L’anima nera dei conservatori inglesi

La designazione di Olukemi Olufunto Adegoke “in” Badenoch, 44 anni, di origini nigeriane, di etnia Yoruba, nera e donna, a nuova leader del Partito conservatore costituisce la più chiara e palese sconfessione dei pregiudizi che animano i razzisti e i misogini, sostenitori del suprematismo maschilista, poiché dimostra che si può essere nera e donna e tuttavia portatrice di idee e programmi abominevoli, disgustosi, razzisti e xenofobi, classisti, da combattere strenuamente e con estrema determinazione.
Con l’intento di contrastare la crescita del partito Reform, di Nigel Farage, che alle ultime elezioni ha raccolto il 14% dei consensi, pur eleggendo solamente 5 deputati al Parlamento, a causa del sistema elettorale britannico maggioritario e per collegi uninominali, il partito conservatore ha deciso di mettere in atto una decisa svolta a destra, preferendo la Badenoch al candidato moderato che ad essa si contrapponeva.
Eletta con il voto di soli il 70% di ciò che resta degli iscritti al partito, fortemente diminuiti dopo la sconfitta elettorale, la Badenoch che proviene da una famiglia della classe media – padre medico, madre professoressa di fisiologia – nata in Inghilterra e trasferitasi con la famiglia in Nigeria è tornata in UK a sedici anni; oggi aspira a proporsi come la nuova Thatcher, rappresenta la faccia nera della supremazia bianca. Laureata in informatica all’Università del Sussex, prima di entrare in politica, la nuova leader ha lavorato nella finanza ed è stata responsabile digitale dello “Spectator”, il settimanale Tory del quale è stato direttore Boris Johnson, che è stato anche il suo padrino politico, Fu lui a volerla al governo in vari ruoli, consentendole un’ascesa fulminante che l’ha vista ministra dell’Industria e del Commercio sotto Sunak. Badenoch dichiara di essersi radicalizzata a destra perché “…detestava i figli di papà che facevano i rivoluzionari
all’università”, si ispira al liberismo economico che fu della Thatcher, con piglio combattivo e un linguaggio che è un misto di ideali liberisti e di pragmatismo, propone un modello culturale, economico e rapporti sociali molto vicini alla “teologia della prosperità” che caratterizza i culti evangelicali di origine africana e brasiliana. Per lei, che sente di avere superato il peso della sua negritudine, la povertà è un peccato e il successo economico è insieme emancipazione e salvezza, affrancamento dalla condizione di bisogno e realizzazione personale. Perciò niente politica identitarie e
soprattutto niente politiche di gender, ma tanta competizione senza infinginenti relativi all’appartenenza di genere, prova ne sia che si proclama “femminista critica del genere”, riconoscendosi nelle posizioni della scrittrice omofobica J.K. Rowlings, particolarmente impegnata a contrastare in ogni modo i diritti degli omosessuali e soprattutto dei trans, che considera una lobby.
Questa avversione ai diritti civili, si accompagna al ritorno ai valori tradizionali dell’Inghilterra, quando il Regno Unito era grande perché – a suo dire – animato dagli ideali della Rivoluzione del 1688 che sancì l’alleanza fra la Corona e l’aristocrazia ,ponendo le basi della monarchia costituzionale inglese. La premier conservatrice bypassa tranquillamente la storia sanguinolenta di oppressione e sfruttamento coloniale sulla quale la grandezza del paese è stata costruita e sulla quale poggia ancora oggi quel che resta della sua ricchezza. Perciò, risponde sprezzante con un no alle richieste che vengono dagli ex dominions di vedersi rifondere i danni arrecati ai paesi sottomessi dai dominatori britannici.
Non siamo in grado oggi di ipotizzare quanto la sua politica reazionaria riuscirà a rivaleggiare con quella di Farage e del suo partito, ma certo il suo compito di ricostruzione del partito conservatore, più che essere favorito dalle sue posizioni di deciso sostegno alla Brexit – posizione sostenuta con maggiore convinzione da Farage.- sarà favorita dalle politiche incerte ed ondivaghe, sostenute a livello sociale, economico e di politica internazionale dal primo ministro laburista Starmer, il quale è costretto dallo stato disastroso dei conti pubblici ad adottare politiche finanziarie ed
economiche restrittive, ad intervenire sulle tasse, colpendo. anche se senza troppa convinzione i redditi più alti e senza riuscire in realtà ad incidere sulla situazione strutturale dell’economia del paese.
Anche e forse soprattutto per quanto riguarda la Gran Bretagna valgono le considerazioni che in altre occasioni abbiamo fatto a riguardo delle politiche adottate dai partiti della sinistra riformista in Europa. Il loro sostegno incondizionato alla guerra l’Ucraina, la scelta di dedicare ad essa una larga parte delle risorse economiche di paesi in profonda crisi strutturale, gravati dalla necessità di intervenire sui fondamentali dell’economia e di rilanciare lo sviluppo, bisognosi di reperire risorse per finanziare un welfare sempre più in crisi, soprattutto per quanto riguarda la sanità, l’istruzione, i trasporti e i servizi, – come è il casa della Gran Bretagna – risulta essere una scelta suicida, che lascia spazio ed offre occasioni di crescita alla destra populista, che occasione per raccogliere consensi dei ceti più disagiati e emarginati dalla popolazione, sui quali finiscono per gravare i costi di queste scelte scellerate. Queste dinamiche risultano ancora più pesanti ed incisive per quanto riguarda la Gran Bretagna, impegnata a sostenere i costi dei cascami di ciò che resta dell’impero, illudendosi di essere ancora una potenza planetaria globale, grazie alla partnership privilegiata con gli Stati Uniti. In altre parole sia che si trovino all’opposizione che al governo, i partiti riformisti e democratico-liberali che hanno fatto la scelta di sostenere la guerra scellerata d’Ucraina sono oggi a pagarne le conseguenze, vedendo entrare in crisi la loro leadership dove sono al governo o perdendo sistematicamente consensi in occasione delle scadenze elettorali, dove sono all’opposizione e aspirano a governare. Ma vi è di più: nella loro crisi di leadership si trascinano le stesse istituzioni democratiche borghesi che sono travolte dalla crisi ed indotte a involversi verso forme istituzionali di democrature sempre più reazionarie.

G. L.