Da un po’ di tempo, anche a causa della politica di abbandono
delle fonti fossili e del venir neni del gas e del petrolio russo
da buon prezzo, è ritornato in auge il nucleare, rivisitato.
Ce lo ripropongono in un nuovo formato, piccolo e bello,
pulito e sicuro, funzionale e maneggevole… gestibile.
Me esiste davvero, quanto è reale, quanto costituisce
un’aspettativa? Ed è poi vero che non ha contro indicazioni
Rieccoci con il governo italiano che propone di usare il nucleare come fonte di energia pulita. Dopo il boom degli anni ’60, a livello mondiale, ci fu una brusca frenata dei programmi nucleari, nonostante la crisi petrolifera degli anni ’70 che provocò un improvviso e consistente rialzo del costo dell’oro nero. L’unica eccezione fu la Cina che aveva bisogno di incrementare significativamente la produzione di energia per lo sviluppo del paese, oltre che per la produzione di materiale fissile a scopo militare.
I motivi della riduzione, se non della cancellazione, di nuovi programmi nucleari, sono stati molteplici: si va da quelli economici (ingenti costi iniziali per la messa in opera di una centrale nucleare, accompagnati da lunghissimi tempi di costruzione) alla sicurezza: pochi, ma significativi incidenti (Chernobyl in primis, ma anche il più recente disastro di Fukushima) hanno indotto una forma di cautela. In Italia, nel 2011, un referendum popolare ha portato all’abrogazione di una legge del 2008 che prevedeva la costruzione di nuove centrali.
Indubbiamente, però il problema più serio era ed è quello dello stoccaggio dei rifiuti radioattivi che rappresentano un costo ulteriore, tipicamente incluso in modo molto parziale, difficile da quantificare, e che ricade per moltissimi anni a venire sulle future generazioni.
Negli ultimi anni, gli evidenti cambiamenti climatici indotti da un eccesso di CO2 in atmosfera hanno riacceso l’interesse per questa forma di energia. Prima di prendere in considerazione i reattori di nuova generazione è comunque utile includere alcune considerazioni energetiche. Se è vero che la produzione di energia nucleare da fissione non comporta direttamente emissione di CO2 (non bruciando combustibili fossili), è anche vero che una produzione massiccia di energia nucleare richiederebbe un’estrazione massiccia di materiale radioattivo che è, si relativamente abbondante, ma
molto disperso (come, se non peggio, delle cosiddette terre rare). Questo implica costi di estrazione crescenti via via che aumenta il numero di centrali nucleari operative ed I costi a cui mi riferisco sono I costi energetici prima che monetari, con la prospettiva non troppo remota che alla fine il bilancio energetico (quanto prodotto rispetto a quanto consumato) possa diventare addirittura negativo (e questo senza prendere in considerazione l’impatto ambientale). In altre parole, non è realistico pensare al nucleare come un sostituto del petrolio.
In questo quadro si inserisce l’interesse per una nuova classe di piccoli reattori: i cosiddetti SMR – small modular reactors – che dovrebbero generare al massimo 300MW. La loro popolarità è dovuta sia ad un presunto uso più efficiente del combustibile nucleare che una maggiore “maneggevolezza” (ridotti costi di investimento).
Sotto la necessaria assunzione che gli SMR potranno al massimo essere considerati come una delle tante fonti “alternative”, vediamo meglio la questione della conclamata riduzione dell’impatto ambientale. Ci si potrebbe aspettare che esistano molti studi scientifici a sostegno di questa tesi. In pratica, ho trovato un lavoro, pubblicato recentemente (2022) su una rivista di alto profilo (PNAS: Proceedings of the National Academy of Science, vol. 119, e2111833119), dove gli autori mettono in serio dubbio la ridotta pericolosità. Nell abstract del loro articolo si legge: “The low-, intermediate-, and high-level waste stream characterization presented here reveals that SMR will produce more voluminous and chemically/physically reactive waste than LWRs (leggi: reattori standard) which will impact options for the management and disposal of this waste”. Per completezza e correttezza, aggiungiamo che gli stessi autori affermano anche che la produzione di radionuclidi degli SMR dovrebbe essere inferiore a quella dei LWR.
Rimane il dato di fatto
che il tipo di scarti e perfino il loro volume aumenta e questi materiali devono essere trattati ognuno in modo distinto con relativi costi. Non si può non concludere che questa tecnologia (di terza generazione) è tuttora prematura.
In effetti, mentre si legge di molti progetti in via di sviluppo, tuttora non esistono SMR commercializzabili. Il modello più avanzato è stato messo a punto in Cina. Questo non è strano dato che è il paese dove le competenze sono state sviluppate più di recente (anche se in relazione alle tecnologie tradizionali). Volgendo lo sguardo alle maggiori
potenze, da registrare che la Russia produce la gran parte del “carburante” per gli SMR. Questa non è una cosa di poco conto dato che in un contesto di instabilità globale sarebbe necessario garantire un controllo completo di tutta la filiera per la produzione di energia.
Infine ci sono gli USA che stanno cercando entrare in questo mercato, nonostante anche loro non abbiano ancora sviluppato un prodotto commercialmente appetibile. I motivi sono vari, a partire dal fatto che il gap tecnologico fra Cina e USA nel settore eolico ed in quello solare è attualmente molto grande e difficile da colmare (per gli americani): meglio investire nel settore nucleare, dove gli USA hanno una pluridecennale esperienza. In aggiunta, gli SMR, ancorché relativamente piccoli, hanno la potenzialità di essere economicamente convenienti per coloro che li producono
(produrranno). In primis, il mercato dei possibili acquirenti è più vasto di quello delle centrali nucleari tradizionali: le centrali, più piccole hanno costi di installazione ed di esercizio ridotti; la tecnologia può essere venduta a molti paesi dati i rischi minimi di produzione di materiale utilizzabile per la produzione di ordigni nucleari. In aggiunta, l’uso di SMR richiede che venga stabilita una relazione economica (leggi dipendenza) multiannuale, per la continua necessità di controlli della sicurezza, per l’acquisto di carburante, ed il riciclo/stoccaggio del medesimo. Ottime caratteristiche nella prospettiva di mantenere un controllo da parte di chi detiene know-how.
E gli italiani? Il dottore commercialista Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica dell’Italia ha affermato che il nucleare sarebbe un settore in cui siamo all’avanguardia. Questo era vero 60 anni fa, quando l’Italia aveva sviluppato un tipo di reattore poi dismesso in ossequio ad I nostri “badroni”. Nominalmente esiste un certo numero di startup o dipartimenti di compagnie come l’Ansaldo che sono coinvolte in iniziative varie, ma dobbiamo tenere conto che la molteplicità dei progetti (che riflette quello che succede in generale nel mondo) è la conseguenza dell’attuale incertezza sulla tecnologia che risulterà poi essere vincente: come dire che la situazione è ancora prematura. Da aggiungere che nel febbraio 2023 la UE, o meglio 13 paesi, hanno firmato un documento che sostiene lo sviluppo del nucleare. L’Italia non è fra I paesi firmatari (è inclusa fra i paesi osservatori): come mai se noi siamo
all’avanguardia?
Infine, rimanendo in ambito nucleare, il nucleare da fusione potrebbe rappresentare un vero passo risolutivo, ma a distanza di tanti anni dalla costruzione della prima bomba H, rimane ancora una chimera. Bombardando con impulsi laser una microscopica nuvola di atomi si è recentemente affermato (2022 nei laboratori di Livermore) che per la prima volta è stata prodotta più energia di quanta ne fosse stata consumata, ma il conclamato eccesso di energia è relativo all’energia contenuta negli impulsi laser, la cui produzione richiede a sua volta ancora più energia. Inoltre c’è un problema di scalabilità da risolvere: le quantità prodotte sono minime ed il procedimento è molto instabile. Che continui la ricerca, ma tutto fa pensare che a breve si dovrebbe prendere sul serio la necessità di ridurre lo spreco di energia; in un periodo in cui si sputtana energia per la “produzione” di criptovalute oppure per immagazzinare, mantenere e far circolare petabyte di “informazioni” per il controllo del consenso da parte di pochi.
Antonio Politi