile compagine di ottusi servitori che vedono sempre nel capo di turno il Lenin del momento. “La realtà è ciò che accade”.
Badate bene, accade, come un temporale od una grandinata. Ovvero il capitalismo come stato di natura.
Una pacata raccomandazione a molti compagni. Questi non servono più a nulla, abbandonateli perché sono persi ad ogni speranza. Se non veri e propri nemici di classe. Altro che “fascismo immaginario”.
E infatti, la tranvata è arrivata dai giovani, dall’hard-core di chi non vedrà mai né pensione né lavoro stabile, da quei giovani imbufaliti e senza speranza, ma non idioti o rincoglioniti dalla stampa cattiva. Non leggono, forse (e fanno pure bene), non studiano, non si informano, ma capiscono benissimo dove stia il loro nemico.
Il voto a favore della Costituzione è stato populista? É stato contro Renzi? (certo, ha fatto tutto da solo, di che si lamenta?), dei fascisti, di Casa Pound, dell’ARCI, dell’ANPI?
Sì è stato tutto questo. Una rivolta di massa pre-politica evocata dallo stesso capo del governo.
Ovvero dal fasullo populismo delle élite a quello vero.
Come nelle migliori commedie all’italiana, la farsa si tramuterà in tragedia. La contessa che ama il mangiare verace mangerà la verace monnezza preparata in cucina (come nell’episodio “Ostaria” dei “Nuovi Mostri”).
Le classi dirigenti perbene hanno dimenticato la realtà, che esiste sempre al di là delle “narrazioni” , hanno cercato di salvare il salvabile sposando il politically correct, i diritti civili, a scapito di quelli sociali. Tutto funzionale al mercato globale (ovvero matrimoni gay ma niente soldi agli operai, lacrimevoli interventi sull’immigrazione ma indifferenza sulla miseria delle periferie. Bella ricetta buona per tutti i regimi nascenti).
Il popolo, ovvero le classi sociali trasformate in plebe imbufalite, vede quello che vede e vive quello che vive.
E il giovane Renzi in questo appare il più vecchio di tutti. Si dimette ma rimane, rimane ma fa finta di non esserci. Ha ancora un aborto di struttura a cui deve rivolgersi, dispone di qualche fanatico pasdaran alla Bombacci (e la fine che fece è nota), ma non ha il popolo-popolo dalla sua.
La ggente è cattiva senza partiti, senza elaborazioni ideologiche, senza la consapevolezza della lotta di classe, appunto, gente, indistinta.
L’apprendista stregone nato dalle ceneri del PCI ha dato fuoco alla casta (da cui la classe dirigente di quel partito proveniva, a patto che esista qualcosa che si chiama casta) senza rendersi conto che aveva dietro di sé bidoni di benzina e davanti a sé attori politici con molti meno problemi di appartenenza, ovvero quel difetto che
da 30 anni il mainstream addebita a questo paese: troppa ideologia, si diceva, Bene, ecco la Jacquerie senza ideologia.
Evidentemente sono finiti tutti in un gigantesco cul de sac che ricorda “gli ammucchiati in discesa” di De Andrè.
Potrebbe essere pure, come si diceva sopra, che il Capitale si indirizzi adesso verso altri lidi (vedi la borsa che non è caduta né in Italia né in USA) e che un buona dose di razzismo, xenofobia, revanscismo territoriale non torni buono, specialmente se come ormai è chiaro, il capitalismo in fase finanziaria di tutto ha bisogno meno che lo Stato scompaia.
Quello che a me pare ragionevolmente certo è che la mela scossa dall’albero non cadrà nelle mani previste e che tutto questo affannarsi a demolire la Costituzione, i corpi intermedi, il lavoro, ha prodotto un humus non favorevole a qualunque classe dirigente, vista come la (K)asta di turno.
L’irresponsabilità del populismo dall’alto, contiene ovviamente una fortissima carica eversiva ma di tipo tradizionale a difesa delle élite finanziarie ormai odiate a qualunque livello e indifendibili oggettivamente.
Il tentativo renziano, in finale di una disastrosa campagna elettorale, di fare un po’ “l’antieuropeo” è la dimostrazione che qualche segnale era arrivato anche nel piccolo cervello di questa triste e mediocre classe dirigente.
E anche la farsa (o meglio la finta) di lasciare fuori i verdiniani dal governo Gentiloni dimostra l’assoluta estemporaneità (tardiva del resto) di questa classe dirigente che lavora sul minuto.
Ma la “ggente” non si fa prendere per il culo più di una volta e di fronte al falso populismo sceglie sempre quello vero. Un Renzi antieuropeo vale meno di un soldo falso.
Falso come l’euro.
Il panorama internazionale è radicalmente mutato, una intera classe dirigente è in procinto di fare le valigie e non c’è più traccia di sinistra che ha lasciato dietro di sé ormai solo macerie.
Abbiamo quindi una compagine di irresponsabili avventurieri che in 2 anni e mezzo ha portato a termine una serie di lavori sporchi, sporchissimi per conto terzi e per far questo è stata disposta a tutto, a demolire il proprio partito, ad attaccare a testa bassa tutte le strutture di mediazione tipiche di una società capitalistica complessa, arrivando anche a segare lo stesso ramo sul quale i suoi componenti sono stati sino ad oggi seduti.
I responsabili si sono dimostrati i più irresponsabili di tutti.
Il partito della nazione arriverà, ma non sarà quello che era stato pensato.
Di fronte al rumore e alle nuvole di polvere che sentiamo e vediamo arrivare c’è poco da stare tranquilli, il populismo di vertice ha giocato le carte in maniera così perfetta da dare tutte le mani vincenti al prossimo capitano di sventura.
E il nuovo appare ormai vecchio.

Andrea Bellucci