Il pavido cancelliere Scholz ha gettato la spugna e la coalizione semaforo è entrata finalmente in crisi. Il licenziamento del ministro dell’Economia, il liberale Christian Lindner pone fine ad un governo che si era caratterizzato per la presenza nefasta dei verdi e della ministra della difesa Annalena Baerbock, ottusa sostenitrice di Zelensky e dell’Ucraina, miope esecutrice della politica guerrafondaia di Washington in Europa. Il suo fanatismo ambientalista l’aveva spinta fino a salutare con favore il sabotaggio dello Stream due che aveva privato la Germania di energia fossile a buon mercato, a suo dire accelerando la riconversione ecologica ed ambientalista dell’apparato energetico tedesco. La scelta di avere in contemporaneo disposto la chiusura delle centrali nucleari, poi posticipata a causa della crisi petrolifera e del gas, e quella di aver guardato con favore alla rescissione delle relazioni con la Russia, ha portato l’economia tedesca nel baratro, facendo venir meno quella condizione di favore, costituita dalla disponibilità di energia a basso costo, che permetteva all’industria tedesca di prosperare.
È pur vero che la produzione di energia eolica in Germania è cresciuta enormemente, ma non al punto da compensare il venir meno degli approvvigionamenti a basso costo di petrolio e gas. Ma soprattutto il conflitto con la Russia e la necessità di finanziare lo sforzo bellico ucraino, ha dissanguato le finanze tedesche, alimentato le necessità di
spese per il riarmo, mentre l’afflusso di più di un milione di profughi ucraini ha favorito l’esplosione del problema migratorio. Questo mixer di scelte politiche ha creato l’humus che ha consentito alla destra della AfD di crescere enormemente ed in modo preoccupante, soprattutto nei Länder orientali del paese, creando una pesante ipoteca sul governo federale.[1] È opinione comune che dopo il 15 gennaio quando Scholz si sottoporrà al voto di fiducia sarà inevitabile andare da lezioni anticipate stante la debolezza del governo e la necessità di dover contrattare ogni provvedimento con l’opposizione. Inevitabilmente la crisi politica di Berlino si ripercuote sull’Unione europea e ne immobilizza ogni azione in un momento delicato come questo costituito dall’irrompere delle politiche trumpiane e dal probabile disimpegno dalla guerra di Ucraina, scaricandone costo e responsabilità sull’Unione europea.
La crisi del governo tedesco avvantaggia la CDU e il suo leader Merz, finanziere e già presidente del Consiglio di sorveglianza della filiale di Monaco della Blackrock Asset Management Deutschland AG. L’ascesa di Merz rappresenterebbe l’antitesi di quella che fu la politica di Angela Merkel. Il leader dei cristiano sociali è un autocrate che si
considera l’interlocutore più adatto a dialogare con Trump e a proseguire nella politica di sostegno all’Ucraina, disponibile ad accettare le richieste di Trump di porre sulle spalle dell’Europa i costi della continuazione del conflitto.
Con queste posizioni conta di prevalere nello scontro elettorale, andando al voto il 23 febbraio senza una legge finanziaria approvata, ma in esercizio provvisorio. Proprio la sua posizione sulla guerra lo pone in contrasto con Alternative fur Deutschland e perciò, in caso di vittoria alle elezioni, sarà comunque costretto a cercare di formare un governo di coalizione del quale si propone tuttavia di essere forza egemone, assolutamente capace di orientarne le scelte politiche.
Alternative für Deutschland, che in questo momento è il secondo partito nelle intenzioni di voto, davanti alla Spd, è poi certamente l’alta forza politica che conta di beneficiare della situazione e di rappresentare la vera opposizione al futuro governo, raccogliendo così i consensi grazie ad un possibile ulteriore deterioramento della situazione economica e politica e alla crescita del disagio a livello sociale. AfD si offre come futura alternativa di governo della Cdu.
Nello scontro politico che si prepara i liberali, che hanno voluto la crisi, rischiano di scomparire e di non superare lo sbarramento del 5%, mentre altrettanto si prevede per i Verdi che nella migliore delle occasioni riceveranno dall’elettorato una severa punizione per le loro politiche guerrafondaie e irresponsabili. Incerto infine il destino della Linke, mentre è destinato a crescere è il partito di sinistra radicale di Sahra Wagenknecht a meno che i socialdemocratici non operino una profonda revisione della loro posizione politica. [1]
A suggerire questa eventualità quanto sta avvenendo nel mondo della finanza e delle imprese dove regna lo sconcerto e nell’incertezza si rinvia ogni decisione relativa agli investimenti, succubi della congiuntura e delle incognite della situazione economica, mentre la crisi si aggrava: cresce lo spettro della recessione e aziende storiche chiudono. Si fa strada sempre più la convinzione della necessità di una svolta che consenta di recuperare forniture di gas e di petrolio a basso costo, procedere ad una eliminazione più graduale dalla dipendenza del carbone, adottare ogni iniziativa possibile per riaprire i mercati verso la Russia e la Cina.
Ma per raggiungere questo risultato è necessario chiudere con la guerra di Ucraina che permetterebbe da un lato di evitare l’emorragia di risorse costituita dai continui finanziamenti alla guerra, di ripristinare le relazioni economiche con la Russia e il suo promettente mercato interno il cui PIL cresce del 6%, ridare slancio e competitività alle merci prodotte in Germania, soprattutto ora che i dazi annunziati e promessi da Trump renderanno ancora più difficoltoso, se possibile, l’accesso al mercato statunitense.
Non è da sottovalutare poi che la fine della guerra ridurrebbe enormemente il costo economico e sociale dei rifugiati, creando le condizioni per il loro ritorno in patria e rimuovendo la profonda inquietudine tra i tedeschi che si vedono complicata la vita da rifugiati privilegiati che beneficiano del welfare che essi pagano, con salari sempre più
magri e mentre la crisi economica morde con la perdita di posti di lavoro, in un mercato del lavoro sempre più affollato di offerta di lavoro, costituita dai rifugiati politici e dai migranti. Non è da sottovalutare inoltre che una modifica della situazione in questa direzione toglierebbe spazio ai partiti di destra e alla stessa sinistra radicale, contrari alla guerra, ridimensionandone il peso politico e le aspirazioni elettorali.
La svolta di Baku
Sembrano essersi fatti carico di questi problemi un numero consistente e significativo di imprenditori, finanzieri ex primi ministri, alti funzionari, dirigenti di aziende pubbliche tedeschi che hanno ripreso i contatti con la Russia e sono stati protagonisti di un incontro a Baku, capitale dell’Azerbaigian, incontratisi il 20 ottobre con le controparti russe dello stesso rilievo, riprendendo il Dialogo di San Pietroburgo, per l’approfondimento dei rapporti tra Russia e Germania istituito nel 2001.
Sepolto dalle macerie della guerra in Ucraina, insieme alla relazione speciale tra Berlino e Mosca, interrotta dalla Germania nel 2021-2022, ora che la possibile e probabile sconfitta sul campo di battaglia dell’Ucraina permetterà di porre fine a conflitto, riprende vigore la collaborazione, tanto più che la parte più ghiotta delle risorse ucraine è collocata nei territori occupati dalla Russia. Ciò che attira l’imprenditoria tedesca e la finanza del paese, più che la ricostruzione di un paese devastato e mutilato, come sarà quel che resterà dell’Ucraina, dopo la fine della guerra, sono le risorse minerarie del Donbass e gli investimenti occorrenti per sfruttarli e metterli a profitto. La parallela e conseguente riapertura del mercato russo offrirebbe inoltre alla Germania quegli sbocchi economici e commerciali che la nefasta azione angloamericana ha causato e al tempo stesso consentirebbe il rilancio dell’economia tedesca e il superamento della sua
profonda crisi.
A riprova dell’importanza dell’incontro si segnala che vi hanno preso parte tra gli altri Michail Shvydkoy, inviato speciale del presidente russo per la Cooperazione internazionale nella cultura, ma a lui molto vicino, a prescindere dall’incarico che ricopre, nonché Viktor Zubkov, primo ministro della Russia nel 2007-2008 e da allora presidente di Gazprom. Tra i partecipanti provenienti dalla Germania, Matthias Platzeck, nel 2005-2006 presidente del Partito socialdemocratico tedesco (Spd), nonché primo ministro del Brandeburgo nel 2002-2013. Nella capitale dell’Azerbaigian
è stato invitato anche Ronald Pofalla, capo di gabinetto della Cancelleria nel governo Merkel II (2009-2013) e amministratore delegato delle Ferrovie tedesche nel 2017-2022, mentre si mormora di una delegazione riservata che avrebbe prolungato il proprio soggiorno con un viaggio a Mosca.
Non è certo un caso che il 15 novembre Putin è Scholz si siano sentiti dopo due anni al telefono per un’ora e abbiano discusso delle condizioni delle parti per arrivare ad una ricomposizione della crisi Ucraina. Al cancelliere tedesco che chiedeva il ritiro delle forze russe dei territori ucraini Putin ha risposto che qualsiasi trattativa non può prescindere dalla situazione sul campo di battaglia, forte del fatto che l’esercito russo è all’offensiva su tutto il fronte del Donbass dove i capisaldi di difesa ucraini crollano uno dopo l’altro, e questo mentre si prepara l’assalto finale agli incursori nell’area di Kursk e i russi penetrano nell’oblast di Sumy.
Paradossalmente l’ottuso ed abulico Scholz sembra aver finalmente capito che per superare la crisi di rappresentanza e riprendere vigore i partiti socialisti e progressisti devono abbandonare le scelte guerrafondaie e ogni sostegno alle guerre, non soffermandosi alla sola Ucraina, ma intervenendo con decisione e determinazione anche nella guerra tra Israele e i palestinesi riscoprendo il valore della pace e della coesistenza pacifica.
Prendendo atto di operare in un mondo multipolare l’unione europea deve necessariamente impegnarsi nel consentire una profonda riorganizzazione del mercato mondiale e del commercio creando le condizioni per la collaborazione necessaria è possibile tra Oriente e Occidente e soprattutto con l’ambiente BRICS, che costituisce l’area economica è monetaria alternativa a quella del dollaro e può quindi mettere alle corde l’imperialismo e il capitalismo anglosassone, le sue tendenze egemoniche profondamente lesive degli interessi dei popoli europei che esso considera
insieme alla Cina uno dei suoi principali nemici.
Occorre che anche i partiti della sinistra riformista e progressista italiani ed europei capiscano la lezione al più presto ed operino le necessarie correzioni della loro politica, prima di restare vittime e finire sotto le macerie prodotte dalla crescita tumultuosa di una destra sempre più aggressiva e radicale che, sfruttando le loro contraddizioni e le carenze di strategia politica che le caratterizzano, potrebbe, in accordo con le democrature trumpiane, aggravare la loro crisi, fino a distruggerle.
[1] Germania in crisi, Newsletter Crescita Politica, n. 189, settembre 2024
La Redazione