Figli di una buona … scuola

Lo zuzzurellone del Valdarno l’ha detto subito: “La scuola è la priorità!” Anche alla “Leopolda 5”, nel discorso conclusivo il 26 ottobre 2014, l’ha ripetuto che bisogna ridare al mestiere dell’insegnante dignità e prospettiva, affinché non divenga un ripiego, ma costituisca una vocazione per forgiare le future generazioni: sarà per questo, che in linea con i governi che lo hanno preceduto, ha bloccato ancora per un anno gli scatti
stipendiali e rinviato per il quinto anno l’avvio della contrattazione: ma si sa le vere vocazioni non necessitano della vile pecunia, non sono oggetto di bassi mercimoni.
Da un mese e poco più sono in linea, sul sito del governo, le linee programmatiche per la riforma della scuola, aperte a tutti i suggerimenti che perverranno nei due mesi concessi: tanto poi il governo stesso decide, accogliendo solo i suggerimenti funzionali e scotomizzando le critiche (tanto chi può controllare?), per successivamente tirare dritto e non retrocedere di un millimetro. Si tratta di 136 pagine fitte di effetti speciali
(faccine, disegnini, freccine, caratteri grafici estrosi, e quanto altro renda appetibile la lettura e non permetta di soffermarsi sugli argomenti). Questo non vuole essere un contributo, che verrebbe per altro bellamente ignorato, ma una disanima critica della luna lista di sogni.
a) Il primo capitolo parla della più massicce assunzioni di docenti mai tentata a memoria d’uomo (come ama esprimersi il premier su tutte le sue straordinarie iniziative). È già stato fatto notare (e tra le righe lo ammette anche il documento a p. 14) che ciò non deriva da una particolare bonomia dell’esecutivo dei miracoli, ma è un obbligo che entro breve cadrà sulla testa dello Stato italiano, che verrà condannato dall’Europa ad assumere i precari pluriennali a seguito a ricorsi che tutti ritengono presto vincenti. Renzi fa buon viso a cattivo gioco e volge la circostanza a suo favore cercando di
attribuirsene il merito, come è solito fare. L’occasione però si presta a prospettare grandi cose. L’organico funzionale fu già avviato in fase sperimentale all’inizio del secolo, ma presto abbandonato in quanto costoso. Si tratta dell’attribuzione alle scuole di un numero di docenti superiore a quello strettamente derivante dalla copertura dell’orario delle classi in esse funzionanti. Assumendo tanto personale (circa 150.000 docenti) si prospetta la fine delle supplenze annuali e quindi del precariato storico, la drastica riduzione delle supplenze temporanee e la copertura delle funzioni estranee
all’insegnamento, ma necessarie al funzionamento della scuola stessa. Nel frattempo il munifico governo sta provvedendo subito, tramite legge di stabilità, ad eliminare esoneri e semiesoneri per i vicepresidi, anche nelle scuole di oltre ottanta classi, anche nelle scuole senza un dirigente titolare (circa 1.500 su 8.513), per un totale di 3.723 posti. Per dimostrare lo sforzo economico che si intende fare per rendere più efficiente il sistema scolastico viene presentata (p. 34) una tabella che stima un costo per
l’anno scolastico 2015/2016 di 3.098 miliardi di €. Peccato che i conti siano platealmente errati, in quanto vengono stimate soltanto 26.000 supplenze risparmiate, cui corrisponderebbero 84.000 assunzioni di personale oltre la copertura delle supplenze. La realtà dei dati ci racconta che le supplenze che vengono attribuite annualmente sono circa 120.000 e quindi, rifatti i conteggi (Allegato 1.), le nuove
assunzioni si riducono a sole 28.200, cioè tre per ogni istituzione scolastica; come con tre persone si possano coprire supplenze temporanee e nel contempo far funzionare la scuola ed arricchire l’offerta formativa (musica, storia dell’arte e sport, pp. 23-24) resta misterioso. C’è di più. A p. 29 viene annunciato un nuovo concorso per adire alla professione docente, di cui a p. 32 viene fornito un esilarante “cronoprogramma”: pubblicato il bando nel marzo-aprile 2015, le prime assunzioni sono previste nell’agosto 2016. Si dà il caso che nel settembre 2012 è stato bandito l’ultimo concorso che è terminato due anni dopo e non 15 mesi dopo; e che il personale che ha permesso la sua effettuazione ha lavorato oltre il proprio orario di servizio, spesso sobbarcandosi anche faticosi spostamenti e che a tutt’oggi non solo non è stato retribuito (una miseria, circa 200 € per decine e decine di pomeriggi tra correzione dei compiti, esami orali, valutazione dei titoli e stesura graduatorie), ma non ha neppure ricevuto il rimborso delle spese di viaggio sostenuto: chi sarà disponibile a gestire il prossimo concorso a queste condizioni?
b) La seconda cantica del poema canta delle meravigliose opportunità di carriera per il personale docente. Finalmente il merito! Prima di tutto un aggiornamento permanente effettivo; per renderl o più incisivo sarà gestito da reti di scuole “inclusive”, cioè una rete che “comprende scuole di ogni ciclo” (p. 47), perché è ben noto che le metodologie didattiche sono indipendenti dall’età degli allievi ed i bambini di sei anni abbisognano di approcci didattici analoghi agli adolescenti di 18. Ed in primis “formazione dei docenti al digitale” (ibidem) perché è ben noto che ne sono del tutto digiuni; sono anni che nelle scuole sono presenti LIM (Lavagne Interattive Multimediali), già molte scuole hanno adottato il registro elettronico, le lingue si insegnano in laboratori informatici, negli istituti comprensivi si documentano le pratiche didattiche con l’uso di DVD ed il governo che ci traghetta al futuro pensa che ancora i docenti debbano passare attraverso l’alfabetizzazione digitale. Ma veniamo alle proposte qualificanti. A p. 51 viene proposta l’istituzione della banca ore: le ore”che ciascun docente guadagna [,,,] nelle giornate di
sospensione didattica deliberate ad inizio anno dal Consiglio d’Istituto” verranno utilizzate per un “potenziamento dell’attività didattica”. In sostanza poiché i calendari programmano un numero di giorni di didattica superiore ai 200 previsti dalla legge ed alcuni Istituti (una minoranza) ne utilizzano alcuni per sospendere le lezioni, queste ore, legittimamente non lavorate perché in surplus rispetto al contratto, vengono rimesse a disposizione della scuola; ma quello che è ridicolo è non tanto che ciò viene fatto
passare come orario dovuto, quanto l’esiguità del “tesoretto”: circa tre giorni in un anno corrispondono a 10 ore di banca ore “per potenziare l’attività didattica” a costo zero (l’equivalente di un corso di recupero). Vediamo come il taumaturgo rignanese risolve una volta per tutte l’annoso e dibattuto problema della misurazione del merito: i punti sono tre (p. 52). Il primo è la “qualità di insegnamento”: vedremo quale sarà il metodo di accertamento di una qualità così difficilmente ponderabile. Il secondo è quello dei crediti formativi che “si potranno acquisire attraverso percorsi accreditati, documentati, valutati e certificati”. per la felicità delle agenzie formative e la produzione di corsi inutili. Il terzo riguarda i crediti professionali ovverosia lo svolgimento di funzioni organizzative, come quella di coordinatore di classe. Ogni tre anni due terzi dei docenti, quelli che avranno accumulato più punti nel proprio portfolio, avranno uno scatto di 60 € netti al mese. Per una valutazione di quanto questo sia vantaggioso per la media dei docenti e sui risparmi che esso consentirà allo Stato, si rinvia all’allegato. Vi è anche prevista una curiosa conseguenza (p- 58), che viene presentata come un’opportunità per migliorare le scuole: la mobilità dei docenti. Il ragionamento è semplice; se io docente in una scuola di “bravi” (il termine sta nel documento governativo) non riesco a rientrare nel
66% di coloro che scattano, mi guardo intorno, cerco una scuola di docenti “incapaci” (questo termine non c’è) mi ci trasferisco nella speranza di salire di classifica; il documento presenta la cosa come l’inseminazione di bravi insegnanti nelle scuole che ne hanno una minore dotazione, dimenticando che quelli che vi si trasferirebbero sarebbero quelli con pedigree più scarso: quella che verrebbe disseminata sarebbe proprio ciò che viene considerata la parte peggiore della categoria.
c) Il terzo capitolo concerna il sistema di valutazione della scuola. Vi rientreranno: “ambienti di apprendimento, apertura verso il territorio, pratiche educative e didattiche, livello e qualità di quello che gli studenti avranno imparato, elementi socio-economici di contesto, ma anche informazioni utili per capire, ad esempio, se gli apprendimenti degli studenti incidono sulla loro scelta di proseguire gli studi o sulle loro chance di trovare un lavoro.” (p. 66). A parte che gli ambienti di apprendimento non sono una condizione che il singolo istituto è in grado di scegliere, si nota che ciò che conterà molto è la verifica
dei livelli di apprendimento degli studenti e lo sbocco formativo o lavorativo. Sono anni che un carrozzone ministeriale, l’INVALSI testa gli apprendimenti con risultati invero poco attendibili, su di una linea di condotta irta di ostacoli e che si spera venga abbandonata. Il ricorso agli ispettori accennato non tiene conto che essi sono in via di estinzione (per esempio in Toscana sono due): l’ultimo concorso, bandito nel 2008 per più di 100 posti ha portato ad effettuare una settantina di nomine nel 2014; nel frattempo quelli in sevizio sono andati in pensione. Ma il vero problema è che questo fantomatico sistema di valutazione, dai contorni ancora troppo sfumati, viene previsto come leva di un erogazione premiale per i migliori istituti (finanziamenti per il loro funzionamento) e per i relativi dirigenti scolastici. Ogni Istituto, infatti, elaborerà un “piano triennale di miglioramento che avrà al centro i risultati degli studenti, il loro apprendimento e successo formativo.” Così le scuole che grazie alla propria collocazione e alla propria tipologia (licei) avranno una popolazione scolastica selezionata per provenienza da una famiglia benestante in grado di garantire ambienti congrui di studio, strumenti di apprendimento e supporto genitoriale godranno anche di un aumento dei contributi statali ed i dirigenti collocati in una posizione più semplice da governare verranno premiati.
d) Il capitolo successivo è pieno di fantasia e dei relativi giochetti grafici. Vi si accenna alle nuove frontiere didattiche: educazione fisica (con tanto di tabella sui bambini in sovrappeso), musica e storia dell’arte; ed una grande attenzione al mondo digitale. Non vi è il minimo accenno ai quadri orario, vero perno di ogni riforma scolastica, e tantomeno alle risorse; ma si sa, questi argomenti terra terra tarpano le ali a chi vola troppo in alto per essere compreso.
e) Altra frontiera presa in considerazione, relativamente alla scuola secondaria di secondo grado e quello del rapporto della scuola col mondo del lavoro. L’intento meritorio, ma si infrange prima di tutto nell’ignoranza delle regole: a p. 108 si pensa di fare l’alternanza scuola-lavoro nei “primi tre anni degli istituti tecnici”, cioè dai 14 ai 17 anni, ignorando che nei primi due anni gli allievi non possono adire ai luoghi di lavoro per la loro età e che nessuna azienda è disponibile ad introdurli alla produzione. Altro
scoglio, non nuovo invero, è la prospettiva di legare la scuola al territorio ed alle aziende che vi operano: se ciò può funzionare per le produzioni di nicchia fortemente localizzate è per altro in aperta contraddizione con l’idea, altrove richiamata, della necessità nel mondo attuale di cambiare mestiere più volte nell’arco della vita lavorativa e di spostarsi liberamente anche a grandi distanze per trovare occupazione. Ma il punto di caduta più profondo è rappresentato a pp. 111-112, dal potenziamento dei laboratori per “il saper fare” con tutta l’enfasi posta sulla didattica basata sul “problem-solving”,
imparare risolvendo un problema; i fantastici laboratori che renderanno possibile tutto ciò dovranno contenere stampanti 3D, frese laser, componenti robotici, ecc., come si capisce subito strumenti utilissimi alla didattica; in particolare la stampanti 3D. Queste proposto rivelano un smisurato amore per l’innovazione tecnologica, non supportata, però, da un’equivalente conoscenza dei prodotti di essa.
f) Infine il sesto ed ultimo capitolo immagina un massiccio intervento di capitali privati nella scuola pubblica. A parte la considerazione se ciò sia proprio un bene, o se molto più probabilmente significherà perdere per l’istruzione pubblica la vocazione fondamentale a formare il cittadino, c’è da chiedersi se ci sia proprio questa corsa dei privati ad investire nella scuola statale. Se questo può essere vero per alcuni, pochi, istituti superiori con particolari legami al proprio territorio o ad aziende che vi operino, istituti peraltro già ricchi di risorse, chi mai vorrà investire nell’istituto comprensivo di una piccolo paese a vocazione rurale?

Allegato: Riflessioni su alcuni costi della “buona scuola”

La tabella a p. 55 raffigura la nuova carriera del personale docente di un’esigua minoranza: quei/lle docenti che per tredici volte consecutive rientreranno nel 66% di coloro che si vedranno attribuire lo scatto.
Poiché un terzo di insegnanti non beneficerà dello scatto triennale è evidente che in media uno scatto su tre andrà perduto. Nell’ipotesi più benevola che lo scatto a vuoto sia il terzo e non il primo o il secondo potremo riscrivere la tabella per la media dei/lle docenti come sotto. Si può constatare che nei primi anni (dal terzo al nono) la progressione di carriera è, sempre in media, più vantaggiosa; dal decimo al quindicesimo anno più o meno la vecchia e la nuova carriera si equivalgono; dal sedicesimo anno in poi la perdita mensile risulta via via crescente.

 

Nella tabella successiva si può vedere il guadagno nei primi anni e la perdita in quelli successivi negli intervalli (per lo più triennali) cumulata mensilmente.

Infine la tabella conclusiva mostra la perdita cumulata nello stipendio annuale. Occorre precisare che si tratta di cifre nette e non lorde. Un/a docente medio/a perde a fine carriera più di € 50.000 nette, che su circa 320.000 docenti di scuola secondaria corrisponde ad un risparmio netto per lo Stato di 16 miliardi e mezzo di Euro che
al lordo significano 500 milioni l’anno e circa altrettanto per i/le docenti della scuola primaria e dell’infanzia.

Altro problema riguarda i risparmi nella fase iniziale, che una pura lettura della prima tabella sembra rinviare a dopo il ventunesimo anno. La realtà è diversa. Nei primi tre anni di eventuale applicazione della nuova carriera nessun docente riceverà scatti, mentre nella vecchia circa metà di loro beneficerebbe di uno scatto. Considerando che la stragrande maggioranza dei/lle docenti entra in ruolo con vari anni di servizio precario e considerando la loro età media possiamo ipotizzare che quasi tutti/e si trovino già avanti nella carriera e che quindi debbano conseguire un passaggio di gradone ogni sei anni. Quindi un sesto della categoria scatta ogni anno, cioè circa 100.000 insegnati. Considerando uno scatto medio dell’attuale carriera sui € 100 netti (cifra benevola) per 13 mensilità si ottengono 130 milioni l’anno, che a lordo Stato sono più di 200 milioni.
Il punto dolente è però la tabella presentata nel documento “La buona scuola” a pagina 34. Ricalcoliamola con i dati reali relativi all’ultimo anno di riferimento, il 2013/2014.

* In milioni di €.
I calcoli sono stati rifatti accettando i parametri previsti nel documento. Come si vede dalle cifre l’esborso previsto per il prossimo anno scolastico si attesta in realtà a meno della metà di quello dichiarato e circa il 14% proviene dal risparmio derivante dalla cancellazione della carriera automatica per anzianità.
Per di più le nuove assunzioni, quelle che dovrebbero andare a costituire l’annunciato organico funzionale, si riducono a 3 insegnanti per ogni istituzione scolastica. È dubbio che possano riuscire a coprire tutte le supplenze temporanee; comunque il loro utilizzo in tal senso costituirà un risparmio che il documento governativo stima suo 350 milioni. Il 40% del costo della massiccia immissione in ruolo proverebbe dall’interno del sistema stesso. Se a questo si aggiunge il risparmio relativo alla soppressione degli esoneri e dei semiesoneri (altri 100 milioni) la percentuale di copertura sale ulteriormente ad oltre il 45%.
Il documento prevede un graduale aumento dei costi negli anni successivi, ma occorre tenere conto che i risparmi derivanti dalla nuova carriera saliranno molto più rapidamente: ad esempio nel secondo anno il risparmio per i mancati scatti di stipendio sale a 400 milioni e nel terzo a 600 milioni. Il quarto anno l’attribuzione dello scatto per merito comporterebbe una spesa di circa 500 milioni, ma la vecchia carriera sarebbe costata 800 milioni. Col progredire degli anni i risparmi, come visto, si faranno sempre più sostanziosi.

Saverio Craparo