Francia e Germania crisi parallele

Mentre la crisi politica continua a travolgere la Francia, priva di un governo che goda del sostegno del Parlamento, il governo tedesco è dimissionario e la Germania si prepara ad andare al voto il 23 Febbraio: la debolezza dei governi dei due paesi che da sempre hanno svolto un ruolo trainante nell’Unione europea crea una situazione di debolezza estrema dell’Europa, certificata dal fatto che Bruxelles e la sua azione sono totalmente in mano alla gestione incapace e fallimentare di Ursula von der Leyen e di Roberta Metzola. Ad affiancarle una Commissione debole e fragile, sottoposta agli umori di una maggioranza incerta e cangiante, composta da persone di nessuna esperienza nella gestione delle relazioni internazionali: eppure questo avviene mentre l’Unione è chiamata a gestire la sua prima sconfitta sul campo di battaglia, posto che la guerra in Ucraina si avvia verso la sua conclusione che vedrà inevitabilmente soccombere sul campo di battaglia la coalizione dei paesi occidentali, schierata al sostegno di uno Stato corrotto, totalmente illiberale, economicamente fallito, demograficamente distrutto che, ridimensionato nella sua dimensione territoriale e privato delle sue principali risorse economiche, presenta all’Europa il conto della ricostruzione.
Ma non è tutto perché ponendo come condizione indiscutibile la sua ammissione nell’Unione, introduce una messa enorme di incongruenze e di violazioni dell’aequis comunitario tali da distorcerlo totalmente, fino a pervertire le caratteristiche dell’Unione.
Sarà inevitabile un indebolimento complessivo dell’Unione europea, del quale beneficeranno gli Stati Uniti e gioirà il Regno Unito il quale vedrà ancora una volta realizzata la sua politica di sicurezza caratterizzata dalla vicinanza con un continente debole e diviso.

La Germania al voto

La crisi tedesca è giunta a maturazione con le dimissioni del governo Scholz che dopo aver ottenuto la sfiducia con 394 voti contrari, 207 favorevoli e 116 astenuti il Bundestag ha visto il Cancelliere consegnare al Castello di Bellevue nelle mani del Presidente della Repubblica, Frank Walter Steinmeier, le dimissioni del governo di minoranza formato con i Verdi e chiedere di sciogliere il Parlamento e riempire le nuove elezioni.
Dopo un dibattito di trarre mezzo che i tedeschi hanno potuto seguire in diretta tv la coalizione Semaforo è apparsa in tutta la pochezza della sua capacità di realizzare il programma per cui era nata e gli interventi dei diversi leader si sono trasformati in comizi preelettorali mascherati da dichiarazioni di voto sul governo.
Con uno sforzo di fantasia il catatonico cancelliere uscente rivendica i risultati positivi e l’adozione di «sostanziose misure a favore delle imprese e dei cittadini», attribuendo alla crisi dell’esecutivo al tradimento dei liberali di Lindner, prontamente difesi dal leader della Cdu Merz, a prefigurare le future alleanze di governo e denuncia che la competitività del paese è stata sacrificata nel nome dell’«insostenibile» welfare universale. L’attacco è gradito a Linder che rivendica la sua linea ultra-liberista denunciando gli ultimi provvedimenti d’urgenza approvati dal governo, tra cui il mini-sconto sulle imposte su alcuni generi di prima necessità come il burro, dichiarando che.

«Non fanno aumentare il Pil»

Certo che è singolare che il Parlamento tedesco si ponga il problema dell’aumento del prezzo del burro utilizzato come indice della crisi supposta dell’economia russa, che invece di quella tedesca ormai in recessione, marcia al ritmo dell’aumento del 6% annuo del PIL.
Anche per i partiti d’opposizione l’occasione è ghiotta per fare propaganda alle proprie posizioni: ne approfitta Wagenknecht del partito rossobruno, per picconare Scholz, Merz e Lindner. la Cdu, i liberali, la Linke e Afd, Imputando alle loro scelte guerrafondaie la causa principale della crisi che sconvolge il paese e che ne degrada le condizioni di benessere, mettendo in crisi il welfare. Dichiara che se il prezzo da pagare è il benessere della popolazione tedesca il suo partito farà di tutto per difenderne gli interessi. Alice Weidel, leader di Afd e candidata cancelliera, pur consapevole del
patto fra i partiti che la esclude da qualsiasi alleanza, anche se il suo sarà il secondo partito della Germania, si presenta in doppiopetto istituzionale, candidandosi ad un ruolo di governo dichiarandosi pronta a battersi per «per rafforzare la presenza dell’Europa nella Nato, perché gli interessi europei non sono quelli degli Usa». Squallidamente il Leader dei Verdi Robert Habeck dei Verdi dichiara di votare l’estensione e di prepararsi ad un’alleanza difficile e improbabile con Cdu-Csu. alla quale lo lega la posizione sulla guerra in Ucraina di forte sostegno al conflitto.
Stante così le cose, Scholz si mostra fiducioso che il dibattito elettorale consentirà alla Spd di tirare fuori le «cose buone» fatte dal suo governo. E di rimontare sull’avversario, il suo principale avversario, il leader Cdu Friedrich Merz che da parte sua prende atto della improbabile rimonta delle SPD nell’elettorato pronosticando per il partito un risultato di oltre il 20%, peraltro del tutto improbabile. La sua principale critica all’SPD è di non aver esaudito la promessa della Zeitenwende, la svolta militare: «Ha avuto questa chance, non l’ha sfruttata», dichiara infatti, e così facendo non si rende conto di accreditarlo presso quei suoi elettori di sinistra che rimproverano al partito proprio il sostegno alla guerra.
Quel che è certo è che chiunque governerà la prima potenza economica dell’Europa deve essere che nel bilancio pubblico del 2025 non ci sarà più denaro a disposizione, a meno di rompere il totem dell’austerity, come avverrà con le spese per la difesa.

La crisi francese

Come era prevedibile il sogno di Macron di essersi dotato di un governo per il paese si è infranto di fronte all’approvazione della legge di bilancio e il governo del presidente Barnier, privo di maggioranza, è caduto di fronte alla mozione di sfiducia, grazie al voto incrociato della destra della sinistra. Di fronte alla necessità di provvedere ai bisogni dello Stato l’Assemblea nazionale ha adottato all’unanimità un disegno di legge speciale volto a consentire all’esecutivo di riscuotere tasse e contrarre prestiti sui mercati per garantire la continuità dello Stato e della previdenza sociale, in assenza di un bilancio per il 2025 (L’equivalente di una legge sull’esercizio provvisorio).
Il 13 dicembre Macron ha incaricato François René Jean Lucien Bayrou di formare il nuovo governo. Il premier incaricato è presidente del Movimento Democratico dalla sua fondazione nel 2007 ed è uno degli esponenti del centro.
Candidato alle elezioni presidenziali nel 2002 2007 e 2012 è sempre risultato non eletto e dal 2004 presiede il Partito Democratico Europeo (EDP). È stato più volte ministro e membro del Parlamento europeo. Numerosi i suoi guai giudiziari: è stato implicato nell’utilizzazione di fondi destinati agli assistenti parlamentari, per complicità e la propria
indebita di fondi pubblici nel 2019; Dovrebbe riuscire dove la Borne, Arral e Barnier hanno fallito. Di orientamento cattolico è stato per ben due volte ministro dell’Istruzione; in questa veste ha proposto discutibili interventi sul sistema di formazione francese. Come solo successo della sua carriera politica può essere citata la lezione al sindaco di Pau, carica alla quale perviene tuttavia solo nel 2014 dopo due tentativi falliti. È forse per questo motivo che per lui questa carica è irrinunciabile, tanto che intende mantenerla anche nel caso che il suo tentativo di formare il governo abbia successo.
Bayrou il 3 settembre 2020 è nominato Alto commissario alla pianificazione dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron.
È estremamente difficile prevedere se il tentativo di Michel Barnier andrà a buon fine: se a destra e nel centrodestra gli accordi sembrano procedere bene, l’ala sinistra, ambientalisti e sinistra continuano a respingere le proposte del Primo Ministro. Da parte dei macronisti, cresce la tensione con Michel Barnier sul tema del bilancio, in particolare su un potenziale aumento delle tasse tanto che questi ultimi chiedono un “chiarimento” della linea politica del primo ministro incaricato posto che una scelta di tal genere andrebbe contro la linea difesa per sette anni da Emmanuel Macron. Anche i repubblicani, di cui Michel Barnier fa parte, gli sono ostili. Anche Gabriella Attal ex primo ministro e presidente del gruppo Ensemble pour la République (EPR), ha chiesto al suo successore di chiarire la sua “ linea politica, in particolare sui possibili aumenti delle tasse e sui grandi bilanci pubblico, ponendo la questione come pregiudiziale per
accordare la fiducia al nuovo governo.
Le cose non vanno meglio nei colloqui con Élisabeth Borne e Gérald Darmanin, posto che il ministro il primo ministro incaricato ha dichiarato di aver riscontrato una situazione di bilancio molto grave alla quale bisognerà porre comunque rimedio. Quest’ultimo, ha assicurato France 2 che è “fuori questione”… “entrare” in un governo che aumenta
le tasse o addirittura “sostenerlo”. “Aumentare le tasse è la via più semplice“, “non parteciperò a un governo che non è chiaro sulla questione delle tasse“, ha aggiunto.
Se questa è la situazione con le forze di destra e di centro. anche di esponenti della sinistra continuano a rifiutare le proposte del ministro incaricato, compresi coloro che sono vicini all’ex presidente socialista François Hollande, come l’ex ministro dell’Agricoltura Stéphane Le Foll. Anche l’approccio adottato con l’ex eurodeputata ambientalista Karima Delli non ha avuto successo. Allo stato dei fatti appare molto improbabile che la caccia di sostenitori del futuro governo a sinistra possa dare dei frutti positivi, in quanto si ritiene che le entrate in un governo che dovrà inevitabilmente sposare l’austerity e aumentare le tasse è fuori questione.
Occorrerebbe che il paese tutto provvedesse ad un esame obiettivo della situazione e così scoprirebbe di doversi rendere conto che le risorse per continuare a condurre una politica di grandeure non vi sono, che l’impegno del paese nel sostegno alla guerra in Ucraina, attuato operando nelle pieghe del bilancio per destinare risorse occulte al finanziamento della guerra, hanno creato una situazione di disordine contabile della quale prima o poi occorrerà rendere conto pubblicamente. Il capitalismo Franco renano sembra essere entrato in una crisi profonda, causata dallo smobilizzo di fatto, soprattutto ad opera della Russia della presenza egemone francese nel centro Africa e questo mentre una politica di presenza globale della Francia sullo scenario internazionale con le ambizioni dell’ex impero coloniale non è più sostenibile.
Occorre prendere atto del fatto che la politica di attacco alla Russia con il sostegno all’ucraina mentre ha dato luogo per quanto riguarda la Germania al venir meno della fornitura a basso prezzo di petrolio e gas ha ricevuto per quanto riguarda la Francia una risposta mediante una guerra asimmetrica chi ha visto la Russia insediarsi a sostituire la presenza francese nell’ex colonie del centro Africa, mettendo in discussione l’approvvigionamento diretto di uranio che va ad alimentare la produzione elettrica nucleare francese, ponendo in tal modo una sedia ipoteca economica e strategica
sulla politica francese relativamente all’energia e al tempo stesso al controllo del mercato protetto costituito dalle ex colonie africane. Anche se si tratta di conseguenze inconfessate ed inconfessabili la guerra di Ucraina e il sostegno ad essa accordata dalla Francia e una delle cause oltre ad errori di carattere strutturali e a mancate riforme che sono alla base della crisi economica francese.

La crisi di Francia Germania e gli equilibri europei

La crisi parallela e contemporanea di Francia e Germania richiede un cambiamento delle politiche dei due Stati e necessita al tempo stesso di una revisione degli equilibri europei, poiché solo attraverso un rafforzamento della politica comunitaria può venire quella spinta a superare con decisioni coraggiose e la ricerca della pace, le cause profonde e strutturali della crisi. Bisogna prendere atto che l’Unione europea ha bisogno di decisioni rapide comuni e che questo è incompatibile con il principio di unanimità. Va riconosciuta la preminenza delle economie di almeno 5 degli Stati che
costituiscono l’Unione e cioè Frangia, Germania, Italia, Polonia, Spagna, ridimensionando al tempo stesso il peso decisionale e politico dei paesi del Nord Europa, primi fra tutti i paesi baltici.
Solo a queste condizioni e al tempo stesso ricreando le condizioni per un rifornimento di energia a basso costo attraverso la collaborazione pacifica con il vicino russo si possono ricreare quelle condizioni di competitività che possono consentire ai sistemi sociali dell’unione europea di consentire e garantire l’esistenza di uno spazio di prosperità e di libertà come in passato l’Europa ha conosciuto.

G. C.