Austria felix, addio!

Il 29 settembre si sono tenute le elezioni in Austria per la Camera bassa: a vincerle, come previsto, con il 28,9% delle preferenze, il Partito delle Libertà (FPÖ), un partito fondato da ufficiali delle SS. I popolari (ÖVP) e i socialisti (SPÖ), se decidessero di formare una coalizione, avrebbero la maggioranza risicata di un solo seggio: saranno perciò necessarie più vaste alleanze. Dei 183 i deputati eletti: 57 appartengono al FPÖ, 51 al l’ÖVP (democristiani di centro destra, che erano 71 nella scorsa legislatura) e 41 al l’SPÖ (socialdemocratici). I Verdi e i liberali (Neos) che raccolgono rispettivamente l’8.4% e il 9,2% dei voti. Pesante la sconfitta per i Grünen, soci di minoranza del governo uscente, che perdono 5,6 punti e 10 deputati, passando da 26 a 16 seggi. Non supera la soglia di sbarramento del 4% il Partito Comunista (2,5%), ma potrebbe comunque eleggere un deputato grazie al risultato ottenuto in un collegio uninominale a Graz. Non entra invece in Parlamento il Partito della Birra, che si ferma al 2,1%, con oltre 100mila voti.
C’è da prevedere che le trattative per il nuovo governo dureranno a lungo. Il risultato del voto è particolarmente significativo alla luce del fatto che hanno partecipato al voto 6,35 milioni di persone e l’affluenza alle urne è stata dal 78% di quasi tre punti più alta rispetto al 2019.

Un risultato atteso

Quanto è avvenuto conferma le tendenze prevalenti nell’elettorato oggi in Europa, pressoché in ogni paese e le ragioni sono identiche. Si registra la crisi verticale dei partiti della sinistra che hanno perso la loro identità e la loro capacità di rappresentare gli interessi dei ceti meno abbienti, in altre parole la loro composizione di classe. Gli elettori non si riconoscono più nei loro programmi e quello che sembra essere maggiormente cambiato è il DNA stesso di questi partiti. Lo sconcerta la supina e acritica adesione alla transizione green non accompagnata da politiche di sostegno ai profondi mutamenti nel mercato del lavoro ma ciò che contribuisce a renderli irriconoscibili agli elettori è la loro supina accettazione della guerra, in particolare di quella dell’occidente verso la Russia, a sostegno di una nazione, quella Ucraina, che sta costruendo sulla guerra alla Russia la propria inesistente identità nazionale, facendo aggio su un nazionalismo becero e sciovinista, alimentato a spese dei contribuenti dei diversi paesi d’Europa, chiamati a finanziarne lo sforzo bellico e a sacrificare i loro interessi, mettendo in discussione le relazioni economiche, soprattutto quelle in campo energetico, con la Russia.
Gli austriaci, come i tedeschi dell’est della Germania, in particolare, conoscono bene le popolazioni Ucraina, sono ben consapevoli del coacervo di popoli che compongono il paese: un insieme di polacchi, ruteni, rumeni e popolazioni cosacche che abitano le regioni occidentali del paese artificiosamente messe insieme a popolazioni russofone, che abitano il centro e l’est di un paese immenso territorialmente. Sanno bene di trovarsi di fronte a identità nazionali e tradizionali composite per aver fatto parte insieme a loro di quella mittelEuropa della quale proprio l’Austria costituiva il centro politico e istituzionale. Capiscono perciò quanto la loro identità nazionale unica sia posticcia, quanto la costruzione di un destino comune di nazione sia frutto di un nazionalismo revanscista, costruito a tavolino, sull’identità di Simon Petljura e Stepan Banderas, e valorizzata per contrastare l’espandersi delle popolazioni russe. Ne sono consapevoli perché questo
fa parte della loro identità di austriaci e di tedeschi, ma anche perché ne conoscono comportamenti, mentalità e abitudini, tradizioni e costumi poiché ricevevano già prima della guerra queste popolazioni come migranti temporanei e sono quindi in grado di cogliere l’artificiosità di pensare l’Ucraina come un’unica nazione, dai Carpazi al Donbass, per non parlare della Crimea.
Prendono perciò atto che solo pagando un prezzo di sangue, che si nutre dell’odio e del dolore collettivo si può cinicamente decidere di forgiare un comune spirito nazionale, approfittando della politica stolta e criminale di un dittatore come Putin, ma ciò malgrado non vogliono sacrificare i loro interessi materiali a questo disegno tanto utilizzato per
disegnare i confini tra le popolazioni nel centro dell’Europa e sviluppano il rifiuto di schierarsi, di partecipare all’orgia bellicista. Non accettano che a pagare per questo progetto politico siano quell’insieme di paesi – come il loro – la cui prosperità economica ruotava intorno a quella dell’economia tedesca che fondava la propria competitività sul costo estremamente basso al quale riusciva ad approvvigionarsi di energia (gas e petrolio), mediante rapporti di fornitura con Gazprom e quindi attraverso una partnership con la Russia. L’Austria era certamente uno di questi Stati – danneggiato dalla guerra d’Ucraina – la cui economia era particolarmente vulnerabile per la posizione geografica del paese, che dipendeva e dipende per le sue forniture di gas naturale e petrolio totalmente dal fornitore russo o attraverso il corridoio tedesco o direttamente, mediante l’oleodotto e il gasdotto proveniente dalla Russia che attraversava e attraversa il territorio ucraino e slovacco.
Stante questa situazione lo scoppio delle ostilità tra Russia e Ucraina, se da un lato ha per ora lasciato in essere i contratti di fornitura di petrolio e gas che ha continuato ad affluire verso il paese con il beneplacito dell’Ucraina che ha continuato a riscuotere i diritti di passaggio da Gazprom (pecunia non olet), corrisposti anche durante lo stato di guerra,
solamente a dicembre vedrà interrotto il servizio alla scadenza del contratto.
Il consumatore austriaco sa che non sono possibili al momento vie alternative di approvvigionamento, e consapevole delle difficoltà di far arrivare le risorse di energia necessarie attraverso gli oleodotti e i gasdotti che risalgono i Balcani in provenienza dalla Turchia e quindi ben comprende la necessità di opporsi alla guerra. Consapevole di ciò, si
affida a quei partiti di destra che dichiarano di aver ben compreso quanto sta avvenendo e che dichiarano di voler fare gli interessi del paese.
L’economia austriaca sta per chiudere il secondo anno consecutivo in recessione: -0,8% nel 2023, e la previsione per il 2024 è di -0,1%. Le prospettive per il 2025 non sono migliori. Secondo l’Istituto Austriaco per le Ricerche Economiche (WIFO), il paese sta attraversando la crisi più grave dal 2008/09. Nel 2023, l’inflazione è stata del 7,8%,
quattro volte superiore all’obiettivo della Bce; in Italia, nello stesso periodo, i prezzi sono aumentati “solo” del 5,7%. La manifattura austriaca è in recessione da nove quadrimestri e nello stesso periodo gli investimenti immobiliari sono crollati del 18%. Ciò che la politica non è in grado di far cogliere all’elettorato e che solo una politica migratoria attiva e
dell’accoglienza potrebbe contribuire al rilancio del settore edilizio e immobiliare e farebbe da traino ad una effettiva ripresa anche a carattere strutturale dell’intera economia. Fino a quando l’incremento della popolazione residente resterà legato alla crescita demografica di mezzo punto, essenzialmente dovuta alla politica di apertura all’emigrazione fino ad
ora adottata, queste prospettive di sviluppo sono del tutto irrealistiche, ed anzi la situazione economica è destinata a peggiorare a causa delle restrizioni richieste: l’erezione della “fortezza austriaca”, voluta dalla destra destina il paese al declino economico e culturale.
Le prospettive di crescita sono perciò tutt’altro che rosee anche se il paese ha la fortuna di essere formalmente fuori dalla NATO e quindi non è direttamente coinvolto nelle politiche di riarmo bellicista e nella politica di sostegno alla guerra ucraina, attraverso la fornitura di armamenti, ma solo impegnato a garantire assistenza umanitaria alla popolazione
ucraina, e ciò a causa dei legami che il paese ha con l’Unione europea. Questa particolare posizione del paese a livello internazionale, la sua formale neutralità, ha consentito alla FPÖ di chiedere la riapertura dei rapporti con Mosca, constatato che i 2/3 delle forniture di gas del paese provengono ancora dalla Siberia e sarà estremamente difficile liberarsi
da questa dipendenza. L’unica voce in crescita dell’economia del paese risulta essere il turismo, anche perché la ricettività alberghiera rimane alta.

Il nodo dell’emigrazione

Se è vero che i problemi economici hanno costituito l’ossatura di base della campagna elettorale della destra è anche vero che la vittoria del Partito della Libertà è stata possibile a causa delle politiche messe in atto per contenere il flusso di migranti che in parte attraversa e in parte coinvolge il paese. L’Austria costituisce da sempre la porta dei
Balcani; ad essa hanno guardato, cercandovi rifugio, le popolazioni martoriate dalla crisi jugoslava e verso di essa si dirige la cosiddetta rotta balcanica che dalla Turchia porta i migranti verso il centro dell’Europa. Ciò ha fatto sì che oggi circa il 18% della sua popolazione sia costituito da migranti.
Tra questi un posto particolare va riservato oggi ai rifugiati nel paese in seguito alla guerra in Ucraina. Sotto il pelofilo giuridico, agli ucraini è stato concesso – come in altri paesi – uno status speciale umanitario che permette un soggiorno di lunga durata. Facilitazioni sono state disposte per poter trovare case da affittare e altre strutture di accoglienza. Chi può pagare un affitto viene indirizzato verso un appartamento in linea con le sue possibilità di spesa, gli altri vengono presi in carico pro quota dai Laender federali, incidendo, come ovunque, negativamente sul mercato degli alloggi e sulle risorse per il welfare. Ma c’è di più: alle numerose auto ucraine arrivate sulle strade austriache è stato concesso un periodo di esenzione dai divieti di parcheggio e il posticipo e dell’obbligo di nazionalizzare la targa del veicolo, alla lunga facendone dei privilegiati.
Se inizialmente tutta la popolazione aveva in gran simpatia i rifugiati e non si scandalizzava nel vedere auto parcheggiate un po’ ovunque, senza troppo riguardi per il codice della strada, col passare del tempo sono emerse delle criticità ed è stato necessario spiegare ai rifugiati che il rispetto del codice della strada è un obbligo per tutti. I bimbi ucraini, contando anche su un rapido superamento delle barriere linguistiche, sono stati direttamente ammessi alle scuole austriache, creando difficoltà di gestione e differenziando rispetto ad altri migranti. Gli ucraini stabilizzati in Austria ora sono circa 75 mila e tra questi cresce il numero dei renitenti alla leva via via che il paese coinvolge le classi di popolazione sempre più giovane nella chiamata alle armi. Il sistema di assistenza è al limite di saturazione, e ciò contribuisce ad alimentare le resistenze nei confronti di ogni altro tipo di migrante che intenda prendere dimora nel paese.
La chiusura dei confini e l’adozione di una politica migratoria più rigida, sull’esempio di quando sta facendo l’Ungheria e la stessa Germania, è diventato il tratto caratteristico del partito di destra e ha costituito una delle ragioni del suo successo elettorale. Il rifiuto di accettare le politiche di ripartizione dei migranti tra i diversi paesi dell’Unione europea e gli obblighi derivanti dal Trattato di Schengen ha costituito il banco di prova sul quale misurare il consenso e determinato il successo del Partito della Libertà.
I timori che il deterioramento della situazione economica porta con sé hanno indotto l’elettorato austriaco a preferire una politica di allineamento con quei governi che in Europa sostengono la chiusura dei confini e una rigida politica migratoria. La presenza di un esercito industriale di riserva costituito da migranti illegali, ricattabili, disponibili ad ogni prestazione di lavoro pur di ottenere un reddito, anche minimo per poter sopravvivere, viene vista dalle classi meno abbienti come una concorrenza inaccettabile che contribuisce a deprimere il mercato del lavoro regolare e consente di contenere i salari al di sotto di livelli inaccettabili.

La Redazione