La Pace giusta

Nel momento in cui ci accingiamo a scrivere queste considerazioni non sono passati ancora nemmeno 20 giorni dall’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky, ma siamo già di fronte ad un evento consegnato alla storia. Da parte di molti, mossi da umana pietà, si è guardato con una qualche simpatia alla figura del leader ucraino, senza volersi rendere conto che eravamo di fronte alla reazione sorpresa e studiata di un attore che protesta con il regista perché gli rimprovera la recitazione di una parte che gli era stata assegnata: il regista-narratore evidenzia i difetti del personaggio, difetti dei quali l’attore dichiara di non avere nessuna responsabilità, rivendicando la qualità della sua recitazione, ricordando che il copione non l’ha scritto lui. Nel colloquio alla Casa Bianca è la trama della narrazione che viene rimessa in discussione: e questo perché è cambiato il regista e con lui la narrazione. La trama dello spettacolo al quale abbiamo assistito e assistiamo è mutata, nel migliore dei casi è stata fraintesa; la storia era un’altra.
Fuori dalla metafora la guerra con l’Ucraina non è iniziata con l’operazione speciale, ma viene da lontano, dalla violazione degli accordi di Minsk uno e due, dalla voglia della NATO di espandersi ad Est e dal desiderio USA e occidentale di smembrare la Russia, viene dagli obiettivi del nazionalismo ucraino, dalla riforma del regime giuridico delle terre in Ucraina, dallo sfruttamento delle risorse del paese da parte delle multinazionali occidentali, dall’esclusione dal banchetto degli oligarchi russi, dalla lotta all’ultimo sangue all’interno delle ecumene ortodossa tra il Patriarcato di Costantinopoli e quello di Mosca per l’egemonia, dall’eterna esigenza dell’Inghilterra di mantenere diviso il continente, perché ciò costituisce la base della sicurezza e dell’egemonia del Regno Unito sull’area europea, dall’obiettivo di distruggere le basi strutturali della floridezza dell’economia tedesca, e con questa di mettere in crisi l’economia europea, privandola della disponibilità di energia a basso costo chiaramente troppo competitiva sul mercato mondiale.
È stata questa la prima condizione posta da Putin a Trump e da lui accettata, visto che sul campo di battaglia la Russia sta prevalendo, a dispetto di ogni narrazione dell’Occidente. Lo dimostrano i fatti, con la sconfitta tattico-strategica a Kursk, dove si potrebbe affermare che “i pifferi di montagna andarono per suonare e furono suonati”, e così negli altri luoghi del fronte di battaglia. Quella avvenuta a Kursk è una sfida lanciata dalla Gran Bretagna alla Russia attraverso il suo proxy ucraino che avrebbe dovuto dimostrarne la vulnerabilità; è fallita grazie ad un paziente lavoro sul piano strategico e tattico, i cui risultati non dipendono dal venir meno dell’intelligence USA, ma piuttosto dalla lenta erosione delle forze ucraine in campo, dalla accorta utilizzazione delle pause di avvicendamento delle truppe sul campo, dall’incapacità tattica dal punto di vista strettamente militare di comandi, dalla superiorità delle forze schierate dalle due parti sul campo che appartiene al versante russo, malgrado e a prescindere dal coraggio dei combattenti. Le vite sprecate dai soldati dell’uno e dell’altra parte, i lutti e il dolore vissuto dalle popolazioni e dai combattenti costituiscono il prezzo imposto dalle classi dirigenti ucraine come russe ai popoli dei rispettivi paesi. Bisogna porre fine a questo massacro fermando la guerra.

Il problema della pace giusta

Da più parti si invoca una pace che si dichiara deve essere giusta dimenticando che la sua aggettivazione dipende strettamente dal punto di vista dal quale la si guarda. Se per alcuni la pace giusta è rappresentata dall’intangibilità dei confini ucraini per come tracciati allo scioglimento dell’URSS, per altri è imprescindibile dal rispetto delle aspettative delle popolazioni russofone rimaste all’interno dello Stato di Ucraina che hanno visto colpiti i loro interessi, rimessa in discussione la loro lingua, la loro religione, le loro libertà civili. Occorrerebbe fare appello ad uno sforzo di onestà da parte di tutti e riconoscere che i regimi politici che reggino i due Stati non sono esenti da lacune e manchevolezze e non molto diversi in quanto a corruzione, mancanza di tutela delle minoranze, livelli di libertà religiosa e politica, esigenze di uguaglianza ed esercizio dei diritti di libertà sociale. La sola soluzione dunque sarebbe quella di lasciare la parola ai
popoli perché si esprimano liberamente, senza costrizione alcuna, e in questo senso e in questa direzione la prospettata trasformazione istituzionale federale della struttura di governo dell’Ucraina e avrebbe costituito una precondizione per un costruttivo confronto sulla pace. Oggi, nella mutata situazione, costituita da ciò che è avvenuto ed avviene sul campo di battaglia non rimane che prendere atto dei rapporti di forza pur di fermare il massacro ed impedire che il conflitto si espanda oltre i confini dell’Ucraina, coinvolgendo l’intera Europa e con essa il mondo in uno scontro che rischia di essere
nucleare.
Putin e Trump sembrano aver raggiunto un accordo sul fatto che con la distruzione del Nord Stream gli Stati Uniti e l’Inghilterra si possono ritenere soddisfatti del risultato parziale raggiunto e trovare un accordo affinché la fornitura di energia all’Europa da parte russa a guerra finita riprenda, ma sotto l’egida e con l’intermediazione degli Stati Uniti che ne ricaveranno un dividendo, offrendo in cambio alla Russia la condivisione di un equilibrio globale, tripartito, che vede la presenza della Cina e che considera l’Europa la vittima designata a pagare i costi dell’operazione di spartizione. È per
questo motivo che le trattative in corso a Riad riguardano prioritariamente il rapporto globale tra Russia e Stati Uniti, la spartizione delle reciproche sfere di influenza, il controllo della conflittualità sui vari scacchieri, le eventuali forme di collaborazione, prima e a prescindere dalla guerra d’Ucraina.

Armiamoci e partite

Unione europea, messa di fronte alla realtà dei fatti, decide di reagire dimostrandosi riluttante ad accettare il ruolo sacrificale che le viene imposto e medita e minaccia di proseguire il conflitto, decidendo di armarsi in una prospettiva e con modalità future e incerte. Costituisce un dato di fatto la circostanza che attualmente il riarmo non avrebbe alcuna immediata influenza sull’evolversi della situazione, essendo necessario del tempo per attrezzarsi e disporre delle armi occorrenti a fronteggiare l’esercito russo, formare ed addestrare un esercito, porlo sotto un unico comando, stabilire la necessaria coesione fra le parti e i sistemi d’arma. Pensare nel lasso del tempo necessario, di far continuare il conflitto significa non solo volere l’estinzione del popolo ucraino, ma non riuscire ad ottenere lo scopo, considerato che la sua distruzione materiale si esaurirebbe ben prima di aver portato a termine il piano di riarmo.
Gli obiettivi degli Stati d’Europa appaiono ancora più irrealistici, se si considera che il sentire sociale negli Stati europei è attualmente molto distante dalle condizioni necessarie ad un riarmo e ad una militarizzazione della società, anche a causa della particolare situazione demografica che caratterizza il continente, la cui popolazione tende all’invecchiamento. Le sue élite hanno quindi pensato, nelle more di porre le precondizioni per mutare questa situazione e hanno iniziato a lanciare la retorica dell’armiamoci e partite: cianciano di pace giusta, di rispetto del diritto internazionale,
di diritto dei popoli, di valori della democrazia, di libertà civili, e chiamano alla mobilitazione, accusando i giovani di essere privi di valori, di essere individualisti, edonisti. I più accaniti sostenitori di questo risveglio sono gli ottuagenari, e a scalare i settantenni, i sessantenni, i cinquantenni, i quarantenni, è qui già ci si ferma perché si entra nell’età nella quale bisognerebbe armarsi, dotarsi di giubbotto antiproiettile, dell’opportuna strumentazione e scendere in trincea e questo non piace a nessuno.
Intanto si pensa di reintrodurre il servizio militare obbligatorio perché ci si è resi conto che si ha l’esigenza di disporre di carne da cannone, da sacrificare all’uopo quando i governanti lo ritengono necessario; non ci si stanca di ripetere che dei richiamati alle armi solo una parte va a combattere, mentre quella rilevante viene destinata alla logistica, come se in caso di guerra oggi chi è addetto alla logistica è esente dal beccarsi una bomba in testa o restare vittima di un bombardamento, posto che come è noto, le bombe e i proiettili non distinguono tra civili e militari.

Né aderire né sabotare

Posti di fronte al problema di votare i crediti di guerra molti politici sedicenti di sinistra fanno l’eterna scelta di dividersi tra chi vota i crediti di guerra e chi si astiene, né più e né meno che come fecero in occasione della prima guerra mondiale: in quella occasione i partiti socialisti a livello internazionale si divisero tra quelli come i socialdemocratici tedeschi che votarono i crediti di guerra della Germania, convinti che la questa avrebbe vinto e con essa il socialismo che era forte nel paese, mentre molti socialisti italiani decisero di né aderire né sabotare e si astennero. È inutile ricordare che l‘esito finale della guerra fu il fascismo e la fine di ogni democrazia e di ogni libertà.
Il mainstream giornalistico è istituzionale, da tempo coinvolto nella narrazione della guerra giusta , della difesa del diritto internazionale io lato violato senza sforzarsi minimamente di analizzare criticamente cause ed effetti dei fenomeni, anche nell’intento di non smentirsi e dover ammettere la propria inadeguatezza nell’analisi degli interessi in campo e dei rapporti di forza sceglie. Metterci la faccia e si fa promotore della mobilitazione non riuscendo a capire che le domande che esso si fa sulla mancata partecipazione e mobilitazione dei cittadini e sulla loro contrarietà alla guerra risponde ad un istinto di autoconservazione delle masse rispetto a chi ne vuole la rovina agitando falsi obiettivi.
I settori più deboli della società conoscono bene, perché li vivono e li sentono sulla propria pelle i bisogni reali come quello di un salario giusto e sufficiente ad una vita dignitosa, la necessità di disporre di un alloggio, delle cure necessarie, di un welfare efficiente e generalizzato e perciò hanno imparato a distinguere fra gli imbonitori e i venditori di pioggia e di bel tempo e scelgono la concretezza dei loro interessi e, non trovando altro modo per difendersi, si sottraggono al coinvolgimento e alla mobilitazione. All’invadenza mediatica di volti noti e a volte amati di personaggi del
nostro quotidiano, di artisti e cantanti, di intrattenitori e opinionisti, solo in qualche caso in buona fede ma in questi caso ignorati. grazie all’istinto all’autoconservazione dei tanti, distratti dal quotidiano, pressati dai bisogni.
Per vincerne la ritrosia a lasciarsi coinvolgere non basta l’emulazione né invocare valori che sono ormai lontani dalla sensibilità soprattutto dai giovani come la difesa della patria in una società ormai cosmopolita, il richiamo all’identità in società che ne sono prive, imboccare la difesa della famiglia in una società che disconosce i legami familiari, invocare la difesa delle tradizioni in un ambiente nel quale queste si sono perse, un mondo di valori nel quale si è fatto di tutto per cancellare quello della solidarietà collettiva e della fratellanza tra i popoli.
È a supporto di costoro che bisogna svolgere un’attenta analisi di quando avviene, delle cause degli effetti dei fenomeni, perché la risposta che viene data agli appelli alla mobilitazione sia ragionata e responsabile, per non lasciarsi strumentalizzare è utilizzare a fini ignobili e comunque contrari ai nostri reali interessi, da chi detiene il controllo dell’informazione e della conoscenza.

Gianni Cimbalo