Torture Post-Moderne?

Il popolo è minorenne, la città è malata, ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!

(Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto)

Prima condizione di un governo libero nei casi di disordine è la repressione, non la prevenzione.

(Bettino Ricasoli)

E’ così dopo la bellezza di 14 anni, l’Europa ha affermato una verità lapalissiana, evidente fin da quel lontanissimo luglio 2001. A Genova fu tortura.

La notizia è stata sparata su tutti i giornali, e, come sempre accade, già il giorno dopo la scomparsa seppellita da altre vicende più o meno edificanti. Anche nei c.d “social network” la cosa è durata il tempo della consueta indignazione estemporanea.

Si è segnalato il buon Orfini, presidente di qualcosa che appare tutto fuorché un partito (e men che meno di sinistra) con un tweet (la cui “vita” in genere è calcolata in minuti1 ma che in realtà emergono dai milioni di post perché rilanciati dalla “stampa normale”) nel quale si indignava della carica dell’ex-capo della polizia, De Gennaro, a capo di Finmeccanica2.

Vero, Orfini lo aveva già detto quando De Gennaro fu nominato nel 2013. Ma la sostanza non cambia. Il partito (?) è lo stesso.

Del resto perché De Gennaro dovrebbe vergognarsi, o peggio, dimettersi, quando è stato assolto proprio per i reati di Genova 2001?

Ecco quindi, come vero Deus ex Machina, che il nuovo Fuherer in sedicesima, Von Renzi, si è prontamente affrettato a garantire piena fiducia al buon De Gennaro:

«Il governo riconferma con convinzione la propria fiducia nei vertici di Finmeccanica e segnatamente di Gianni De Gennaro»3.

Ma poi cosa accadde a Genova un quindicennio fa? Nelle nebbie della memoria cortissima appare ormai, come direbbe Guccini, “ tutto un incubo scuro, un periodo di buio gettato via”4.

Non sia mai che si ricordi per quale motivo la città fosse stata blindata e militarizzata in attesa delle orde nemiche verso cui si usò il linguaggio del più puro disprezzo nazista e razzista (arrivando a pubblicare notizie su attacchi con “sacche di sangue infetto”5).

Allora è bene inquadrare quel che accadde nel 2001, perché ha tantissimo da dire all’Italia di oggi.

  • In primis: altro che poliziotti sfuggiti di mano, la repressione militare e omicida fu una strategia ben precisa e funzionale. Infatti, funzionò. Il movimento fu assolutamente distrutto e spezzato. Per sempre. Le contraddizioni che esso viveva al suo interno deflagrarono di fronte ad una repressione della quale non si hanno ricordi in Europa se non nei primi anni del ‘900. Non che in Italia ci si fosse mai fatto mancare nulla in questo settore6. Ma la vera e propria guerra interna scatenata nel 2001 segnò un salto di qualità enorme, arrivando dopo un lungo periodo di “pacificazione sociale” e, soprattutto, cogliendo di sprovvista una generazione di manifestanti assolutamente disabituata agli scontri.

  • Quella strategia non fu un’operazione da addebitare alla “destra” di governo (Berlusconi era da poco Presidente del Consiglio nel 2001 e, forse, sarebbe da pensare anche che si sia trovato di fronte ad una struttura già operativa e pronta). Qualche mese prima, nel marzo dello stesso anno, quando ancora al governo c’era L’ulivo (la coalizione dell’allora centro-sinistra), a Napoli si misero in atto quelle che possiamo retrospettivamente vedere come “prove generali” dei fatti del capoluogo ligure7. E’ un fatto, questo, davvero scomparso dalla memoria collettiva e, forse, non del tutto casualmente. Cosa era accaduto in questi ultimi 20 anni alle forse di Polizia in Italia, dopo le riforme del ventennio precedente? Specializzazione, efficientismo, armamento, militarizzazione dei territori (a fronte della civilizzazione dei corpi di polizia) con parole prese dal gergo guerresco (“controllo dl territorio”, “sbarchi di clandestini”, “ronde” ) e rilanciate di continuo dal sistema mediatico di regime8. Una trasformazione che non aspettava altro che il momento “suo” per entrare in gioco.

  • Contro chi manifestavamo i migliaia di cittadini accorsi nella città sul Mar Ligure? Entrati ormai da 8 anni in una crisi che ha destrutturato l’intero corpo sociale, siamo dimentichi del fatto che nel 2001, la crisi era o appariva ben lontana, soprattutto alla stampa borghese sempre pronta a cantare le magnifiche sorti e progressive del capitalismo. Ma 2001 è anche l’anno del mega fallimento della Enron9 (molto più che uno scricchiolio), e dello scoppio della bolla speculativa della “New Economy”10 e quindi, qualche cittadino più attento degli altri si era ben accorto che qualcosa di grosso bolliva in pentola. Si trattava dunque di una protesta assolutamente pacifica, forse un po’ ingenua, ma anche programmatica e lucida, che aveva individuato con chiarezza il nemico. I “grandi del G8” blindati nelle loro casematte ne erano l’espressione più completa. Con il senno di poi è chiaro che i manifestanti avevamo ragione e i governanti sarebbero stati quelli che avrebbero portato al disastro il mondo intero. Questo senno di poi è stato anche il senno di allora.

La dichiarazione dell’Europa è importante, ma appare ormai poco più di una medaglia alla memoria dell’eroe di turno, che, come si sa è sempre morto.

E’ chiaro oggi che quella repressione non fu affatto selvaggia, non fu affatto barbara. Si trattò invece di un’azione militare tesa a distruggere un nemico che, in anni non ancora di crisi sistemica, avrebbe potuto conquistare un seguito e una credibilità. E, non sia mai, ottenere qualche successo. Era l’ultima scogliera contro il dilagare del turbo capitalismo. Un cuneo di idealità negli eterni anni ’80 in cui siamo sepolti.

Oggi, con il paese stremato e impoverito, con i diritti del lavoro cancellati con un tratto di penna, con un governo autoritario fautore di riforme che chiuderanno ancora di più gli ormai esili spazi di democrazia, un evento come quello del 2001 appare lontano e irrealizzabile, perché compiuto in un paese non del tutto ripiegato su se stesso.

Le torture sistematiche, i tentati e i riusciti omicidi del laboratorio Genova potrebbero e dovrebbero però servirci per ricordare che l’allegra narrazione postmoderna del consenso e della fine delle ideologie, spesso viene sospesa per passare alla repressione concreta e reale. Un’arma sempre a disposizione delle classi dominanti, caso mai l’intrattenimento e la propaganda non funzionassero a dovere.

Andrea Bellucci

2Viene a mente il “Don Raffaè” di De Andrè “e lo Stato che fa si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”.

4Francesco Guccini “Piccola città”.

6Vedi l’impressionante elenco di morti e feriti nel lavoro di D. Della Porta Polizia e protesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai «no global» , II Mulino, 2003.

8Vedi S. Palidda, Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Feltrinelli, 2000.

9E. Borzi, La parabola Enron e la crisi di fiducia del mercato mondiale, Feltrinelli, 2002.