Complice la pausa olimpica, Emanuel Macron ha potuto utilizzare ben 60 giorni per ipotizzare un impossibile governo per la Francia e, al termine di inedite consultazioni, non previste dall’ordinamento francese ma nemmeno escluse, monsieur le Président ha tirato fuori dal suo cappello di prestigiatore uno scarto del gollismo, per affidargli il ruolo di primo ministro: Michel Barnier, un 73enne, un vecchio arnese della politica comunitaria, da una vita nelle istituzioni, sia nazionali che europee. Parlamentare per sette legislature (cinque da deputato e due da senatore), ha ricoperto per quattro volte ruoli ministeriali all’Ambiente, agli Affari europei, agli Esteri e all’Agricoltura.
La sua carriera politica si è sviluppata tutta nel centro-destra neogollista: è passato infatti dal Rassemblement pour la République (Rpr), (i conservatori fedeli a Jacques Chirac e critici della linea di Valéry Giscard d’Estaing), per aderire, nel 2002, all’Union pour un mouvement populaire (Ump) di Nicolas Sarkozy e confluire nel 2015 nel nuovo partito, i Les Républicains (Lr), del quale ha cercato di vincere le primarie per diventare il candidato presidenziale nel 2022, perdendo però la nomination: un fallito!
Malgrado i tanti insuccessi nella politica nazionale Barnier è noto a Bruxelles per essere stato nominato Commissario nel 1999, nella Commissione presieduta da Prodi, con delega alle Politiche regionali, rinominato tra il 2010 e il 2014 nella Commissione Barroso, Commissario per il Mercato interno e poi responsabile ad interim dell’Industria.
per concludere la sua parabola a Bruxelles come capo negoziatore dell’Ue per l’attuazione della Brexit dal 2016 al 2021.
La speranza di Macron è che le entrature personali del primo ministro a Bruxelles gli consentiranno di negoziare una difficile legge di bilancio, facendo fronte alla procedura di infrazione per deficit eccessivo aperta dall’Unione nei confronti della Francia. Entro il 1 ottobre dovrà presentare all’Assemblea nazionale la legge di bilancio 2025, con un
deficit che potrebbe toccare il 5,6% nel 2024 e arrivare al 6,2% il prossimo anno. Il Governo ha sulle spalle tremila miliardi di euro di debiti, quindi non potrà disporre di nessun spazio di manovra, e sarà chiamato a svolgere un compito ingrato. Il suo governo godrà dell’appoggio del Centro macroniano, uscito a pezzi dal voto e passato da 245 a 168 seggi e del sostegno di nemmeno tutti gli eletti del suo partito, Les Républicains: nel complesso un numero di voti ben lontani dai 289 che garantiscono la maggioranza dell’Assemblea Nazionale. Pertanto, per respingere far approvare un qualsiasi provvedimento il premier avrà bisogno del sostegno dai 163 parlamentari di Marine Le Pen, che concederanno il loro appoggio esterno, considerandolo un viatico per rafforzare le chances della loro leader per le presidenziali del 2027 la quale, apparentemente, non si comprometterà con una gestione del potere impopolare, ma ne trarrà comunque ogni possibile beneficio.
Rimane il fatto che con la sua scelta Macron, dopo avere beneficiato del sostegno della pregiudiziale antifascista per ottenere nel secondo turno la desistenza, e in alcuni casi addirittura il sostegno della sinistra – il che gli ha consentito l’elezione di molti dei suoi deputati – con questa decisione ha fatto cadere la clausola di esclusione nei confronti dei lepenisti. Tecnicamente, al premier non serve un voto di fiducia dei deputati per assumere formalmente le proprie funzioni, ma è verosimile che il nuovo primo ministro chiederà comunque all’Assemblea di approvare le proprie linee programmatiche nei prossimi giorni. A quel punto si vedrà, numeri alla mano, se davvero la strategia politica di Macron risulterà per il momento vincente.
Quel che è certo è che l’ex premier Gabriel Attal, del suo stesso partito, ma che a suo tempo criticò la scelta di elezioni anticipate, non perde occasione per marcare una sua distanza dall’Eliseo e dichiara che Barnier, anche se gode della fiducia di Macron, non deve affatto dare per scontati i voti del gruppo parlamentare macroniano e se li dovrà
conquistare. Inoltre il popolare sindaco di Le Havre, Éduard Philippe, di centro-destra, in aperta e chiara sfida a Macron ha già annunciato, con tre anni di anticipo, la sua candidatura alle presidenziali del 2027.
La sinistra, da parte sua, grida al tradimento della democrazia, dichiara che è stato commesso un furto nei confronti della maggioranza degli elettori e dei loro rappresentanti. Jean-Lu Mélenchon, leader del partito di sinistra La France insoumise, il più votato tra quelli che costituiscono l’Nfp, ha accusato Macron di tradire i risultati delle elezioni, sottolineando che i Républicains, il partito del presidente incaricato, è stato uno di quelli maggiormente sconfitti dalle urne. Perciò il capo dello Stato ha “rubato le elezioni al popolo francese”. François Hollande, (Partito Socialista), ha stigmatizzato il patto di desistenza stretto tra Macron e la destra radicale lepenista affermando che la nomina di Barnier è avvenuta perché il Rassemblement Nazional ha avallato l’operazione promettendo di non sfiduciarlo in sede di Assemblea. Da qui la richiesta di un voto di censura da parte di tutte le opposizioni poiché “Michel Barnier non ha né legittimità politica né legittimità repubblicana”.
In queste condizioni le forze di sinistra hanno una sola strada, quella di portare lo scontro in piazza e questo è quello che hanno iniziato a fare domenica 9 settembre con manifestazioni che hanno coinvolto più di 300.000 persone in tutta la Francia, 160.000 al corteo di Parigi. Il 1 ottobre si replica con uno sciopero indetto dalla Cgt al quale seguiranno iniziative di altri sindacati e partiti: riparte la strategia delle manifestazioni continue che ha caratterizzato la Francia da novembre dello scorso anno e per tutto l’inverno e l’autunno precedente. [1]
Lotta di classe in Francia
La crisi francese quella del macronismo non è solo politica e istituzionale, ma ha profonde radici strutturali.
Emmanuelle Macron ha, agli occhi delle élite coloniali e della borghesia francese ancora implicate con la gestione dei beni e degli investimenti in quelle che furono le colonie nell’area della francofonie, il torto di avere perso il controllo di ciò che restava dell’impero coloniale francese. A causa della sua politica estera fallimentare cinesi e russi sono subentrati ai francesi in questi territori (Mali, Niger, Repubblica Centrafrica. Ecc) impossessandosi del controllo degli investimenti francesi residui, il che ha inciso soprattutto sull’approvvigionamento combustibile nucleare necessario all’industria energetica francese che si caratterizza per la presenza di un gran numero di centrale nucleari. Proprio questa perdita che ha coinciso con l’esplosione della crisi petrolifera e del gas conseguente all’interruzione dei rapporti con la Russia è stata una delle cause inconfessate e inconfessabili per le quali Macron si è decisamente schierato a favore di Kiev nella guerra Ucraina.
Questo fallimento della politica coloniale ha contribuito a spostare sostegno e consenso della componente economica, culturale e del ceto sociale essa esprime e livello di élite e di ceto medio a conferire la propria rappresentanza alla destra radicale. Occorre prendere atto che è entrato definitivamente in una crisi irreversibile il blocco borghese che nel 2017 ha portato Macron al potere. Esso si caratterizzava per il sostegno a riforme neoliberali quali premesse di un possibile progresso di questo blocco sociale, basate sulla meritocrazia, la tecnocrazia, l’innovazione, l’individualismo più marcato rampatismo sociale, l’edonismo borghese, al pari di come fecero Tony Blair Blair e Matteo Renzi. Questo blocco borghese avrebbe potuto funzionare, da un punto di vista politico-elettorale, se queste promesse di ascensione sociale fossero state condivise, credute e ottenute. almeno da una parte delle classi medie, oltre che dalle classi privilegiate che ne costituiscono lo zoccolo duro e le principali beneficiarie.
È invece accaduto che, anche se è vero che la ricchezza delle classi privilegiate ed apicali è aumentata in modo smisurato e le differenze retributive e di reddito si sono accresciute oltre ogni misura, determinando uno squilibrio che a volte mette in imbarazzo i più illuminati e avveduti fra gli stessi appartenenti alle classi privilegiate, i naturali alleati di questo processo, e cioè le classi medie, si sono fortemente impoverite, si sarebbe detto una volta, proletarizzandosi dal punto di vista del reddito, anche se non dal punto di vista del sentire sociale e di un’ideale collocazione di classe. Ne é scaturita una frustrazione profonda che spinge coloro che vi appartengono all’egoismo sociale, a cercare nei diversi, nei migranti nei poveri, negli emarginati i responsabili del loro degrado.
In questa situazione costoro subiscono fortemente l’attrazione del blocco di destra che, proprio perché formatosi all’interno dell’universo liberale, è convinto che le riforme neoliberali siano inevitabili, ma possiede per istinto una percezione più acuta dei rischi di declassamento queste riforme comportano. Questi rischi sono avvertiti dalle classi medie-inferiori, quelle che si trovano un gradino sopra alla povertà; quelle che chiedono una forma di protezione compatibile con l’idea che, in ogni caso, non c’è alternativa all’orizzonte neoliberale.
Tuttavia, in un mondo che non può mettere in discussione i privilegi dei più ricchi, nel blocco di estrema destra, la protezione va costruita agendo contro gli immigrati, contro l’insicurezza, contro le minacce alla «identità » ma anche contro chi sta sotto: per questo il Rassemblement National sostiene quelle misure di welfare che ancora esistono in Francia, che tuttavia possono funzionare solo riducendo la platea dei beneficiari ed escludendo migranti e incapienti. È quello che di fatto, è successo negli ultimi anni in Francia e ancor più succederà domani, grazie alle politiche macroniane che la destra si impegna a far diventare strutturali.
D’altra parte la flessibilizzazione del lavoro, i tagli alle tasse alle grandi aziende, la soppressione di ‘lacci e lacciuoli’, non hanno prodotto i paventati benefici né l’aumento della mobilità sociale. Le ricette macroniane non hanno funzionato; al contrario, una gran parte delle classi medie sente ormai questo insieme di riforme come una minaccia, si stacca dal blocco borghese e va verso il blocco dell’estrema destra e tuttavia resta nel medesimo universo neoliberale, nel quadro della stessa ideologia che caratterizza il «blocco borghese».
Fuori dall’universo neo liberista si è formato in Francia, attorno all’idea di una rottura rispetto alle riforme macroniane, il blocco di sinistra che si batte per abrogare la riforma delle pensioni, che in termini di fiscalità vuole la tassazione dei profitti e la patrimoniale sui grandi patrimoni, vuole il rafforzamento dello stato sociale e dei servizi, il rilancio della sanità pubblica, un sistema pensionistico accettabile che rispetti la qualità dalla vita, il rilancio del sistema di istruzione pubblica. È dunque naturale che questo blocco sociale sia un avversario tanto per le élite, per la compagine borghese e per l’estrema destra che pur opponendosi formalmente a Macron, ha promesso che andando al potere avrebbe proseguito le sue politiche. Per contrastare un governo di sinistra, come chiedevano gli elettori, la sponda naturale era Le Pen e Macron l’ha utilizzata pienamente. Questo non significa che il blocco borghese e il blocco di estrema destra siano ormai fusi assieme; semplicemente, allo stato di debolezza del blocco sociale che ha portato Macron al potere corrisponde lo speculare potenziamento di quello che sostiene Marine Le Pen.
All’indomani delle elezioni i tre blocchi politici e sociali erano sostanzialmente equivalenti, ora il blocco borghese si è grandemente indebolito, mentre quello di estrema destra si è rinforzato. Il governo Barnier, rappresenta un riequilibrio interno all’universo neoliberista, dentro al quale la bilancia si è ora chiaramente spostata tutta a destra. D’altra parte Le Pen e Macron hanno un avversario comune: il blocco di sinistra che si è formato attorno all’idea di una rottura rispetto alle riforme e alla visione del mondo neoliberale.
Alleanze e programma politico per la sinistra in Francia
Per costituire un’alternativa alla destra e al blocco macroniano la sinistra deve partire dimostrando che la crescita non viene dall’innovazione privata e dall’individualismo sociale, ma dalla negoziazione collettiva che non è incompatibile con la garanzia di margini di profitto sufficienti per le imprese, e perciò va profuso ogni sforzo per portare il conflitto sociale nelle piazze e soprattutto sui luoghi di lavoro, rivendicando maggiori salari, condizioni di lavoro migliori e intensificare contemporaneamente la battaglia mai interrotta per le pensioni e il rafforzamento del welfare, mettendo al primo posto la sanità e l’istruzione.
È compito della sinistra spiegare al paese che deve fare i conti con la liquidazione definitiva dei cascami coloniali dei quali la Francia poteva disporre per ricavare risorse da utilizzare al tempo stesso come rendita di posizione per ceti e classi privilegiate e fonte di finanziamento delle finanze statali. Da qui un nuovo assetto delle risorse e della gestione dei conti pubblici, una diversa più oculata distribuzione del reddito che deve tenere conto delle caratteristiche con le quali la popolazione è distribuita sul territorio e quindi delle diverse esigenze che scaturiscono da questo assetto.
Il consenso delle sinistre non può venire solo dalle città e dai ceti produttivi impiegati nell’industria e nei servizi ma esiste, soprattutto in Francia, anche un diffuso mondo rurale, un mondo delle periferie che trova crescenti difficoltà a causa del ridursi progressivo e inesorabile dei servizi sul territorio. L’“abbandono” delle campagne e del territorio da parte dei servizi pubblici è un fatto ampiamente documentato. La localizzazione della distribuzione sul territorio dei servizi sanitari, degli uffici pubblici e perfino delle strutture di controllo dell’ordine pubblico e il contemporaneo aumento dei costi per i trasporti sempre più privati, perché il servizio pubblico viene meno e si ritira, hanno fatto crescere il costo della vita per le popolazioni rurali. Di queste istanze un movimento massiccio e senza precedenti come quello dei “gilet gialli” si era fatto carico, sostenendo richieste economiche e sociali completamente diverse e specifiche. La critica al disprezzo e all’arroganza dei leader dello Stato per questi problemi, il desiderio di poter vivere con dignità, l’ingiustizia fiscale, l’insofferenza per lacci e lacciuoli imposte agli agricoltori dalla politica agricola comunitaria, devono indurre gli ecologisti, come componente della sinistra, a farsi carico per primi delle discrasie esistenti nella politica verso il mondo contadino e rurale Le classi contadine e operaie rurali restano l’archetipo della “classe oggetto” che bisogna aggregare invece come una delle componenti essenziali della sinistra sociale, rappresentandone gli interessi e le istanze sociali.
Rifondare una politica di sinistra credibile significa farsi carico dell’aumento crescente degli incidenti sul lavoro e dei morti sul lavoro, del disagio sociale e psicologico derivante dalle attività e dagli orari richiesti per le prestazioni lavorative, dalle condizioni di organizzazione del lavoro. Nel predisporre il suo programma e la sua proposta di governo in modo credibile e perché sia sostenuta dagli abitanti delle città come da quelle delle campagne la sinistra deve farsi carico di unificare gli interessi del blocco sociale del quale si vuole fare interprete e sostenitrice, anche ponendo in modo categorico il problema del riarmo e della guerra.
Ciò che la sinistra non può permettersi e lasciare alla destra il rifiuto del conflitto e della guerra, e perciò deve pronunciarsi in modo inequivocabile a favore della pace subito in Ucraina come nel Medio Oriente, per una politica responsabile e di amicizia per l’area della francofonia in Africa, sola proposta che può cercare di recuperare il terreno perduto in quest’area a favore di Cina in Russia, rifiutando il confronto muscolare per l’egemonia condotto attraverso la fornitura di armamenti all’Ucraina, quando non con l’invio ben mascherato non solo di armi, ma anche di mercenari.
La sinistra deve ricordare a se stessa la lezione della storia che insegna che la guerra è stata sempre voluta, sostenuta e alimentata dalle classi dominanti e che sono sempre i popoli a pagarne il prezzo con lutti e rovine.
[1] La Francia va a sinistra, Newsletter, Crescita Politica, n. 187 luglio 2024; La Francia al bivio, Newsletter, Crescita Politica, n. 186 giugno 2024; Francia: colpo di mano del governo, Newsletter, Crescita Politica, n. 169 marzo 2023; Francia: un nuovo ciclo di lotte?, Newsletter, Crescita Politica, n. 15 ottobre 2010.
La Redazione