L’interruzione – ancor che temporanea – dei servizi statunitensi di intelligence nei confronti dell’Ucraina ha determinato la crisi di «Five Eyes» [cinque occhi], un’alleanza di sorveglianza che comprende Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada e Nuova Zelanda. In realtà essa è qualcosa di più: nata all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, supportata dall’accordo di UKUSA, stipulato a margine della Carta Atlantica, rappresenta una struttura di coordinamento dei paesi anglosassoni per assicurarsi la tutela dei loro reciproci interessi in nome della comune appartenenza al mondo anglosassone. «Non si tratta di ritirarsi dai Five Eyes, ma di creare al loro interno un nuovo ‘Four Eyes’, senza l’America», ha affermato una fonte britannica nell’intento di “ridimensionare” quanto sta accadendo.
Dalla fine della II guerra mondiale i membri del Consiglio di gestione di questa struttura «si scambiano opinioni su argomenti di reciproco interesse e preoccupazione; confrontano le migliori pratiche nella metodologia di revisione e controllo; esplorano settori in cui è consentita la cooperazione sulle revisioni e la condivisione dei risultati, ove opportuno; incoraggiano la trasparenza nella misura più ampia possibile per aumentare la fiducia del pubblico; e mantengono i contatti con gli uffici politici, i comitati di revisione e controllo e i paesi, ove opportuno». Al di là della vaghezza con la quale vengono descritte le sue attività l’organizzazione non si limita alla gestione del sistema di sorveglianza ECHELON ha costituito finora uno dei più importanti strumenti di coordinamento del capitalismo anglosassone che ha fatto da supporto alla tenuta dell’impero statunitense, erede della supremazia del mondo anglosassone.
Un insieme di organismi ha consentito alla struttura imperiale americana di mantenere e rafforzare il suo dominio e ha dato l’illusione alla Gran Bretagna che, in una forma sia pure diversa e puntando sulla forza dei cosiddetti “coloniali”, ovvero quelli delle colonie, l’impero britannico continuasse a vivere. Questa convinzione poteva contare sulla solidarietà reciproca di strutture che nel loro insieme costituiscono il mainstream degli Stati Uniti come degli altri paesi anglosassoni, che non muta all’avvicendarsi delle diverse amministrazioni e con l’ascesa al governo dei partiti, posto che la struttura sostanzialmente bipartitica delle forze politiche in essi operanti ha garantito fino ad ora che l’indirizzo di fondo dei rispettivi Stati non mutasse. garantendo la continuità del dominio e del sistema di potere dei ceti dominanti.
L’avvento dell’amministrazione Trump ha rotto questo equilibrio, poiché uno dei suoi obiettivi principali è quello di smantellare l’apparato burocratico amministrativo del mainstream. portando a motivo la sua inefficienza, la sua vetustà, a favore di uno Stato snello, privato delle sue strutture di servizio per la collettività, del suo apparato burocratico. Il populismo cancella il ruolo degli organismi intermedi e della mediazione sociale e ha bisogno di un apparato agile, nel quale sia possibile assumere decisioni rapide, senza bisogno di passare attraverso la mediazione delle istituzioni. Succede
così che alcune scelte del Presidente costituiscano di fatto un attentato agli equilibri da sempre caratterizzanti l’impianto di fondo della struttura imperiale.
L’anomalia canadese
Si rifletta poi sul fatto che una delle rivendicazioni trumpiane è quella della richiesta al Canada di entrare a far parte degli Stati Uniti, divenendo il cinquantunesimo Stato dell’Unione. A ben vedere nelle intenzioni di Trump si tratta di una misura di razionalizzazione del sistema per porre rimedio ad un’anomalia: il Canada fa ancora parte del commonwealth britannico, e infatti la corona inglese nomina un governatore. Il capo dello Stato canadese è il re d’Inghilterra e dunque non si vede perché non potrebbe essere il Presidente USA.
A fronte del precipitare della crisi economica e delle critiche reiterate nei suoi confronti il primo ministro Trudeau, dopo 9 anni di governo ininterrotto si è dimesso con un discorso accorato alla nazione e il Partito Liberale del quale il leader dimissionario è espressione ha nominato non a caso come suo successore in pectore Mark Carney,
incaricandolo di guidare il Paese fino alle elezioni generali che si terranno quest’anno ad ottobre. Carney è uomo di assoluta fiducia della corona inglese, prova ne sia che nel 2013 è stato nominato governatore della Banca d’Inghilterra, primo non britannico a dirigerla dal 1694, data della sua Fondazione, e possiede quindi le competenze professionali e tutta la determinazione necessaria ad opporsi alle richieste degli Stati Uniti ma soprattutto è uomo assolutamente affidabile per la corona.
La sua nomina ha ottenuto un plauso bipartisan nel Regno Unito, tanto più per il fatto che grazie a lui il Canada si è ripreso dalla crisi finanziaria del 2008 più velocemente di molti altri Paesi; in patria il Partito Liberale ha recuperato immediatamente nei consensi dell’opinione pubblica, portandosi a due soli punti di distanza nei sondaggi dal Partito
populista di destra che insediava la Presidenza. Così, una volta messo in sicurezza il dominio canadese sull’altra sponda dell’Atlantico, inopinatamente, l’Inghilterra si è riavvicinata all’Ue e ha convocato a Londra la riunione dei cosiddetti “volenterosi”, con l’intento di prendere le distanze dalla politica degli Stati Uniti, promettendo ancora una volta sostegno all’Ucraina e dando continuità alla politica estera inglese verso il continente, la quale persegue da sempre la divisione tra gli Stati continentali e la politica di aggressione verso la Russia, poiché ritiene che le divisioni continentali siano la migliore garanzia di sicurezza per il Regno Unito: si tratta di una costante della politica inglese fin dalla sua feroce opposizione all’unificazione del continente perseguita da Napoleone Bonaparte.
L’UE corre al riarmo
Mentre le reazioni alla politica trumpiana da parte dell’Inghilterra e del Canada rispondono a criteri di razionalità l’Unione europea, sotto la guida di Ursula von der Stupid vara un piano pasticciato di finanziamento per il riarmo si derogando al sacro vincolo del pareggio di bilancio e dei criteri di non superamento del 3% di deficit previsti dal piano di stabilità, in nome dell’emergenza e della russofobia, dimenticando che la stessa cosa l’Unione non ha fatto quando per pochi spiccioli ha deciso di far fallire la Grecia, causando la rovina del suo popolo, malattie, fame e miseria, la svendita del paese. ad un punto tale che, malgrado l’apparente ripresa. la crisi economica continua a penalizzare il tenore di vita dei greci. I bisogni sociali e di welfare non sono stati sufficienti a fornire all’Unione europea ragioni valide per indurla ad accettare di compiere lo stesso passo che avrebbe impedito o almeno ostacolato il successo dei partiti populisti e delle destre.
Così, nel volgere di pochi giorni e a fronte dell’ormai palese e irreversibile sconfitta militare dell’Ucraina sul campo di battaglia, improvvisamente e senza passare per un voto del Parlamento, la Commissione europea ha deciso di sostituire la lotta al cambiamento climatico e la riconversione energetica con il riarmo come volano per il rilancio dell’accumulazione capitalistica. Il Parlamento è stato chiamato a votare delle risoluzioni di indirizzo, a decisione già presa, irrevocabile, di stanziare 800 miliardi per il riarmo da gravare sulle spese future e sul deficit storico dei diversi paesi, per finanziamenti da destinare a un piano di riamo non meglio specificato che comunque riguarderà i singoli eserciti nazionali.
Nelle attuali condizioni della struttura industriale europea e delle competenze delle diverse aziende in materia di armamenti la gran parte delle commesse andrà a vantaggio dei produttori di armi statunitensi che avranno così la possibilità di vendere i loro prodotti, esattamente come vuole l’attuale inquilino della Casa Bianca che intende rilanciare l’industria statunitense. Non solo, ma questa decisione viene adottata mentre l’Unione europea non ha una propria politica estera, tanto che né la Presidente della Commissione né la cosiddetta Alta rappresentante per la politica estera hanno il mandato per compiere scelte di indirizzo a riguardo.
Non vi è dubbio che nell’attuale fase politica l’Unione europea viene gestita da una conventicola di donne isteriche e sciocche che hanno occupato gli incarichi direttivi delle istituzioni comunitarie, certamente instabili e comunque inadeguate a ricoprire gli incarichi dei quali sono state investite (e, per favore, non si scambi questo dato di
fatto per misoginia o antifemminismo!). Costoro, come i loro colleghi maschi, non si rendono conto del fatto che venendo meno le tutele per i cittadini relative a servizi e welfare si creano le premesse per una crisi profonda e irreversibile dell’organismo comunitario, aprendo la strada del successo sempre maggiore dei partiti populisti e delle destre.
Mentre un ceto politico sempre più lontano dai popoli europei opta per la guerra, chi gestisce l’Europa non si rende conto delle conseguenze del calo demografico del continente, nel suo complesso, dell’invecchiamento sempre maggiore della sua popolazione, del dato di fatto costituito da eserciti nazionali sempre più miseri e numericamente esigui per mancanza di personale da reclutare. Per anni l’Europa e l’occidente hanno creduto e scommesso sull’esercito di specialisti, tecnologicamente armati, con attrezzature d’avanguardia, senza rendersi conto che la guerra è una cosa seria che coinvolge e sconvolge la società, senza capire che la diminuzione crescente di uomini e donne disponibili a prestare servizio come militari attesta l’orientamento prevalente nella società verso un rifiuto della guerra.
La trappola Ucraina
C’è il rischio che, spinti dalla situazione contingente, le classi dirigenti europee, a fronte della sconfitta sul campo dell’Ucraina, accettino come gesto riparatore l’ingresso del paese nell’Unione europea, facendosi carico di collocare nelle basi militari sgomberate dagli Stati Uniti l’esercito smobilitato ucraino, con il risultato di consegnare ad un’orda di
sedicenti guerrieri, forgiati da tre anni di guerra e fortificati dall’esperienza fatta sul campo di battaglia, il compito di garantire la sicurezza dei popoli europei a fronte di una paventata temuta e propagandata invasione russa, come lo stesso Zelensky proponeva al punto 5 del suo piano per la vittoria. La scelta sarebbe catastrofica e il risultato sarebbe quello di affidare ad un’accozzaglia di pretoriani parafascisti la tutela delle istituzioni e delle libertà, come del resto ipotizzava il leader ucraino, ammaestrato da anni di gestione pseudo democratica del potere, trasformando stati democratici liberali in democrature semi dittatoriali.
In verità a garantire contro questi pericoli dovrebbero essere i Trattati istitutivi dell’Unione europea che stabiliscono che tra i criteri necessari per consentire l’adesione vi è quello del rispetto dell’aequis comunitario da parte dello Stato che richiede di entrare nell’Unione. Ma non è un caso che questa garanzia non può operare a fronte della decisione politica di derogarvi per motivi geostrategici, ammettendo l’ingresso di uno Stato illiberale, corrotto, come l’Ucraina, che nega le libertà dei propri cittadini non per effetto della legge marziale, ma per un insieme di leggi varate prima dell’inizio del conflitto relative ai diritti sociali, politici e alla libertà religiosa che ne fanno una struttura dominata da oligarchi non dissimili da quelli che l’Ucraina combatte.
Con questa scelta l’unione europea finirebbe per introdurre nel suo corpo un virus incurabile che finirebbe per ucciderla, erodendo alla base la sua stessa consistenza genetica è identitaria.
Enrico Paganini