In appena 12 giorni il regime di Assad, che governava la Siria da cinquant’anni (anche se Bashar al-Assad era personalmente al potere dal 2000) è crollato, senza che vi siano stati scontri e battaglie di rilievo su un territorio che aveva visto negli anni combattimenti sanguinosi tra le diverse parti in conflitto soprattutto a partire dal 2011, data di inizio dell’insurrezione collocabile nelle cosiddette primavere arabe.
Il precipitare della crisi in Siria ha coinciso con gli effetti dell’attacco israeliano portati agli Hezbollah libanesi che insieme alle milizie iraniane e alle forze russe presenti nel paese sostenevano l’esercito siriano nell’attività di controllo del territorio. L’indebolimento delle forze governative ha coinciso con un’intensa preparazione delle altre forze in campo decise a portare l’attacco a regime, costituite dalle milizie curde, da gruppi jihadisti da tempo accampati nei territori a nord del paese, da milizie sostenute ed addestrate dall’esercito turco che ne controlla rigidamente all’attività, sostenute ed appoggiate dalle basi militari americane presenti sul territorio siriano per garantire lo sfruttamento di giacimenti petroliferi e il controllo del territorio.
Il paese, da sempre un coacervo di popoli e di etnie caratterizzate da diverse appartenenze religiose, era politicamente gestito dalla componente alawita della popolazione che aveva guidato la lotta di liberazione del paese contro la presenza egemone dei turchi, conseguendo il controllo di Damasco e proclamando la nascita dello Stato siriano.
Il territorio siriano era parte integrante dell’impero ottomano e conquistò l’indipendenza nella fase di dissoluzione di questo impero ad opera delle potenze occidentali, con un ruolo preminente svolto da Inghilterra e Francia. La Siria, in particolare, divenne un territorio sul quale esercitava l’attività di mandato la Francia che controllava anche il contiguo territorio libanese. Fu il partito Ba’th [1] movimento politico di orientamento socialista, che a partire dal 1961 si assunse il compito di gestire la fase di decolonizzazione del paese che si concluse con l’ascesa al potere di Ḥāfiẓ al-Assad che approfittò di due successivi colpi di stato e poi degli esiti della guerra arabo israeliana del 1970 per impossessarsi del potere e divenire Presidente della Repubblica.
La Siria di Ḥāfiẓ al-Assad
Ebbe inizio un periodo di relativa stabilità anche se gestito da un governo monopartitico e repressivo, caratterizzato dal culto della personalità per il leader. Il paese si avvicinò all’Unione sovietica e introdusse importanti riforme infrastrutturali e un’economia pianificata, garantendo una gestione laica dei rapporti con le diverse componenti religiose del paese, anche se gli alawiti – ai quali gli Assad appartenevano – ritagliarono per sé una posizione di obiettiva preminenza. Nel 1982 l’insofferenza verso gli alawiti assunse dimensioni politiche con la crescita dei fratelli musulmani tra la maggioranza sunnita della popolazione del paese. Questa rivolta venne repressa con un bagno di sangue.
Nel 1999 la designazione del figlio del presidente Baššār al-Assad come successore fece comprendere che stava avvenendo la trasformazione del sistema politico in regime e vi furono scontri all’interno della stessa componente alawiti.
A partire dal 2004 Assad dovette affrontare l’insorgere del problema curdo. Questa componente del paese rivendicava la propria autonomia; per tutta risposta il governo mantenne saldo il controllo della popolazione la censura sulla stampa libera il divieto di formazione dei partiti politici di opposizione e per rafforzare la propria base sociale decise, in coerenza con i rapporti internazionali intrattenuti di schierarsi a favore dell’Iraq nel 2003 e di avvicinarsi politicamente ai movimenti di liberazione della Palestina Hezbollah e Hamas, scegliendo altresì di intervenire nella vita politica del vicino Libano.
Le primavere arabe
Il 15 Marzo 2011 iniziarono le manifestazioni pubbliche e pacifiche anche in Siria, nell’ambito delle cosiddette primavere arabe che coinvolgono principalmente la componente sunnita del paese e vengono sostenute dall’occidente e dall’Arabia Saudita. A sostegno del governo siriano si schierano invece le militari sciite provenienti dall’Iran che si considerano vicini agli alawiti e facenti parte della cosiddetta mezzaluna islamica, che vede la componente sciita dell’islamismo contrapposta a quella sunnita. Si crea nel paese una situazione insurrezionale e di guerra civile della quale approfitta la Turchia che, sfruttando la sua influenza sui ribelli siriani, fa spostare combattenti nelle regioni di suo interesse, anche al fine di condurre un’azione repressiva sulle popolazioni curde stanziate a cavallo del confine tra i due paesi.
Russia e Cina intervengono a fianco del governo siriano nella repressione degli insorti e il conflitto si trasforma gradualmente da guerra civile in uno scontro a carattere internazionale. La natura particolarmente cruenta assunta dallo scontro in atto tra le diverse fazioni in Siria è accentuato dalla natura composita del paese che vede la presenza di numerose componenti etnico – religiose e dalla contiguità con la situazione irachena.
Già nel 2006, a seguito degli esiti della guerra in Iraq sul confine tra l’Iraq e la Siria era sotto lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, successore di Al Qaeda. Con lo scoppio della guerra civile siriana questa presenza si estende anche ai territori siriani e viene dichiarata la costituzione del Califfato che comprende i territori attorno la città di Mosul, e della vicina Siria, con lo scopo di estendere la propria autorità su tutte le terre abitate da musulmani.
La necessità di opporsi allo Stato islamico consente una collaborazione tra le diverse forze in campo e i jihadisti diventano oggetto dell’attacco dell’esercito regolare siriano, come dell’aviazione russa, sempre più presente nel paese a difesa del regime e per garantire la propria presenza nelle basi detenute sulla costa siriana. Basi dell’esercito americano si insediano nell’area dell’Eufrate allo scopo dichiarato di combattere i jihadisti, ma anche al fine di sfruttarne le risorse petrolifere. Solo a partire dal 2017 lo Stato islamico perde progressivamente i territori controllati tra cui Mosul e Racca e
viene sconfitto a Baghouz – ultima roccaforte la cui caduta ha posto fine al suo dominio territoriale – nel febbraio-marzo 2019 dai gruppi armati siriani a guida curda, sostenuti dagli Stati Uniti.
La dura lotta dei curdi contro lo Stato islamico non ha impedito alla Turchia di approfittare dell’occasione per eliminarli dalla regione di Afrin (organizzando l’operazione di “Ramoscello d’Ulivo”. concretizzatasi nell’espianto degli ulivi e delle piantagioni di frutta in modo da desertificare tutta l’area 9 per cercare di respingere la presenza curda al di là dell’Eufrate. Per raggiungere tale scopo il governo turco non ha esitato a gestire politicamente ed armare i resti delle milizie jihadiste, stanziate nell’area dell’Eufrate, utilizzandole in funzione anti-culta e volgendone la pressione verso il
governo siriano, al fine di indurlo ad accettare una trattativa sulla costituzione di una zona cuscinetto a nord del paese che garantisse alla Turchia il controllo sulle acque del fiume Eufrate e la gestione di questa risorsa.
Gli effetti destabilizzanti dal 7 ottobre sulla situazione siriana
Come è noto l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, il conseguente intervento israeliano su Gaza sfoggiavano nell’intervento israeliano in Libano e nell’attacco ad Hamas, con conseguente decapitazione dei suoi vertici politici e disarticolazione della sua organizzazione, anche attraverso il sabotaggio dei walkie talkie in dotazione
dell’organizzazione. L’indebolimento oggettivo delle milizie sciite libanesi che fino ad allora avevano costituito un forte sostegno per il governo siriano, controbilanciato dai continui aiuti provenienti dall’Iran, disarticolavano il quadro di alleanze posto a presidio del governo siriano. A ciò si aggiunga l’indebolimento oggettivo del sostegno russo a causa degli impegni crescenti dell’esercito di quel paese nella guerra d’Ucraina.
Approfittava dell’occasione favorevole la Turchia che, dopo aver proposto ad Assad un compromesso rifiutato, scatenava l’azione delle milizie da essa controllate, da tempo opportunamente preparate anche con l’aiuto dei servizi segreti ucraini per destabilizzare definitivamente la situazione siriana ed accelerare la propria politica di ricostruzione dell’impero nello spazio imperiale turco, anche in vista del ritorno in auge degli Accordi di Abramo, di fatto rilanciati dall’andamento della crisi palestinese, nonché nell’intento di mettere a disposizione un percorso gestito e controllato per la via commerciale che dovrà consentire alle merci indiane di raggiungere l’Europa, facendo concorrenza alla parallela via della seta voluta dalla Cina. A questo obiettivo, di per sé strategico si aggiungano i vantaggi derivanti dalla pressoché esclusiva gestione del controllo delle risorse idriche dell’area, costituite dalle acque del Tigri e dell’Eufrate, vero volano dello sviluppo agricolo dell’area, nonché la prospettiva per la Turchia di risolvere una volta per tutta la questione curda.
Vincitori e vinti
Mentre il paese si avvia ad essere gestito da un ex terrorista di al Qaida che si dichiara pentito sulla vita di Damasco, tanto da assicurare che le donne non saranno costrette a velarsi e da accettare di dare la propria protezione alla gestione del potere da parte di un burocrate appartenente al partito Ba’th che gestirà la transizione, già emergono in tutta evidenza gli esatti contorni dell’operazione.
È del tutto evidente che Assad ha lasciato il potere dopo una trattativa, nella consapevolezza di non avere le forze per gestire la situazione, negoziando le condizioni della propria uscita di scena. A latere della sua posizione personale la contrattazione ha riguardato anche la presenza russa nel paese, prova ne sia che almeno al momento le basi russe nel paese non sono in discussione, probabilmente garantite dalla trattativa tra i ministri degli esteri di Qatar Turchia e Russia che contemporaneamente ai fatti di Siria avveniva a Doha. Al tempo stesso la Turchia si vede assicurati i propri interessi e
tutto fa pensare che otterrà di stabilire la fascia de smilitarizzata a nord del paese, regolando la questione curda – americani permettendo – i quali sono peraltro solo ed esclusivamente interessati alla gestione delle risorse petrolifere e alla presenza strategica nell’area e non hanno alcuna intenzione di immolarsi per difendere i curdi.
Non vi è dubbio che il grande sconfitto di quanto è avvenuto e l’Iran che non solo ha visto attaccare e sconfiggere le formazioni politiche di guerriglia ad esso alleate, ma è stato estromesso dalla Siria ed ha visto reciso il collegamento diretto territoriale attraverso il quale rifornire i suoi alleati libanesi. E non basta perché risulta indebolita la capacità dell’Iran di contrastare la potenza israeliana nell’area e risulta compromessa anche la sua capacità di tenere testa all’espansionismo turco, difendendosi nel contempo dall’ostilità israeliana. Stando alla nuova situazione sul campo all’Iran non rimane che dare priorità all’arricchimento dell’uranio, provvedendo a dotarsi al più presto dell’arma nucleare perché funga da deterrenza nei confronti dei continui attacchi israeliani e permetta al tempo stesso di bilanciare la crescente forza dell’Arabia Saudita e del mondo sunnita, che certamente vede la componente sciita in evidenti difficoltà.
Ma i veri vincitori della vicenda sono ancora una volta gli israeliani che hanno approfittato dell’occasione per impossessarsi di tutta l’area del Golan, andando oltre e portandosi fino alla periferia di Damasco, ulteriormente espandendo il proprio territorio nella direzione di raggiungere i confini biblici che dovrebbero prima o poi portarli fino
alle rive dell’Eufrate (l’appetito vien mangiando). C’è di più: da terroristi quali sono ne hanno approfittato per eliminare i depositi di armi, gli armamenti, l’aviazione, la marina siriana Nel totale disprezzo del diritto internazionale e agendo sul territorio di uno Stato indipendente e sovrano verso il quale non avevano dichiarato nemmeno lo stato di guerra. Ne tenga conto chi nel mondo è ancora afflitto dal senso di colpa per l’olocausto e non considera invece che nel caso degli israeliani ci si trova di fronte ad una banda di nazionalisti sionisti criminali, capaci dei crimini più efferati, violatori del diritto internazionale, veri pirati di ogni relazione tra i popoli nel rispetto del diritto internazionale, responsabili di un efferato genocidio nei confronti del popolo palestinese.
A chi l’occidente plaude sugli effetti della crisi siriana intravedendo in quanto è avvenuto un oggettivo indebolimento della Russia facciamo rilevare che da grande potenza imperiale essa ha contrattato il negoziato il mantenimento delle proprie basi in Siria in funzione di appoggio logistico alla sua azione verso l’Africa, che del resto avviene di concerto, in molti casi, con i turchi, sponsor delle garanzie ottenute.
In quanto ai riflessi sulla guerra in Ucraina rileviamo che quando avvenuto lascia la Russia ancora più libera di dedicare tutte le sue risorse alla guerra ucraina, rafforzando la sua determinazione nell’ottenere gli scopi prefissi, anche al fine di dimostrare, nel quadro di una rinascita degli imperi e quindi in concorrenza con quanto sta facendo l’ingombrante vicino Erdogan, di avere una determinazione quantomeno pari a quella turca nel ricostruire le dimensioni imperiali del proprio potere e nell’affermare il proprio ruolo di potenza, in un quadro di rapporti bilanciati multilaterali e multipolari.
[1] Il partito Ba’th, di ispirazione laica e inizialmente legato al socialismo arabo e al panarabismo, fin dalla sua fondazione negli anni 1940 evidenziò la sua caratteristica interconfessionale essendo i suoi tre ideatori un cristiano, un alawita e un sunnita.
Gianni Cimbalo