Quando la lotta di classe e l’internazionalismo erano valori.

Oreste Ristori. Una vita da proletario internazionale

Il 9 dicembre 1943 in una delle prime stragi nazifasciste viene fucilato a Firenze Oreste Ristori, insieme a un altro anarchico, Gino Manetti e tre comunisti, Armando Gualtieri, Luigi Pugi e Orlando Storai. Oreste ha ben 69 anni, si trova in carcere perché l’8 settembre è fra i primi a scendere in strada per manifestare ad Empoli, viene arrestato e condotto alla prigione di Firenze, le Murate, da dove è prelevato insieme agli altri per rappresaglia perché gli antifascisti avevano ucciso un capo delle forze fasciste. Ad Oreste Ristori la cittadina toscana ha intitolato una piazza e nel dintorni c’è una Casa del Popolo anch’essa intitolata a Ristori, ma la cosa su cui riflettere che anche a San Paolo c’è una piazza Ristori e in Brasile viene citato fra i militanti anarchici più conosciuti. Perché?
Ripercorreremo le tappe fondamentali della sua vita non per pura mania biografica, ma per mostrare una delle tante vite di rivoluzionari che fra Ottocento e Novecento si sono formati nella temperie di lotte e repressioni a livello internazionale, costruendo quelle trame di resistenza che hanno permesso di mantenere vivo – anche durante il periodo del regime fascista – voci di dissidenza che esploderanno e daranno vita a quel cambiamento che si realizza appunto dal 1943 in poi e che va sotto il nome di Resistenza con la lettera maiuscola.
E’ importante però comprendere la complessità di quel fenomeno che non è fatto solo di leaders politici che escono dalle carceri, dal confino o rientrano dall’esilio, ma di  migliaia di Oreste Ristori che, in Italia o all’estero, hanno mantenuto ideali e comportamenti resistenti per lunghi decenni.
Oreste nasce da famiglia poverissima nel 1874 a San Miniato di Pisa, da padre pecoraio, che perderà il lavoro nel 1878 a causa della crisi economica. E già qui possiamo riflettere sul fatto che in un piccolo paese della Toscana un pover’uomo soffre di una delle più grandi crisi economiche del mondo contemporaneo, quella conosciuta come la Grande Depressione, partita dal fallimento nel 1873 di una delle più importanti banche degli Stati Uniti, la Banca Cook, che si fortemente esposta per la guerra di
Secessione e che con il suo fallimento coinvolge l’economia mondiale in una delle tante crisi che connotano lo sviluppo della società capitalistica e che sono connaturate a questo sistema. Oggi ci hanno convinti che la globalizzazione ha dato vita a una crisi inedita, inaspettata, che basta aspettare si risolverà, ma già nell’Ottocento il sistema capitalistico funzionava come oggi (salvo l’accelerazione delle comunicazioni e qualche piccola altra novità). Chi si trovava, come Oreste coinvolto in questi fenomeni li
riconosceva e li combatteva, come vedremo, con maggiore coscienza di quella che purtroppo caratterizza le masse oggi.
Dunque Oreste si colloca da subito nella situazione di sottoproletario, con la mamma che fa lavori a domicilio nel settore della paglia, alleva maiali, forse manterrà a lungo la famiglia con altrettanti lavori precari del padre; insieme vanno in giro per mercati, nelle osterie, sulle piazze, dove incontrano molti altri come loro coinvolti dalla crisi (siamo nel periodo che va dai moti del macinato, alla crisi agraria, ai moti per il pane del 1898). Quando muore il padre nel 1892 Oreste ha 18 anni, è già un militante segnalato dalla polizia, tanto che durante i moti popolari conosciuto come moti di Lunigiana è arrestato e inizia la lunga trafila di presenza prolungate in tutti i carceri peggiori dove sono alloggiati gli oppositori dello stato liberale che avrebbe dovuto dare la libertà alle masse. Porto Ercole, Tremiti, Ponza, Pantelleria, Ventotene, Ponza, Favignana, Ustica: Oreste non si fa mancare nessuno di questi luoghi orrendi di detenzione e vita durissima, ma la tempra è decisa, anche lì partecipa alle sollevazioni per migliorare le condizioni di vita, alle proteste per incarcerazioni prolungate per una “legge speciale” che si chiede di abolire, riesce anche qui a realizzare per sé e per altri fughe, l’inizio di una lunga serie che lo vedrà protagonista in Italia e nel Sud America.
Il domicilio coatto si rivelerà, comunque, importante scuola di formazione; lì conosce
naturalmente le menti migliori dell’anarchismo e del socialismo del periodo, ma soprattutto nel campo anarchico incontra, fra gli altri, personaggi resistenti di grande spessore umano e politico come Pasquale Binazzi e Luigi Fabbri. Con Fabbri organizza a Ponza una manifestazione per ricordare i morti della Comune di Parigi, segno di grande spirito rivoluzionario internazionalistico che Fabbri. Come tutti gli anarchici, avrà per tutta la vita, ma sono scoperti e assegnati a un domicilio coatto più lontano: Ustica
per Ristori e Favignana per Fabbri. I lunghi periodi di domicilio coatto sono però occasioni per una formazione culturale e politica importante: personaggi come Binazzi e Fabbri sono noti per la loro forte preparazione culturale e politica e sappiamo anche che si tenevano proprio delle vere e proprie scuole di formazione, le scuole quadri moderne, sia per l’alfabetizzazione che per la formazione politica. Ristori sembra averne approfittato in maniera veramente produttiva; la cosa è evidente leggendo il sostanzioso fascicolo aperto su di lui, conservato presso il Casellario Politico Centrale dell’Archivio di Stato di Roma (molta della documentazione che riguarda Oreste Ristori, e quindi anche i documenti del suo fascicolo del CPC sono ora consultabili su un sito del comune di Empoli: www.oresteristori.it).
Nel 1904, quando è già emigrato in Argentina il Delegato di Pubblica Sicurezza a Buenos Aires scrive per segnalare la questione: “Il Ristori in tutti i suoi scritti in italiano, in spagnolo e in francese, pur sconclusionati e abborracciati, mostra impegno non comune, vivo, e, in ispecial modo, assimilatore, non è più, sotto questo riguardo, il Ristori di cui parla la scheda biografica in data 12/3/1896 in cui si dice di lui ‘ha discreta intelligenza; la sua cultura è molto limitata; sa appena leggere e scrivere”. Così era partito Oreste da casa, poi passando per i vari carceri, l’esilio successivo dal 1902, era diventato, sempre secondo le fonti poliziesche “abbastanza bene educato, molto intelligente e relativamente assai più colto di quanto presumibilmente può esserlo un operaio tipografo”, tanto che tiene conferenze, scrive articoli per riviste italiane, francesi e spagnole, pubblica opuscoli sui più disparati temi della propaganda politica anarchica
(vedine alcuni nel sito sopra segnalato). La situazione è così fortemente diversa che il solito Delegato di PS a Buenos Aires propone di “apportare una modificazione” alla scheda biografica. Insomma Oreste Ristori da sottoproletario semianalfabeta si è trasformato in un proletario cosciente e in un militante della lotta di classe internazionale che deve essere tenuto sotto controllo anche se ormai vive a migliaia di
chilometri di distanza!
Oreste infatti si era reso conto dell’innalzamento dello scontro non solo con lo stato d’assedio seguente i moti di Lunigiana che lo aveva ricondotto in carcere, ma nel 1898, di fronte alla forte repressione nella quale le truppe di Bava Beccaris producono decine di morti a Milano, capisce che la vita è difficile per lui e tenta un primo espatrio verso la Francia; riacciuffato finisce a Favignana.
Già in quella data si distingue per la sua forte presenza sui giornali anarchici e socialisti, tanto da essere conosciuto fra i militanti anarchici in Italia, in Francia e nel Sud America. Quando nel 1902 riuscirà ad emigrare in maniera semi definitiva (fino al 1936, quando verrà forzatamente rimpatriato), la prima tappa sarà Buenos Aires, accolto con entusiasmo nel quartiere italiano di La Boca dove gli anarchici di origine italiana hanno una forte presenza. Di lì a poco sarà il più importante propagandista italiano del Sud America, si impegnerà a livello sindacale nello FORA (Federacion Obrera Regional
Argentina), la neonata organizzazione sindacale a carattere sindacalista anarchico alla cui fondazione nel 1901 hanno contribuito italiani come Errico Malatesta e Pietro Gori. Nella sua azione politica si spinge fino alle più lontane terre del Brasile dove nelle fazendas liberate da poco dalla schiavitù (1888) gli italiani hanno preso il posto degli schiavi; le loro condizioni sono così terribili che Ristori scriverà anche un opuscolo Contra a imigraçao, edito nel 1906, subito tradotto in italiano da Luigi Molinari nella collana dell’Università Popolare.
Le denunce delle dure condizioni di vita dei migranti in Brasile condotte dal Ristori e dalla stampa anarchica avrà una forte influenza sulle partenze di tanta povera gente dalle zone più povere dell’Italia spinti da padroni e preti verso aree dove il livello di vita non era certo migliore e la mortalità era molto alta. Lo stesso governo italiano sarà costretto, anche sotto la pressione di questa campagna, a emanare circolari alle Prefetture e ai Comuni del Regno per dissuadere la gente ad andare in Brasile.
Sempre in movimento fra Argentina, Brasile e Uruguay, vuoi per campagne di propaganda, vuoi per le espulsioni che lo vedono protagonista di vicende rocambolesche, Ristori continua a scrivere per la stampa anarchica internazionale, a San Paolo nel 1904 fonda un importante giornale “La Battaglia”, con Cerchiai e Damiani. Ristori viene a contatto con la dura realtà degli orfanotrofi e delle altre opere
assistenziali gestiti dalla Chiesa, pubblicando anche l’opuscolo Le in infamie sociali del cattolicesimo. Per questa campagna viene condannato come calunniatore a un anno di carcere nel 1912.
Dicevo delle espulsioni e delle rocambolesche fughe: una prima volta nel 1902, per il primo sciopero generale organizzato dalla FORA, viene imbarcato su una nave che deve riportarlo in Italia con due guardie di scorta; il capitano della nave frappone molti ostacoli e gli anarchici minacciano scioperi di boicottaggio da parte dei lavoratori dei porti che imbarcano anarchici espulsi. La seconda volta Ristori e il suo compagno Baxterra vengono portati in treno a La Plata, porto più sicuro per l’imbarco e fatti
salire su un piroscafo inglese, ma al porto di Montevideo i due riescono a scendere e non risalire sulla nave, anzi, dopo la partenza della nave, si presentano alla compagnia di navigazione per farsi rimborsare metà biglietto!
La terza espulsione avviene più tardi, nel 1919, dopo la grande protesta dei lavoratori denominata “Settimana tragica” perché si conclude con più di 1000 morti e 20.000 arresti: Ristori è spedito all’isola di Martin Garcia e di lì deportato dall’Argentina in Italia. Viene seguito “da due agenti i quali avevano l’ordine di non perderlo di vista sino a che il piroscafo non fosse partito da Montevideo”, ma “il Ristori, reputato giunto il momento opportuno, eludendo la sorveglianza degli agenti, si svestiva rapidamente, si gettava in mare e, nonostante la temperatura rigidissima, raggiungeva a nuoto il battello su cui lo
attendevano i compagni con gli abiti e l’occorrente per ristorarsi”. Le autorità uruguaiane, avvisate, lo fermano, lo interrogano e lo rilasciano. Oreste giungerà in Italia solo con la quarta espulsione nel 1936, in pieno fascismo del quale resterà vittima.
La sua vita fu comunque una continua lotta contro il capitalismo, le forze di polizia che lo difendono, per l’emancipazione dei lavoratori, sia attraverso l’organizzazione sindacale che attraverso la propaganda per la formazione culturale e politica che doveva formare uomini e donne nuovi capaci di gestire una società diversa. Nella prossima puntata parleremo della sua azione antifascista e della sua concezione dell’anarchismo in accordo con l’evoluzione di questa ideologia, mostrando quanti i legami internazionali influenzino anche l’evoluzione del comunismo anarchico.
A conclusione di questa prima parte riportiamo uno scritto che sintetizza la visione di classe e internazionalista di tanti militanti come Ristori espulsi dall’Italia per le loro idee, ma che in quella loro esperienza non recisero mai i rapporti con le lotte dei lavoratori italiani. Di fronte all’uccisione del re Umberto I, scrive questo articolo che sintetizza un’analisi di classe con rara efficacia. Avevano ragione le forze di polizia a cambiare la sua scheda biografica: l’inserimento reale nelle lotte del proletario sulle due sponde dell’oceano avevano in poco più di un decennio fatto nascere da un semianalfabeta un uomo cosciente dei suoi diritti, capace di comunicare a un ottimi livello le ragioni di tali lotte. Nell’analizzare l’uccisione di chi aveva comandato a Bava Beccaris l’eccidio di Milano del 1898 e la feroce repressione di quel periodo che l’avevano costretto all’esilio, Oreste sa collocare in una giusta prospettiva le ragioni di tale fatto.
“Gaetano Bresci non uccise un suo simile, uccise un birbante, un felino assettato di sangue, non uccise codardamente, perché togliendola offrì la propria vita alla causa degli oppressi; non soppresse il tiranno per sostituirlo, ma per liberare il popolo dalla sua tirannide, per risuscitare in esso sentimenti d’odio e di ribellione contro ogni forma di sfruttamento e di schiavitù.
Fra questi due personaggi scomparsi dalle scene del mondo, passa un abisso, nulla li accomuna e li avvicina; nelle opere come nei sentimenti l’uno è il persecutore dell’altro.
Umberto I fu re, Gaetano Bresci fu suddito, il primo fu un brigante, il secondo un onesto
lavoratore, il monarca conculcò diritti, confiscò libertà, provocò ecatombi, ridusse il popolo al più abietto stato di miseria e di vassallaggio, il tessitore rivoluzionario lottò per la libertà, proclamò l’intangibilità dei diritti, condannò le carneficine, difese il popolo, sacrificò per questo la vita.
Umberto visse di sangue e di rapine, Bresci di lavoro e di amore, Umberto non conobbe che orge e tripudi, Bresci non conobbe che miseria e disperazione. L’uno fu belva in fatto di ferocia, l’altro si distrusse nella pietà. Questi merita l’apoteosi, quegli l’astio perenne dei posteri”
(continua)

Adriana Dadà