A palle ferme

Dobbiamo fare autocritica per le nostre paure sul risultato del Referendum. Non nascondiamoci che anche molti di noi erano convinti, temendola, di una possibile rimonta del si. Non c’è stata e questa è la prova provata che anche noi abbiamo perso il polso del paese, complice il fatto che la distribuzione del consenso verso Renzi è a pelle di leopardo, distribuito e concentrato in alcune particolari zone del Paese. Ma in questa sede non vogliamo fare l’ennesima analisi del voto ma ripartire da alcuni elementi per sviluppare le nostre considerazioni.
Il bullo di Rignano ringhia, ancora dopo la sonora sconfitta ricevuta. Si è rimangiato la scomparsa dalla vita pubblica (come era ovvio) e rimane sulla scena, dettando i tempi della politica dallo scanno di segretario del PD a fronte di una minoranza dispersa e incapace di proporre una politica alternativa. La loro scelta sembra essere quella di una lenta erosione delle posizioni del Capo attraverso attacchi ai suoi sodali, come l’immarcescibile ministro del non lavoro Poletti, che continua a magnificare il Job
Act e santificare l’uso dei voucher che hanno raggiunto la cifra di circa un milione e settecentomila apparentemente riservati al lavoro temporaneo ma che nascondono non solo il lavoro sottopagato o attività lavorative continue ma precarizzate, dividendo in mille rivoli il mercato del lavoro clandestino, in quanto ai percettori di voucher bisogna aggiungerne almeno altrettanti lavoratori clandestini totali.
Al momento un cono d’ombra protegge la Boschi, interessata a trovare all’interno dei provvedimenti di salvataggio del Monte dei Paschi di Siena la quota di risorse da destinare a Banca Etruria per risolvere i problemi di famiglia, vigilando sulle attività del Governo da una posizione strategica di sicura efficacia.
E’ invece e giustamente letteralmente scomparso il Presidente demerito, sul quale il voto referendario ha anticipato la sentenza della Storia, mostrandolo per quello che è stato: il principale artefice di scelte politiche che hanno ingabbiato il paese per 9 anni e l’autore di quelle scelte politiche scellerate che stanno alla base della profonda crisi sistemica del Paese. Il disgusto profondo per questo politico, cangiante già fascista in gioventù, poi “migliorista” nel PCI, poi “comunista” preferito di Kissinger – che lo sostenne facendogli da sponsor per le sue conferenze nelle Università americane – poi autonominatosi riformatore e interprete del “piano di rinascita” di Gelli nel tentativo di darle attuazione, è totale. Su di lui è ormai calata una pietra tombale e il disprezzo di
gran parte degli italiani. Ma a chi pensa di essersene liberato invitiamo a guardare all’attuale ministro per le riforme costituzionali come depositaria di proposte di modifiche dell’assetto istituzionale, frutto dello stesso disegno. La mala pianta continua a crescere e infetta la vita politica italiana!
Tutto come prima, dunque: il Governo renziloni non è che la brutta copia di quello Renzi con il compito di portare il Paese al voto, una volta che gli attuali senatori e deputati in carica abbiano maturato i fatidici 4 anni sei mesi e un giorno per assicurarsi il vitalizio!

La legge elettorale

Non si può votare subito grazie alla furbata del duo Renzi-Boschi di fare una legge solo per la Camera, dando per scontato che il referendum non poteva che essere vinto, lasciando ogni tipo di ostacolo tra i piedi degli oppositori. Ed ecco allora rispuntare tra le proposte di Renzi il cosiddetto Mattarellum, una legge elettorale nata per un sistema bipolare in un panorama politico divenuto almeno tripolare. Ci troviamo di fronte
a una proposta nata per contrastare la possibile vittoria dei 5stelle che reagiscono mutando radicalmente posizione sull’Italicum, divenuto ora accettabile per loro. Il problema è che la questione della legge elettorale è mal posta.
La scelta di un nuovo sistema di voto e di attribuzione dei seggi infatti non basta. Occorre affrontare e risolvere il problema del vincolo di mandato inserendo nel provvedimento quali sono le conseguenze di un eventuale abbandono da parte dell’eletto della formazione politica che l’ha espresso. Prevedendo l’automatica
decadenza di chi tradisce la delega ricevuta non solo farebbe in parte pulizia del trasformismo che caratterizza i politici italiani come classe ma sottolineerebbe la temporaneità educando al rifiuto della delega e all’azione diretta.
Altra e non distinta questione è costituita dalla revocabilità del mandato di fronte ai voltafaccia di che si è fatto eleggere su un programma e poi cambia orientamento. Il problema del controllo della delega può essere affrontato anche frammentando i tempi di elezioni ovvero prevedendo tornate di rinnovo parziale degli organi rappresentativi in modo da sottoporre periodicamente gli eletti al giudizio degli elettori.
Tuttavia il problema di fondo anche così non è risolto fino a quanto no si conferiscono poteri istituzionalmente rilevanti agli organi di gestione del territorio, caratterizzati da forti elementi di partecipazione, fino a quanto non si rilancia e si da attuazione al tema del lavoro, della sostenibilità della vita, di una gestione sana delle risorse, alla tutela dell’ambiente in una parola all’esistenza di forme partecipate di governo da parte
dei cittadini. Il cammino è certamente lungo ma l’incapacità della politica fattasi istituzione di risolvere i problemi sul tappeto, impone una discussione partecipata.
Venendo al nuovo Governo ben poco è possibile attendersi dai suoi membri per i quali non è difficile ipotizzare una cottura lenta sulla graticola del discredito. L’assalto della magistratura a tre anni di intrallazzi diffusamente messi in atto che hanno prodotto e producono veri e propri reati è appena cominciato e ne vedremo delle belle. Bisognerà andare a guardare con attenzione ai rapporti pregressi proliferati intorno a Banca Etruria e perché no alla gestione allegra del Monte dei Paschi, alle commesse pubbliche attribuite agli amici e agli amici degli amici, insomma a quella grande ragnatela di interessi che sosteneva il passato governo, del resto non più e ne meno dei Governi precedenti. La politica nella società dello spettacolo costa e i soldi
necessari a sostenerla devono pur essere trovati.

Le Banche e il padronato

Ha perso il Referendum e anche la Banca Morgan che era tra i soggetti che avevano progettato e vaticinato le modifiche costituzionali. E’ sfumato per questa banca l’intervento sul Monte dei Paschi di Siena una volta che il grande sponsor del suo ruolo, e cioè Renzi, è uscito di scena. La stessa sorte tocca alle altre consorterie finanziarie che sostenevano il Governo. Rimane il fatto che in una sera il Governo ha trovato ben
20 miliardi da investire a favore delle banche che aumentano il debito pubblico, e questo con il consenso dell’Unione Europea, ma non hanno mai messo a disposizione la stessa cifra per un effettivo rilancio dell’economia in investimenti pubblici, tutela del territorio, interventi a carattere sociale.
Anche il padronato è uscito scornato dall’avventura renziana e comincia a capire che partiti sedicenti di sinistra non costituiscono una garanzia per il raggiungimento dei loro obiettivi. E’ per questo motivo che questi gruppi di interesse guardano con rinnovata attenzione ai partiti della destra anche xenofoba, nella convinzione di riuscire poi a temperarli e a orientarli. E’ lo stesso errore che gli stessi gruppi fecero con il fascismo quando pensarono di governarlo e poi ne furono governati.
Tuttavia per vincere la marea montante della destra occorre una proposta politica e delle idee che non siano strumentali e contingenti come quella di procedere per aggiustamenti e piccoli passi che è poi la strategia della cosiddetta componente variegata della sinistra del PD. Occorre impostare uno scontro di idee e di programmi, assistita da una strategia adeguata senza la quale non si ottiene nulla. perciò attenzione a proposte di modifiche immediata del Job Act o sui voucher perché un mutamento del testo attuale della legge rischia di invalidare le firme raccolte per il referendum che come l’astuto Poletti ha notato costituiscono l’unica vera spada di Damocle sul collo della politica italiana. Andiamo ancora una volta allo scontro su un problema specifico e vinceremo!
Una politica di rilancio dell’occupazione, di garanzia di un reddito sociale va intrapresa, sostenuta da lotte e mobilitazioni che mancano da tanto tempo. E’ pur vero che il perdurare della fase recessiva in Italia non è la migliore condizione per riprendere la mobilitazione in quanto le persone si impegnano se vedono delle prospettive e nelle fasi di economia in crescita, ma la situazione politica generale è tale che si impone di
ricorrere all’ottimismo della volontà. Una svolta auspicabile della politica monetarie finanziaria della UE e l’abbandono del pareggio di bilanciò è essenziale per far ripartire gli investimenti pubblici che fungano da volano per la ripartenza dell’economia.

La Redazione