Il puzzle Europa

Le elezioni europee fotografano un’Europa balcanizzata. Il disordine e la contrapposizione di interessi regna sovrana da Est ad Ovest e da Nord a Sud. Nei paesi dell’occidente del continente si acuiscono le autonomie territoriali e i movimenti indipendentisti verso gli Stati nazionali guadagnano terreno, mentre ad Est si vanno ridefinendo confini nazionali a fronte di Stati nazionali deboli e tutt’altro che coesi. Tuttavia, a differenza del passato, queste spinte non si ricompongono nella comune richiesta di adesione all’Unione, mentre gli Stati in attesa di adesione rimeditano con prudenza le loro scelte. Soprattutto da parte di questi ultimi vi è la consapevolezza che l’adesione all’Unione non porta necessariamente un miglioramento delle loro economie e delle condizioni di vita delle popolazioni ma anzi apre molte incognite sul futuro.
Il malessere diffuso è del resto testimoniato dal crescere dei così detti partiti euroscettici ai quali si affianca un fenomeno in parte diverso e a volte coincidente della rinascita in Europa di partiti di estrema destra quando non dichiaratamente nazisti. Fenomeni così complessi, per essere compresi necessitano di una analisi articolata per consentire di ricomporre con uno sguardo di insieme alcune considerazioni sulle prospettive di
evoluzione politica del continente.

La deriva nazista e fascista

Non è solo la crisi economica ad aver consentito e prodotto la rinascita nel continente di partiti di estrema destra, piuttosto l’impoverimento di larghi strati delle popolazioni ha fornito ad essi la base sociale, l’humus sul quale prosperare e costruire consenso. Ma ci sono sentimenti e pulsioni più profonde che spiegano il fenomeno soprattutto ad Est dove la lunga dominazione russa ha semplicemente congelato i problemi di elezioni etniche e sociali nel tempo senza risolverli. In particolare è per questo motivo che oggi la questione ebraica si ripropone in tutta la sua drammaticità. I governi del quarantennio bolscevico si erano limitati a concedere, all’interno e all’esterno dei confini dell’URRS l’espatrio degli ebrei verso Israele, alimentandone la crescita demografica con iniezioni di popolazione e si erano ben guardati dal permettere la ricostruzione delle comunità e il loro reinserimento nel tessuto sociale. Ciò avrebbe richiesto la costruzione di società aperte multietniche e multi religiose: un lusso che il Cremlino non poteva e non voleva permettersi.
La scelta era stata quella di “dosare” all’interno dei diversi paesi e nelle repubbliche federate le componenti delle popolazioni secondo la distribuzione delle diverse etnie in modo che queste si bilanciassero, consentendo al potere politico di manovrare attraverso una politica di alleanze e di sostegni di volta in volta modificabili a seconda della convenienza. Si era perciò operato attraverso spostamenti di confine come ad
esempio nel caso dell’Ucraina rispetto alla quale l’attribuzione della Crimea russofona doveva compensare l’annessione della regione di Leopoli, sostanzialmente polacca.
La politica russa-stalinista di bilanciamento delle etnie ha trasformato potenzialmente tutto l’Est Europa in un’area molto vicina ai Balcani in quanto a complessità di gestione del rapporto tra etnie, gruppi linguistici, tradizionali, culturali. Queste inconciliabili differenze producono oggi i conflitti ai quali assistiamo e che si presentano irrisolvibili nello schema di mantenimento della struttura dello Stato nazione. Si tratta di una
complessità difficile da comprendere soprattutto per governi come quello degli Stati Uniti che hanno un approccio imperiale ai problemi e che vedono la situazione sul campo con lo schema del controllo territoriale di scontro di frontiera secondo uno schema novecentesco delle relazioni internazionali salvo poi a veder entrare in
crisi la loro politica quando il diritto di autodeterminazione dei popoli applicato in Kosovo per volontà americana e della Nato viene invocato ora dalla Russia in Ucraina non solo riguardo alla Crimea ma a tutte quelle regioni che vedono la prevalenza di popolazioni di lingua e tradizioni russe sul territorio e che sono appartenute all’antico regno di Russ’ dove la storia russa ha avuto origine.
Il risultato non è dato solo dal conflitto e dalla guerra civile ma anche dalla forte affermazione elettorale e politica di forze e partiti dell’estrema destra soprattutto nell’area di frontiera di questi territori come nell’Est dell’Ungheria

La destra d’Occidente

Anche se i successi dei partiti di destra in occidente sono concomitanti con quelli dell’Est le origini e le ragioni sono differenti e in quest’ultimo caso risiedono nell’impoverimento della popolazione e in un crescente malcontento sociale, al quale alte formazioni politiche di centro e di sinistra (?) non sono in grado di dare alcuna risposta. Non può stupire il successo di Alba dorata in Grecia a fronte delle disastrose condizioni di vita della popolazione, né l’affermarsi a macchia di leopardo di analoghe forze in paesi come la Finlandia o la Danimarca che sembravano immuni da questi fenomeni. Anche nella ricca Europa del nord la crisi ha colpito e sta colpendo duro e in altri paesi assume la forma di un fascismo rivisitato e a doppio petto come in Francia e in Olanda e, perché no, in Italia e in Inghilterra dove assume le forme dell’euro scetticismo, innalzando la bandiera delle patrie rispetto a una dimensione comunitaria sentita come estranea da porzioni crescenti dell’opinione pubblica.
Le due componenti, quella di estrema destra e quella della destra istituzionale, ovviamente spesso si intersecano e si compenetrano ma sono destinate a dividersi su molte cose a livello istituzionale in sede di Parlamento europeo dove intendono svolgere una funzione di contenimento e di freno alle politiche comunitarie di integrazione. Ed essendo debole il processo unitario come la gestione delle scelte politiche queste forze sono destinate a mietere non pochi successi, con il risultato di una conseguente ulteriore crescita di consensi.
La loro pericolosità è frenata dalle forti contraddizioni interne e soprattutto dalla contrapposizione tra centralizzatori statalisti come i francesi e autonomisti come la lega Nord le quali hanno ricette diverse per le soluzioni da adottare ma potrebbero trovare una ricomposizione nella comune contrapposizione alla direzione politica impressa dalla maggioranza alla Comunità.

Il partito unico destra-sinistra-centro

La maggioranza degli eletti, rappresentata da popolari e social-progressisti costituisce una alleanza di tipo consociativo dedita alla gestione delle istituzioni comunitarie. In realtà le differenze politiche che le caratterizzano non esistono e un grande abbraccio e una comunità di intenti caratterizza queste forze nelle scelte comunitarie Con questi risultati elettorali la lottizzazione dei posti di potere si è fatta più problematica ma il
controllo delle istituzioni è ancora saldamente nelle loro mani e non vi è dubbio che lo eserciteranno, sia pure con crescenti difficoltà che verranno non solo dall’opposizione di destra ma anche dai conservatori inglesi e da quanti altri non si riconoscono dello staff burocratico di gestione della Commissione.
In particolare, venuta meno la stampella francese, la Germania dovrà adattarsi ad una protesi italiana per continuare a gestire l’Europa e le sue strutture politiche a vantaggio della propria economia. E’ per questo motivo che le politiche di rigore che hanno caratterizzato l’Europa sono destinate, probabilmente, ad attenuarsi.
La Germania dovrà cedere parte del suo potere di direzione ma certamente manterrà le redini della politica comunitaria, forte della propria situazione economica. Certo la sua politica è priva di un disegno strategico che non può essere costituito soltanto dall’associazione al suo mercato dei tedeschi dell’Est Europa.
E’ per questo motivo che lo scontro che si sta consumando ai confini con la Russia nei territori al di la del Dnepr attualmente parte dell’Ucraina è importante perché incide sulla possibilità di continuare ad avere gas e petrolio a basso costo attraverso il corridoio ucraino, possibilità messa seriamente in discussione non tanto e non solo dallo scontro in atto ma dall’accordo tra Gazprom e Cina grazie al quale gli sbocchi alle essenziali
vendite di energia della Russia sono assicuratele. Un aumento del costo dell’energia sarebbe disastroso per l’economia tedesca e potrebbe mettere seriamente in crisi la sua leadership politica nell’Unione.
Le considerazioni sommariamente accennate ci inducono a ritenere che l’apporto della componente dei democristiani tedeschi alla concreta azione della Commissione sarà quanto meno problematico e si caratterizzerà per discontinuità e incertezze.
L’altro anello forte della gestione della Commissione dovrebbe essere costituito dalla componente socialdemocratica all’interno della quale spicca per vuotezza di strategia e contenuti il leader italiano. Pensare che da questa componente possano venire scelte capaci di spostare il baricentro dell’azione della Comunità dall’Est al Sud, creando un’area di intervento economico sulla sponda sud del nord Africa oppure realizzando
una alleanza trasversale dei paesi del lato sud dell’Europa è pura fantasia. Manca la forza politica e la progettualità per cui la situazione rischia di restare bloccata nella stanca riproposizione della centralità del centro Europa che andrà via via consumandosi fino ad esaurirsi.

Tsipras e le ipotesi della sinistra

Il relativo successo della lista Tsipras non deve illudere sulle sue possibilità di incidenza in Europa.
Innanzi tutto essa rappresenta una realtà ben viva in Grecia ma in Italia è solo il “principe straniero” venuto a guidare una banda di incapaci “litighini” che continuano a litigare e che rappresentano il resto di quello che fu un popolo di sinistra. In Europa deve confrontarsi con la Linke in Germania. con gli indignados spagnoli e con altri piccoli gruppi sparsi per vedere di costruire non solo una strategia comune ma di approccio alla realtà attraverso un nuovo progetto istituzionale e partecipativo capace di coinvolgere le classi e i ceti che rappresenta e in grado di costituire una alternativa reale alle politiche degli altri gruppi.
L’aggregazione possibile presenta tuttavia caratteri di forti ambiguità perché è l’insieme di nuove aggregazioni politiche che potrebbero crescere e di vecchi arnesi della politica europea, residuati bellici, resti di vecchi partiti comunisti di stampo parabolscevico che hanno fatto ormai il loro tempo e sono stati seppelliti dalla storia.
I bulldozer della storia devono poter continuare a lavorare, spianare e rivoltare il terreno, eliminando anche le radici di quello che fu il comunismo terzo internazionalista perché il campo possa essere arato e una nuova semina possa essere fatta. Per farla serve il lavoro nel sociale.

L’Europa dei territori e del lavoro di massa

Anche se la destra in doppio petto della Le Pen ripropone l’Europa delle patrie occorre distruggere gli Stati nazionali a partire dai territori rendendosi conto che oggi il nostro punto di riferimento non possono essere i cittadini in quanto possessori della cittadinanza ma devono essere i residenti, quelli cioè che vivono sul territorio. E’ dal concreto esercizio della libertà che bisogna partire praticando l’uguaglianza e rimuovendo quegli ostacoli di carattere economico e sociale che costringono una parte sempre più grande di persone a vivere una vita di povertà e di sofferenza, di privazioni e di disuguaglianza che li vedono privi di cure e di assistenza anche quando sono a rischio la vita e la dignità. La riscoperta della solidarietà sociale non è uno slogan vuoto ma una esigenza concreta, la versione nuova di quella fraternità proclamata dalla rivoluzione francese.
La valorizzazione della cittadinanza passa per l’individuazione dei beni comuni che essendo di tutti vanno strenuamente difesi e salvaguardati: si tratta dell’ambiente come dell’acqua, della biodiversità come della utilizzazione ottimale del suolo e del rifiuto della cementificazione, si tratta di rivendicare e praticare l’uso di energia pulita e rinnovabile ma anche di pretendere una istruzione a gestione pubblica per tutti e la tutela della salute come l’aiuto a chi non ce la fa.
C’è lo spazio e la possibilità per costruire una società solidale la cui gestione non può che essere affidata a strutture che nascono dal basso, configurate e costruite tenendo conto della composizione del territorio, caratterizzate dal rifiuto della delega e dall’attribuzione di funzioni di gestione sottoposte al controllo collettivo di comitati, assemblee, gruppi di lavoro, strutture a carattere consiliare, sottoposte alla vigilanza delle componenti organizzate della società.
Solo in questo modo crescerà la partecipazione sociale e si porranno dei limiti veri alla corruzione e allo sfruttamento da parte di un ceto di faccendieri che si nasconde dietro il paravento delle strutture “democratiche”, delle leggi per estorcere denaro alla collettività
In questa prospettiva c’è spazio per la dottrina sociale dell’anarchismo non solo nella sua parte distruttiva e demolitrice dellìeliminazione dello sfruttamento ma anche nella sua fase costruttiva. Lavorando per una transizione verso la società futura che vogliamo sia caratterizzata da istituzioni partecipate, solidarietà, uguaglianza e libertà.

Gianni Cimbalo