La gestione internazionale della crisi

La pandemia in atto ha richiesto e giustificato agli occhi dei cittadini l’emanazione di una normativa a carattere emergenziale che ha inciso su numerosi diritti costituzionali: la libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.), la libertà religiosa (art. 19 Cost.), il diritto/dovere all’istruzione (art. 34 Cost.), la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.).Il divieto di uscire di casa limita la libertà personale (art. 13 Cost.). D’altra parte dottrina e la giurisprudenza riconoscono un particolare valore al diritto alla salute (l’unico che la Costituzione definisce fondamentale all’art. 32 Cost.) perché connesso al diritto alla vita. Premesso che per la Costituzione italiana la salute non è solo un diritto individuale, ma anche interesse della collettività. tutti gli altri diritti sono reciprocamente bilanciabili: il diritto alla vita è l’unico diritto qualificato come assoluto e che prevale sempre sugli altri poiché la vita è precondizione per il godimento di tutti i diritti; senza la vita non si può godere di nessun diritto. L’esecutivo nell’emanare le norme di contenimento dell’epidemia ha tenuto conto di due leggi generali per le situazioni di emergenza approvate prima dell’epidemia di Coronavirus – il decreto legislativo n. 1/2018 (Codice della protezione civile), che agli artt. 24 e 25 stabilisce che al verificarsi di un’emergenza nazionale, il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza e autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa delle Regioni interessate, ad adottare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente, purché (a) sia dichiarato quali sono le disposizioni di legge che s’intende derogare, (b) siano rispettati i principi generali dell’ordinamento e il diritto europeo; – la legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale (Ssn), in base alla quale (art. 32): (a) se l’esigenza è nazionale o pluriregionale, il Ministro della Sanità ha il potere di emettere ordinanze in materia di igiene e sanità pubblica; (b) se l’esigenza è regionale o locale, il potere di ordinanza spetta al Presidente di Regione o al Sindaco (ipotesi prevista, altresì, dall’art. 50 del decreto legislativo n. 267/2000).

L’uso (improprio) dei provvedimenti amministrativi e la strategia della gradualità

I problemi inediti posti dal progressivo espandersi dell’epidemia hanno favorito una “navigazione a vista” dell’esecutivo e delle autorità di governo regionale che hanno agito secondo criteri di gradualità rapportati all’aggravarsi progressivo dell’infezione virale. Tali provvedimenti richiedevano ad un tempo immediata efficacia e progressive modifiche in itinere che sconsigliavano il ricorso necessario alla legge (che sarebbe stato necessario e doveroso) trattandosi come si è detto di restrizioni di diritti fondamentali. Il quadro normativo era complicato dal disposto dell’art. 117 della Costituzione che attribuisce alle Regioni la competenza in materia di servizio sanitario sia dal punto di vista organizzativo che gestionale. Così il Governo ha proceduto con l’emanazione di DPCM (Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri): Il 31 gennaio 2020 a seguito della dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), ha deliberato lo stato di emergenza sanitaria, il 31 gennaio 2020 fino al 31 luglio 2020. Conseguentemente il Capo dipartimento della Protezione civile ha adottato una serie di ordinanze intervenendo sulla gestione dell’emergenza e istituendo il Comitato tecnicoscientifico incaricato di supportare il governo nelle sue decisioni, nell’acquisto dei materiali necessari a fronteggiare la pandemia, a vietare esportazione dei materiali necessari a fronteggiarla. Successivamente, in applicazione della legge n. 833/1978, con ordinanze del Ministro della Salute (21.2.2020 e 23.2.2020) veniva creata una zona rossa, chiuse le scuole, assunte misure di quarantena. Con il decreto-legge n. 6/2020 (poi convertito, con modifiche, dalla legge n. 13/2020) quale atto avente forza di legge, su iniziativa del Ministro della Salute, il Presidente del Consiglio dei ministri ha adottato con DPCM «ogni misura di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica». Seguivano da allora in poi numerosi DPCM (23.2.2020, 25.2.2020, 1.3.2020, 4.3.2020, 8.3.2020, 9.3.2020, 11.3.2020, 22.3.2020) e altri ne seguiranno. Ai prefetti il compito di vigilare sul rispetto delle misure adottate, con l’ausilio sia delle forze dell’ordine, sia delle forze armate. Contemporaneamente, alcune Regioni hanno adottato, nel quadro della legge n. 833/1978, proprie ordinanze con cui hanno inasprito le misure governative (Lombardia e Piemonte, Regioni nelle quali è sorto un conflitto tra le misure regionali e quelle statali) o hanno chiuso il proprio territorio agli spostamenti di popolazione da e verso l’esterno violando l’art. 120 Cost.). Per fare ordine al sovrapporsi di provvedimenti creatosi è stato adottato il decretolegge n. 19/2020, abrogando gran parte del precedente decreto-legge e cercando di porre rimedio alla situazione di possibile lesione delle norme costituzionali. Questi problemi relativi alla natura giuridica delle norme contenute nei DPCM nascono dalle incertezze sulla loro natura giuridica in quanto non si riesce a capire se queste norme hanno natura sostanziale di regolamenti o di ordinanze. Questo perché tali disposizioni sono attuative del decreto-legge n. 6/2020 e pertanto sarebbero regolamenti. D’altra parte, rinviando alla dichiarazione di stato di emergenza, sono provvisori e quindi sarebbero ordinanze. (L’ordinanza del Ministro della Salute del 20.3.2020 è stata utilizzata per consentire al Presidente del Consiglio di non intervenire con un nuovo DPCM prima della scadenza di quello precedente, con il che si deve ritenere che il governo considera sovrapponibili i due atti (quindi i DPC sarebbero ordinanze). Il dibattito sulla natura di queste norme non è una questione irrilevante e meramente formale, poiché le ordinanze hanno, di regola, la forza di derogare alla legislazione vigente che i regolamenti non hanno. Ma se sono ordinanze attraverso di esse il governo può derogare alle leggi e questo rende il provvedimento emergenziale capace di ledere i diritti costituzionali garantiti dalla legge. Un ral modo di procedere attenta alle nostre libertà, aprendo la strada a norme speciali. Attua quello che può definirsi un “colpo di stato” bianco, “indolore”, introducendo un pericoloso precedente. Alla luce di queste considerazioni è importante ever parlamentarizzato i provvedimenti, pretendendo che il Governo sottoponesse le sue determinazioni all’approvazione dell’aula. Bisogna fare attenzione nel creare dei precedenti pericolosi in nome dell’emergenza oggi sanitaria, ma domani diversamente motivata dalle contingenze politiche, tanto più quando si tratta di introdurre controlli sulle singole persone attraverso i droni o mediante la rilevazione dei tracciati dei cellulari, sostenendone la liceità.

Unità nazionale e diritto di critica

In nome dell’emergenza il dibattito e il confronto politico ha subito una brusca interruzione. La pandemia ha “spianato” i venditori di paura e di odio in nome di una paura vera, collettiva e più grande che ha spinto verso la solidarietà. Non sappiamo quanto questo effetto durerà, ma abbiamo almeno una speranza e una certezza. La speranza è che alcuni loschi figuri concludano il loro percorso politico come residui di un’altra era: il nostro pensiero va insistentemente al giovinotto di Rignano che vorrebbe riaprire subito le fabbriche mandando gli operai a morire, non pago di averli spolpati dei loro diritti con il Job Act; al segretario della Lega, sempre più in affanno, che da piazzista dell’odio ha perso ogni attrattiva, ed è capace solo di rispondere alle iniziative del governo rilanciando con richieste di stanziamenti maggiori di sostegno alla crisi (fa il cocozzaro!!!) e dichiarando tutto e il contrario di tutto. La politica avrà bisogno in futuro di tornare sulle cose concrete e cominciare a riflettere sulle scelte politiche su sanità, ricerca scientifica e scuola. A crisi finita bisognerà riflettere sul fatto che con l’attribuzione delle competenze in materia sanitaria alle Regioni si sono creati tanti servizi sanitari quante sono le Regioni, e ognuno con caratteristiche proprie, al punto da mettere in discussione l’esistenza di un servizio sanitario nazionale, quanto mai necessario in momenti di emergenza e crisi. L’epidemia insegna l’importanza del servizio sanitario dal punto di vista sia economico che sociale e perciò bisognerà pur riflettere a crisi superata sulle carenze e manchevolezze del sistema sanitario lombardo che veniva spacciato per il migliore del paese, ma che ha dimostrato come la scelta di puntare sui grandi ospedali, smantellando quelli piccoli e depauperando il sistema di monitoraggio dei territori, impoverendo ruolo e funzione dei medici di base, si sia rivelata una scelta sbagliata. La situazione è stata poi aggravata in Lombardia dalla ripartizione delle risorse (60% alle strutture pubbliche e ben il 40% alle strutture private) le quali hanno svolto una funzione di medicina specialistica a pagamento per tutto il territorio nazionale, alimentando il profitto dei privati e distogliendo risorse e investimenti dalle esigenze del territorio, a detrimento dei servizi dovuti agli stessi cittadini della Regione. Di queste scelte i cittadini lombardi sarà bene che tengano conto quando si chiedono la ragione dei tanti morti in Regione. La riflessione è tanto più urgente e necessaria se si riprenderà in mano il dibattito sull’autonomia differenziata ricordando che un sistema sanitario efficiente ha bisogno del potenziamento della ricerca la quale è inevitabilmente legata al sistema universitario sia per quanto riguarda le innovazioni scientifiche che la formazione del personale. L’intervento in questi settori richiede un piano di investimenti nazionale, una pianificazione, coordinata possibilmente a livello europeo, l’individuazione di priorità incompatibili con le esigenze “egoistiche” dei territori e la massimizzazione dell’efficacia e delle risorse del paese.

Il ruolo dell’U.E.

Contemporaneamente l’U.E. deve scegliere se vuole continuare a esistere e per farlo non basta dichiarare sospeso il fiscal compact o invocare il ricorso al fondo salva Stati sognando il commissariamento della gran parte dei paesi d’Europa. Un altro degli effetti probabili della crisi è la pietra tombale su una classe dirigente politica e imprenditoriale, quella tedesca, giunta per suoi percorsi “fisiologici” alla fine della corsa, incapace com’è di riflettere sulle modifiche strutturali che la crisi in atto impone sull’organizzazione del lavoro, sulla sua distribuzione sulla divisione internazionale del lavoro, sulla circolazione delle merci e l’allocazione dei consumi sui mercati. Alla fine della crisi la Germania potrebbe accorgersi che un mondo è finito e uno nuovo ne avanza!

La redazione