Il governo Meloni si appresta a varare la sua prima legge finanziaria. Si, perché quella dello scorso anno era di fatto stata impostata dal precedente governo Draghi e il nuovo governo non aveva potuto fare altro che seguire le linee già tracciate dal suo autorevole sponsor. I tifosi di Draghi, incredibilmente collocati in gran parte a sinistra, sostengono che proprio per questo la situazione economica dello scorso anno non è stata poi così disastrosa. Ora invece tocca al ministro Giorgetti gestire una finanziaria compatibile con gli impegni da lui sottoscritti a rispettare il patto di stabilità, attuando perciò dei tagli di bilancio consistenti per raggiungere entro il 2027 un consistente rientro dal deficit: e tutto questo senza aumentare le tasse, come vorrebbero le promesse elettorali della premier e della sua maggioranza.
L’accordo sottoscritto gli consente di spalmare il rientro dal deficit in 7 anni, invece che in quattro, in modo che potrà trasferire deficit sui governi che verranno dopo il 2027, quando questo governo presumibilmente non ci sarà più .Questa tecnica di bilancio chiarisce il contenuto dell’accordo con le banche e le assicurazioni alle quali si chiede in sostanza un
prestito di tre miliardi e mezzo di tasse dovute che saranno loro restituite appunto entro il 2027.
Se non che, ciò malgrado, gli appetiti sono tanti e robusti e il governo non deve far fronte soltanto alla spesa corrente, ma decidersi finalmente ad aumentare gli stanziamenti per il sistema sanitario nazionale, sempre più al collasso, deve investire a sostegno del reddito delle famiglie, deve accontentare segmenti e spezzoni corporativi che costituiscono
la base sociale del governo, continuando ad erogare esenzioni, privilegi, finanziamenti; deve trovare le risorse necessarie a continuare a finanziare lautamente lo spoll system che ha messo su per sostenere le sue politiche e gestire le istituzioni a lo Stato.
Ecco quindi giungere in soccorso il denaro delle banche e delle assicurazioni, concesso volontariamente in prestito senza interessi, invece che reperito attraverso l’imposizione di una tassa sui profitti come stanno facendo altri governi. Ma ciò malgrado le risorse non bastano ed ecco quindi confermata l’intenzione di reperire i tre miliardi di risparmi da mettere insieme drenando le risorse dai ministeri attraverso tagli lineari: la battaglia tra le diverse componenti del governo su chi subirà effettivamente i tagli è tutta da vedere nel suo sviluppo, prestando attenzione agli esiti che ci diranno quali sono le azioni che crescono e quelle che decadono tra i diversi politici.
Ma non basta, occorre poter usare i contribuenti senza dirlo; ed ecco allora l’intervento sulle detrazioni, comprese quelle come i «sussidi dannosi per l’ambiente, aliquote Iva ridotte, esenzioni e modifiche delle spese fiscali legate all’imposta sul reddito delle persone fisiche». Ci sarà un primo taglio da un miliardo delle detrazioni. Ogni contribuente
avrà un “plafond” massimo da spendere, calcolato in percentuale sul reddito. La percentuale sarà più alta per i redditi fino a 50 mila euro, più bassa per quelli tra 50 e 100 mila. Le detrazioni poi si azzereranno a 240 mila euro. Gli sconti fiscali riguarderanno le detrazioni al 19 per cento, come le spese sanitarie, i mutui, le spese scolastiche, ma anche quelle per le ristrutturazioni. Sarà però introdotto un “quoziente familiare”. Più la famiglia è numerosa, più sale l’importo delle spese che si potranno detrarre per un totale di 7,5 miliardi in totale. Per i pensionati invece un favoloso aumento di tre euro al
mese.
In omaggio all’aumento della natalità viene rivisto il Piano presentato all’Europa per gli asili nido. É garantito un posto a un bambino su tre, a livello nazionale. A livello regionale basterà assicurare che i posti dei nidi siano sufficienti a garantire l’accoglienza del 15 per cento dei bambini presenti nel territorio. L’Agenzia delle Entrate dovrà recuperare a
partire dal 2027, il 5 per cento in più di somme rispetto a quelle incassate nel 2024 (14 miliardi di euro).
Reperire risorse fresche
Un modo per reperire risorse senza aumentare le tasse ci sarebbe e sarebbe quello di agire sul fronte del fisco, ma in questo campo le promesse sono destinate a restare tali. Questo è quanto emerge dai numeri diffusi dallo stesso ministero dell’economia e contenuti nel “Piano strutturale di bilancio” depositato in Parlamento nei giorni scorsi. Il
documento segnala che la pressione fiscale nel 2024 dovrebbe attestarsi al 42,3 per cento.
Ciò vuol dire che complessivamente il peso delle imposte torna ad aumentare, invertendo il trend di riduzione inaugurato nel 2020. Obiettivo mancato rispetto a quanto previsto, nel Def, il Documento di economia e finanza pubblicato a primavera, che accreditava una riduzione della pressione fiscale grazie al taglio del cuneo e agli interventi sulle aliquote Irpef. Invece non c’è niente da fare, almeno quest’anno mentre per il futuro si vedrà. Gli sconti (cuneo e Irpef), fin qui hanno avuto un impatto trascurabile sui lavoratori dipendenti con i redditi inferiori a 35 mila euro l’anno e andranno confermati e rifinanziati nei prossimi anni diventando strutturali, per evitare i rilievi dell’Unione europea, ma è necessario trovare entrate supplementari per coprire i costi della manovra, Da qui i risparmi operando sulle detrazioni, il che si risolve aumentando di fatto le tasse, cosa che la premier si è affrettata a smentire.
La soluzione avrebbe potuto venire dalle entrate tributarie, che quest’anno sono in netto aumento, per effetto del gettito derivante dal lavoro stagionale e precario. Tra gennaio e agosto il Fisco ha incassato fa lavorati dipendenti e pensionati il 6,5 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Ciò significa che gli introiti per le casse dello Stato
sono cresciuti di 23,3 miliardi di euro.
Il ministro del Mef, concorda sul fatto che le entrate extra sono, almeno in parte, strutturali e, anche se il governo, nel suo complesso, sottovaluta l’importanza della lotta all’evasione fiscale (94 miliardi) e il ruolo fondamentale dei lavoratori del fisco per il risanamento del deficit pubblico; tali risorse potranno essere utilizzate per finanziare spese previste nella manovra.
Abbacinato dallo slogan del fisco amico, il governo ha di fatto messo in secondo piano la professionalità dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate di ADM e GdF con la loro capacità di analizzare dati complessi e individuare fenomeni di evasione attraverso i sofisticati strumenti digitali dei quali dispongono, strumenti avanzati, come le banche dati sempre più tra loro interconnesse, essenziali per contrastare l’evasione. Con l’ utilizzo di Anagrafe Tributaria, fatturazione elettronica, informazioni finanziarie, realizzando l’incrocio di dati tra le diverse istituzioni (INPS, banche, assicurazioni, catasto, gestori, …), si possono individuare discrepanze fiscali e attività illecite.
Ciò malgrado le attività degli uffici e quelle ispettive sembrano subire un sempre maggiore rallentamento nell’assenza di un piano strategico di lotta all’evasione, mentre vengono messe in atto politiche di favore verso gli evasori, come condoni e scudi fiscali che minano la credibilità delle istituzioni fiscali e ingenerano la convinzione che procrastinare nel tempo i pagamenti equivale ad evitarli e ad evadere.
E dire che sfruttare oggi le tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale potrebbe consentire di monitorare efficacemente i comportamenti sospetti, individuando gli schemi di evasione Identificando in anticipo i potenziali evasori.
Per un fisco giusto e non predatorio
Ciò che la destra al governo non vuole capire è che la lotta per un fisco giusto non significa aumento della tassazione, ma comporta l’adozione di un sistema fiscale efficace, giusto e solidale, che è il solo a poter consentire una imposizione fiscale minore per tutti, in quanto i sacrifici richiesti vengono ridistribuiti sulla base del reddito. Oggi invece,
a fronte dell’impossibilità di costringere gli evasori a pagare e di indurre i titolari dei grandi patrimoni a contribuire secondo le loro possibilità. diviene necessario riscuotere imposte e tasse da una platea certa di contribuenti, aumentando le aliquote pur di soddisfare il fabbisogno.
Si tratta qui di affermare, come fece a suo tempo Padoa Schioppa, che pagare le tasse è bello ma che, le risorse occorrenti per soddisfare i costi relativi a beni e servizi da erogare possono e devono essere raccolti obbligando tutti i contribuenti a pagare in relazione alla loro capacità contributiva. Bisogna avere la consapevolezza che i problemi del
debito pubblico non si risolvono riscuotendo i tributi dai tanti piccoli contribuenti, ma anche soprattutto evitando il dumping fiscale tra i diversi Stati che consente alle grandi aziende e ai titolari dei grandi patrimoni di risparmiare, scegliendo i trattamenti fiscali più favorevoli, pur continuando a fare affari e ad accumulare profitti in luoghi e paesi nei quali non risiedono fiscalmente.
I fatti dimostrano che il disinteresse e la mancanza di volontà politica nella lotta all’evasione fiscale di questo governo è totale: nessun investimento concreto viene fatto per potenziare le risorse e gli strumenti tecnologici a disposizione del fisco; vi e anzi l’assenza di un piano strategico per rafforzare l’organico e le competenze dei lavoratori
del fisco, mentre tagli ai fondi e riduzione del personale rendono più difficile il controllo e l’accertamento delle irregolarità fiscali e vi è una mancata valorizzazione e supporto ai professionisti del settore, con ricadute sulla loro efficienza operativa.
Nei fatti l’inerzia governativa nella lotta all’evasione comporta la diminuzione dei controlli fiscali e l’attenuazione della pressione sugli evasori fiscali, con conseguente erosione del gettito fiscale che priva lo Stato di risorse preziose che potrebbero essere utilizzate per erogare servizi pubblici come sanità, istruzione, infrastrutture.
Risorse e investimenti
L’assenza di risorse nella nuova legge finanziaria diviene drammatica se posti in relazione all’assenza di investimenti per lo sviluppo. Le possibilità di crescita dell’economia restano totalmente affidate agli effetti del PNRR che d’altra parte faticano a manifestarsi a fronte dei ritardi ormai manifesti e palesi nella realizzazione degli investimenti al punto che diviene drammaticamente necessario negoziare con l’unione europea una proroga dei termini per la realizzazione dei progetti poiché quelli previsti è del tutto evidente che non potranno essere rispettati.
Con lo spostamento del ministro Fitto alla Commissione europea diviene gravida di conseguenze drammatiche la scelta di aver accentrato presso la Presidenza del Consiglio la cabina di regia per tutti gli investimenti del PNRR poiché la battuta d’arresto che si registra inevitabilmente a causa della destinazione ad altro incarico del responsabile del Piano rischia di produrre effetti drammatici sulla realizzabilità di quanto il paese sia impegnato a fare.
Non è un caso che il governo sia stato costretto come dicevamo a rivedere le stime di crescita per il prossimo anno ad un misero 0,8%, sempre ammesso che tutto vada bene e che l’aumento dell’esposizione per spese militari (ben un miliardo destinato all’Ucraina) non costringa il governo a rivedere impegni, conti e possibilità di spesa.
Visto inoltre che a quanto sembra, la spesa sanitaria sarà spalmata su due anni ci saranno da affrontare le proteste dei medici e dei cittadini per un miglior finanziamento della spesa sanitaria, vera emergenza insieme alla scuola e all’università per il futuro del paese sia per quanto riguarda il welfare che lo sviluppo dell’occupazione è al massimo
storico con il minimo di ore lavorate; e questo mentre con la crisi dell’automotive e dell’occupazione e l’intera economia del paese rischiano di collassare e i salari sono da fame.
Rocco Petrone