Coalizione Sociale

Dopo il debutto a Roma con la manifestazione del 28 marzo il silenzio è sceso su “coalizione sociale” il progetto attribuito a Maurizio Landini. Tuttavia la questione della rappresentanza politica degli interessi di circa la metà della popolazione italiana è un problema quanto mai attuale se guardiamo alla situazione sociale del Paese, al disfacimento progressivo del suo tessuto sociale, all’allontanamento sempre maggiore di quote rilevanti di elettori dal voto. Le prossime elezioni regionali e comunali in molti luoghi d’Italia non potranno che confermare la tendenza attuale. Più del 40% di astenuti dal voto e circa un 20% di schede bianche o nulle per cui a decidere delle sorti del paese sarà il restante 40%. Partendo da questa considerazione dobbiamo chiederci chi sono gli uni e gli altri.

La composizione delle fasce sociali espulse dalla rappresentanza

La politica neoliberista, alimentando il non lavoro e l’esclusione sociale, ha creato una larga fascia di popolazione che non ha accesso alle risorse per vivere e che si alimenta degli scarti del sistema sociale vigente, ridotta sempre più a una situazione ai limiti della sopravvivenza. Ne fanno parte i disoccupati; i lavoratori precari; coloro che non sono impegnati nel cercare un’istruzione o una formazione, chi non ha un impiego, né lo cerca, e chi non è impegnato in altre attività assimilabili, quali ad esempio tirocini e lavori domestici; alcune fasce di migranti (che non vengono inclusi nel computo dei votanti perché non cittadini) e i pensionati meno abbienti.

Questo gruppo è destinato a crescere per la progressiva espulsione di forza lavoro dovuta al ridimensionamento delle quote produttive di settori che la divisione internazionale del lavoro assegna all’Italia. In particolare la riduzione del manifatturiero e l’introduzione in questo settore di una accelerata innovazione con la riduzione del lavoro umano contribuisce a espellere forza lavoro soprattutto nella fascia da 45 anni alla pensione, peraltro raggiungibile in una età sempre più alta. Con la riduzione degli ammortizzatori sociali questi lavoratori sono destinati a rappresentare la fascia più colpita del proletariato industriale. Ad essi vanno aggiunti i lavoratori precari e sottopagati, quelli occasionali, quelli che comunque il contratto cosiddetto a “tutele crescenti” non copre, perché addetti a attività volatili, incerte, che possono essere svolte attingendo di volta in volta a una platea sterminata di forza lavoro disponibile e disperata.

Queste condizioni così fragili e insicure del mercato del lavoro contribuiscono a creare la platea dei più numerosi, coloro che privi di prospettive si ritraggono anche dalla ricerca dell’occupazione, rassegandosi a vivere fenomeni di marginalità, a usufruire del sostegno sempre più difficile della famiglia e degli anziani, che ricorrono quando possono alla migrazione periodica e instabile verso altri paesi, che formano l’esercito crescente di poveri che ricorrono alle strutture caritatevoli, privandosi di ogni dignità, che sono costretti a occupare la casa, che non hanno accesso alle cure mediche.

Assimilabili a queste categorie sono i migranti che spesso privi di tutele, vivono sul territorio tutti i problemi della quotidianità, sono alla ricerca dei servizi che non hanno ma pagano con il loro lavoro quando sono titolari di contratti riconosciuti e che si vedono discriminati socialmente per la loro appartenenza a una minoranza etnica o a un gruppo sociale. A costoro va aggiunto l’esercito degli invisibili che si trovano sul territorio a vivere in clandestinità tollerata perché costituiscono una forza lavoro duttile e sottopagata e in molti casi vivono una condizione di schiavi.

A tutti costoro vanno aggiunti i pensionati poveri, quelli titolari di pensioni sociali, quelli potenzialmente pensionabili ma esodati di diritto e di fatto, a causa del progressivo costante innalzamento dell’età pensionabile. Proprio tra questa categoria si annidano i casi numerosi e penosi di falsa coscienza, costituiti da coloro che non sono consapevoli di essere stati scaricati, rigettati nell’inferno degli incapienti di fatto o potenziali e continuano a illudersi in parte di essere ancora rappresentati e rappresentabili dai partiti sedicenti di sinistra. La crescita sempre più accentuata dell’astensione nelle regioni a gestione di sinistra, recentemente verificatasi è anche il frutto della presa di coscienza di questa condizione e il segno di un primo recupero di dignità sociale e di presa di distanza dalla rappresentanza. assicurata dal partito-Stato di Renzi e accoliti.

Per tutti costoro l’accesso al voto è diventato un fatto censitario: anche se l’accesso al voto è apparentemente libero nei fatti è disincentivato in mille modi.

Il blocco sociale della componente elettoralistica

A costituire ancora la parte della società impegnata in giochi elettoralistici ci sono i residui della classe media, ormai distrutta, i cascami di quella componente perbenista della società ancora in parte garantita dal sistema economico vigente che, come un gregge di pecore condotto dai propri montoni e guardato dai cani del pastore Renzi, si fa periodicamente condurre alla tosatura, costituita dalla tassazione crescente del patrimonio edilizio minore (di una vera patrimoniale guai a parlarne, naturalmente), ancora sostenuti dall’impiego statale e da un lavoro relativamente sicuro. Quella platea acquistata dal premier con gli 80 € e subito dopo tosata con le tasse, l’aumento delle bollette, la riduzione dei servizi, è destinata a essere sempre più spremuta. Lo sa, ma finge di non saperlo e si intrufola, sgomita, per salire nella scala dei garantiti, offrendosi a rapporti di scambio clientelari, macina pacchetti di voti, scambi di favori, anela alla vendita delle preferenze, illudendosi di salvare il salvabile, e intanto vota!

Costoro costituiscono la base di massa che fu già elettorato berlusconiano e di destra e che ora guarda al nuovo prestidigitatore, al delfino del cavaliere come il garante della sua condizione anche se a tratti qualcuno di loro precipita miseramente nella fornace dei non garantiti, viene spogliata dei privilegi tutte le volte che il Governo apre la caccia ad altre quote di reddito da distribuire attraverso il sistema tangentizio che regola l’attribuzione degli appalti, le convenzioni di servizio, un’attività economica protetta e malata, figlia del malaffare.

Il progetto di Landini

Esperienze anche recenti di aggregare intorno a un partito di “sinistra” il primo blocco sociale sono fallite per molti motivi, che non serve analizzare ancora una volta: assenza di un progetto politico, leaderismo, formazione di meri cartelli elettorali sono tra le cause maggiori. Fino a pochissimo tempo fa l’affezione alla Ditta, per dirla con Bersani, da parte di molti elettori della sinistra, vittime della falsa coscienza e dell’inganno storico costituito dal PCI – un partito da sempre riformista, compromissorio, consociativo, intrallazzatone – ha funzionato da freno verso nuove esperienze, La litigiosità, l’inconsistenza programmatica e politica delle formazioni a loro volta riformiste, postesi “a sinistra” del PCI ha fatto il resto, facendo fallire ogni iniziativa di altri che non erano che epigoni del partito mamma, di quell’immondo aggregato di personale politico burocratico selezionato da Palmiro Togliatti e dai suoi successori che hanno eliminato i comunisti e ogni opposizione di classe, compresso e contenuto energie anche genuine e esperienze significative di autonomia del proletariato italiano, operaio e contadino.

Per capire quanto profondi siano stati i danni basta guardare alla degenerazione della cooperazione, ai compromessi con i ceti e le classi di comando capitalistiche, alla piena condivisione del neo liberismo, all’accettazione definitiva con il renzismo della struttura oligarchica del potere che è plasticamente rappresentata dall’affidamento della gestione della riforma costituzionale all’attuale ministra per le riforme costituzionali, il cui nome risulta così immondo e l’inconsistenza culturale e politica così grande da essere impronunciabile.

Evocare, rivendicare un progetto di rappresentanza alternativa a tutto questo significa rifiutare questo mondo, nutrire verso di esso un sano odio di classe, volerlo distruggere fino alle fondamenta, fare propria una radicalità di strumenti che, avendo dichiarato Landini di non voler fare un partito, escludendosi dalla competizione elettorale attiva e quindi dal voto, necessiterebbe di strumenti la cui natura va dichiarata e spiegata se il progetto vuole essere credibile.

La coalizione sociale

Fatta chiarezza sulla composizione del blocco sociale di riferimento Landini aspira a riunire tutti quei movimenti di auto organizzazione nati dalla e nella società civile che esprimono contenuti politici antagonisti al sistema oligarchico renziano. L’obiettivo dichiarato è chiaro e condivisibile: ripristinare i diritti negati, allargando la platea dei beneficiari a nuovi soggetti sociali quali i lavoratori non dipendenti, i disoccupati, i giovani, gli immigrati, le donne, insomma le fasce più deboli della società e tutti coloro che sono esclusi dalle politiche antisociali del Governo.

Benché Landini non nasconda che in ultima analisi il suo progetto è quello di rifondare il sindacato – e da qui vengono le resistenze della Camusso – questo obiettivo non basta di per sé a fornire lo strumento di azione politica del quale c’è bisogno e soprattutto a costruire le lotte. Certamente un sindacato rifondato sul territorio, capace di avere attenzione alle esigenze che da esso emergono, impegnato a costruire organismi di rappresentanza sociale alternativi – diremmo di contropotere – a quelli istituzionali, potrebbe essere un volano per il rilancio dell’iniziativa politica. Forse Landini guarda alle esperienze “alte” delle lotte operaie e alla funzione svolta da quei consigli di fabbrica e di zona che in tempi passati ambivano a contendere alle istituzioni e ai padroni la gestione degli affari sociali, ivi compresa l’occupazione, le condizioni di lavoro, ecc.

Ma quelle strutture erano sostenute da un movimento operaio e da movimenti sociali all’offensiva, all’attacco del sistema capitalistico, da un livello capillare di organizzazione sul territorio e nelle aziende, condizioni che oggi mancano perché manca non solo il lavoro, ma anche il luogo di lavoro. E dunque la struttura organizzativa va ripensata e non basta fare affidamento sulle organizzazioni antagoniste esistenti siano esse Emergency o il movimento Giustizia e Libertà. E’ necessario riprendersi il territorio nel quale il renzismo sta già agendo, smantellando gli ultimi residui delle organizzazioni autonome di classe, come Case del Popolo, società operaie, mutue, circoli per sostituirli con il pubblico sociale, come quello dei centri anziani e dell’associazionismo etero diretto e para istituzionale, il solo finanziato, appoggiandosi alla rete clericale delle parrocchie del volontariato cattolico che ha una composizione cangiante e variegata..

L’antagonismo di classe

Quello che sembra mancare a Landini è un sano antagonismo di classe, che si esprima non solo attraverso l’indignazione verbale ma anche attraverso il disprezzo irriducibile verso le classi sociali, con un antagonismo e una avversione profonda che fa proprio del disprezzo pubblico e manifesto, della disubbidienza civile, l’elemento di forza; che rifiuta ogni compromesso, ogni buonismo, per essere irriducibile nemico della concertazione, della mediazione e dell’accordo. Per far questo Landini sembra non avere gli strumenti, abituato com’è alla contrattazione e alla mediazione.

Non solo, l’azione collettiva non basta, bisogna affiancare allo scontro di posizioni di organizzazione quello individuale e portare la guerra di classe nei rapporti personali, isolando socialmente e ricoprendoli di disprezzo tutti coloro che stanno dall’altra parte, sono complici e strumenti del blocco sociale oligarchico dominante. Questo significa che le sezioni dei partiti vanno desertificati, soprattutto quelle del PD, e che un’opera costante di dissuasione va fatta verso coloro che vi aderiscono. Che altrettanto va fatto con circoli culturali, associazioni, formazioni sociali di ogni tipo legati al nemico di classe. La battaglia va portata ovunque, ricoprendo di disprezzo, anche semplicemente voltando loro le spalle, a tutti coloro che pubblicamente sostengono questo sistema di rappresentanza e di governo.

Fare opposizione significa combattere oggi su ogni fronte, da quello relativo alla gestione del territorio, al problema della casa, alle condizioni di lavoro e di vita, alla scuola e nella sanità, nei servizi e nelle attività sociali destinate alle fasce più disagiate della popolazione non solo promuovendo questi servizi ma combattendone la gestione aziendalistica attraverso la costituzione di strutture rappresentative aggreganti di addetti a queste strutture e di utenti e destinatari delle attività erogate.

Combattere significa picchettare sistematicamente i consigli comunali e di circoscrizione, vigilare sui loro bilanci e sulle loro delibere, denunciare pubblicamente il comportamento di chi li gestisce sollecitando la reazione sociale senza aspettare l’intervento della magistratura e delle forze dell’ordine. Significa creare delle strutture di contro potere sul territorio e per fare ciò è necessario un lungo e capillare lavoro che si alimenti dell’autocoscienza e attraverso i successi anche parziali delle lotte. E qui il sindacato può fare molto mettendo a disposizione e aprendo le sue strutture formando una rete di sostegno e solidarietà reciproca.

Bisogna rivolgere un appello alle strutture organizzate ancora sane della sinistra perché queste rompano il legami con l’organizzazione e si schierino. Ciò che è necessaria non è la scissione di quadri dirigenti e periferici alla ricerca di una nuova sigla che permetta a questo ceto politico di sopravvivere ma la separazione delle coscienze e degli interessi nella consapevolezza che nulla unisce sfruttatori e sfruttati e che quella a cui dobbiamo impegnarci è l’eterna guerra di classe in nome degli inconciliabili interessi tra capitale e lavoro.

Gianni Cimbalo