Meloni e le altre

L’ascesa al potere di una leadership femminile di destra non è un fenomeno solo italiano; negli ultimi decenni, i partiti della destra in Occidente, soprattutto se radicali, hanno scelto di parlare di affidarsi ad un dirigente femminile.
Fino a poco tempo fa sembrava che Marine Le Pen costituisse un caso del tutto particolare: niente di più sbagliato, già nel 1995 e fino al 2012 Pia Kjaersgaard, ha assunto la guida del Partito del Popolo Danese (Df), aprendo la strada già nel 2001 e fino al all’ottobre del 2011, ai governi di destra presieduti dai Rasmussen, spostando a destra le politiche della Danimarca, soprattutto per quanto riguarda il welfare e l’immigrazione; alle sue idee anti emigrazione si sono ispirati gli altri partiti di destra, soprattutto nel nord Europa. Dopo una breve parentesi socialdemocratica nel paese scantinavo è andata al governo il partito di destra radical-populista dei Nuovi Borghesi (Nye) con la leadership di Pernille Vermund, fondatrice del partito.
Anche in Norvegia, la destra radicale ha fatto una scelta femminile: quello dell’imprenditrice Siv Jensen che ha portato il suo Partito del Progresso (FrP) al governo, ricoprendo il prestigioso incarico di ministro delle Finanze dal 2013 al 2020. Sono due leader donne, Frauke Petry fino al 2017 e Alice Weidel (quest’ultima dichiaratamente omosessuale), ad aver contribuito all’ascesa di Alternative für Deutschland in Germania.
L’affermazione di queste donne in politica sembra essere stata facilitata dal fatto che nell’opinione pubblica erroneamente si ritiene più presentabile e legittimante la presenza di una donna, cosa che ha spinto nel 2000 Jörg Haider, presidente del partito di destra radicale austriaco Fpö, a dimettersi in favore di Susanne Riess per far guadagnare all’organizzazione la legittimazione istituzionale che le permettesse di governare. E quindi errato considerare questi partiti un fenomeno prettamente «maschile» (Mannerparteien) anche perché non sono più votati in prevalenza da uomini: le donne conquistano sempre più ruoli nelle organizzazioni di partito e di rappresentanza nei Parlamenti locali e nazionali, come avviene anche in Italia, dove, il gap di genere nella base elettorale di Fratelli d’Italia si è praticamente azzerato, passando dal 37% di donne che hanno votato questo partito nel 2013 a circa il 50% nel 2018 nelle elezioni europee del ’19).

Donne e politica

La presenza delle donne in posizioni apicali nella politica è un fatto generale, frutto della trasformazione, sia pur fra mille contraddizioni, dei rapporti sociali fra i sessi: sono donne la Presidente del Parlamento europeo e quella della Commissione, e saranno delle donne molti dei commissari dell’Unione europea; sono donne la Presidente della BCE quella della Federal Reserve, e la Presidente della Banca centrale russa; è donna una delle candidate alla Presidenza degli Stati Uniti e tanti altri potrebbero essere gli esempi da portare, ma, a nostro avviso, il caso Meloni si inserisce nel solco di una trasformazione più ampia della destra conservatrice in Occidente ha una sua specificità che induce a chiedersi quali sono le domande che dalle donne vengono alla destra di governo.
Premesso che la presenza di una leader donna non si traduce necessariamente in una modernizzazione della visione sociale dei programmi dei partiti di destra che restano in larga parte incentrati su politiche iper-conservatrici: antiabortiste, antifemministe e anti Lgbt, il successo di Giorgia Meloni sembra essere costituito da un comportamento ambiguo e binario: la Meloni è, al tempo stesso, single e madre, non coniugata ed ex convivente-madre, afferma di essersi realizzata politicamente detenendo il potere e al tempo stesso si dichiara vittima perseguitata, under dog; dichiara di voler difendere la famiglia tradizionale, ma ne ha costruito una monogenitoriale: La sua doppiezza è tale da non impedirle di sostenere politicamente le tesi sulla famiglia «modello Orbán» promossa da Fratelli d’Italia, come ha fatto con veemenza nell’intervento al Congresso di Verona sulla famiglia nel 2019. Questa ambiguità sembrano attenuarsi sui temi di genere, benché abbia stipulato alleanza con le associazioni del conservatorismo cattolico e abbia fatto proprie le posizioni di Eugenia Roccella sul nativismo conservatore, soprattutto in materia di diritti riproduttivi; tuttavia le contraddizioni e la doppiezza si spostano sulla sua musa ispiratrice, ex abortista, ex militante radicale, che a suo tempo ha sostenuto gli aborti fai da te con il metodo Karman. Da tutto ciò consegue per lei che «l’ideologia di genere», va contrastata per preservare l’identità italiana, rilanciare la natalità.
È ipotizzabile perciò che il consenso crescente della componente femminile dell’elettorato nei confronti dei partiti di destra sia indice del disorientamento di genere che pervade il mondo femminile e i suoi valori, ma al tempo stesso è frutto dell’incapacità della sinistra di intercettare i bisogni che sul piano valoriale e ancor più su quello materiale rendono poco vivibile o comunque più pesante la condizione femminile rispetto a quella maschile. La sinistra, pur avendo analizzato la condizione femminile e rilevato da tempo il doppio sfruttamento esercitato dal capitalismo e della società patriarcale sulla donna, alla quale è affidata la funzione di welfare gratuito, a sostegno ed integrazione del salario, e quindi, pur avendo acquisito consapevolezza del più pesante sfruttamento che incombe sulla donna, non ne ha tratto le conseguenze politiche necessarie in materia di parità salariale, di allargamento dei servizi, di predisposizione dell’accudienza dei soggetti più deboli, scaricandone su di esse il peso.
Accade così che la destra possa presentare l’attribuzione della leadership ad una donna come un atto di rottura dell’establishment, contribuendo in tal modo ad una ad una sostanziale uguaglianza che rappresenta un cambiamento rispetto alla dominanza delle élite prevalenti, costituite da maschi.
L’associazione della figura della donna alla patria consente alla destra di riproporre la metafora del mito delle origini comuni che è alla base del nazionalismo. Si ricorda alle donne la loro funzione di lavoratrici e al tempo stesso di generatrici che forniscono i nuovi nati, ai quali trasmettere tradizioni e valori che consentono di perpetuare l’ordine vigente, impedendo la sostituzione etnica.
L’ascesa politica e di potere di una figura femminile alla guida del partito e dello Stato favorisce l’immagine di una destra normalizzata, rassicurante, lontana da un modello di mascolinità violenta, associata nell’immaginario collettivo alle frange più estreme di questa area politica. Questo perché, in antitesi alle figure maschili, la donna di destra porterebbe in sé i tratti caratteristici di genere, quali la compassione, la dirigenza. l’empatia, la dolcezza. la gentilezza e quant’altro costituisce lo stereotipo della donna che dispiega queste sue qualità nella gestione della famiglia e gestisce il welfare sociale.
Così i partiti della destra populista si appropriano formalmente di tematiche e rivendicazioni femministe, piegandole a uso e consumo delle proprie campagne nativiste e identitarie, promuovendo la conflittualità tra le donne occidentali, rappresentate come emancipate e quelle musulmane, descritte come sottomesse e relegate all’interno delle mura domestiche, e ciò malgrado che le lotte delle donne iraniane, ad esempio, dimostrino quanto sia falso e frutto di facili generalizzazioni questo assunto, perché sono le condizioni economiche e materiali quelle che contribuiscono a determinare l’effettiva libertà delle donne e l’affermazione dei loro diritti.
La battaglia delle donne può diventare strumento di liberazione per tutti coloro che si trovano ai gradini più bassi della scala sociale: per questo sono centrali le questioni del reddito, dell’uguaglianza salariale – problema questo spesso trascurato dalla sinistra – della divisione sessuale del lavoro, del razzismo, della violenza istituzionale sulle donne, ancor più se migranti, della cancellazione culturale e giuridica delle sessualità non conformi e dalla discriminazione verso costoro e i loro diritti sociali. Il femminismo e le sue istanze costituiscono in relazione a questi problemi una forza di trasformazione radicale, la ricerca di una vita di qualità per tutte, che può avvenire solo attraverso la costruzione e l’attivazione di una nuova dimensione del potere, di un altro genere di potere, un potere di altro genere.
Un’attenzione strutturale e materiale, un intervento sul piano dei diritti, la tutela delle donne per quanto riguarda la violenza di genere, l’effettivo superamento di una società patriarcale nei suoi valori fondanti, è la strada attraverso la quale la sinistra può e deve competere per guadagnarsi partecipazione e sostegno da parte della componente femminile della società.